Parola al parlamentare
Intervista a Graziano Delrio: “Israele isolato, come voleva Hamas è caduto nella trappola dell’odio”
«Parte dei problemi di oggi in Medio Oriente è frutto delle guerre di 20 anni fa in Afghanistan e Iraq. Bisogna rafforzare le istituzioni multinazionali, superare la tragedia di un Occidente contrapposto alle nazioni emergenti»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Parlamentare, già sindaco di Reggio Emilia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie nel governo Letta, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti prima nel governo Renzi e poi riconfermato nel governo Gentiloni, in passato capogruppo Pd alla Camera dei deputati, Graziano Delrio per formazione e cultura porta con sé l’ispirazione di quel cattolicesimo democratico che ha sempre fatto della pace un suo punto di forza.
Il Medio Oriente è in fiamme. Gaza, la Cisgiordania, il Libano, dove Israele ha preso di mira anche l’Unifil e i caschi blu dell’Onu, italiani compresi. In attesa della rappresaglia israeliana in Iran. Una guerra regionale che rischia di innescare un conflitto mondiale. Ma il mondo sta a guardare.
E il mondo vent’anni fa era governato da un’unica potenza mondiale gli Stati Uniti e pareva ci avviassimo verso un ordine globale americano. La guerra in Afganistan e in Iraq del 2003 doveva dimostrare la fine della storia, la supremazia della democrazia occidentale come principio ordinatore del mondo. In quegli anni io entravo in politica e ricordo, all’inizio degli anni 2000, le grandi manifestazioni popolari in favore della pace. In tutto il mondo decine di milioni di persone si mobilitavano contro l’illusione di poter cambiare la storia e le società attraverso l’uso della forza e l’imposizione di un modello unico. Il ministro degli esteri tedesco Joshua Fischer in quei giorni avvertiva gli Stati Uniti che la guerra in Iraq avrebbe avuto conseguenze decennali di instabilità nel Medioriente e che la funzione di guardiano dell’ordine mondiale degli Stati Uniti non avrebbe avuto successo. Purtroppo, fu facile profeta e parte dei problemi di oggi, come la penetrazione delle nefaste politiche iraniane in Iraq, Siria e Libano, dipendono da quelle scelte. Nella nostra tradizione politica ha invece sempre avuto spazio fondamentale la dottrina del multilateralismo, dell’uguaglianza delle culture e delle nazioni, per cui come diceva Moro alle Nazioni Unite nel 1971, “Non si può certo più ammettere che esistono ancora popoli che facciano la storia e altri che la subiscano: la coscienza democratica del mondo vi si oppone.”. L’antitesi, prima di tutto ideale, con la Realpolitik di Henry Kissinger, secondo il quale il Sud del mondo non ha mai prodotto Storia, non poteva esser più netta. Va ricostruito comunitariamente, con la condivisione di principi e valori universali, un ordine in cui i diversi attori rafforzano le istituzioni multinazionali. Per l’Italia una missione scritta nel suo Dna e nell’articolo 11 della Costituzione dove si impegna a promuovere le organizzazioni internazionali per favorire la pace e consente a limitazioni di sovranità nazionale per questo scopo. Il mondo sta guardare proprio perché le nazioni, il nazionalismo riemerso come un torrente carsico dalla storia, i deliri imperiali impediscono un dialogo efficace tra nazioni uguali.
Che fare?
Oggi bisogna ritrovare la via per rafforzare le istituzioni multinazionali contro i pericoli di chi le ritiene un ostacolo, addirittura un’anomalia: basti vedere che si è avuto persino il coraggio di bandire il segretario generale dell’Onu da Israele e di colpire le postazioni Unifil e i dipendenti di Unhcr. Il mondo rimarrà guardare fino a quando non si supererà la tragedia culturale e politica di un Occidente contrapposto alle nazioni emergenti come Brasile, Cina e India e finché non si faranno i conti con la storia e la cultura della Russia e dell’Iran senza assecondare in nessun modo i loro deliri di potenza ed influenza ma costringendoli ad essere attori positivi di un nuovo ordine mondiale come si tentò di fare negli anni 70 con la creazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. In sostanza si tratta di credere non che l’Occidente abbia finito il suo ruolo o che i suoi valori siano sconfitti ma semplicemente che l’Occidente da solo non può determinare l’ordine mondiale e che la sua influenza dipenderà dalla sua credibilità non solo sul piano militare ma sulla forza dei suoi principi. E purtroppo un’Europa preda di nazionalismi e insicura del suo futuro come entità politica non può certamente essere guida di un rafforzamento del multilateralismo.
Israele evoca sempre il diritto di difesa per legittimare ciò che sta compiendo a Gaza e ora in Libano. Ma gli oltre 40mila morti gazawi, decine di migliaia donne e bambini, sono “danni collaterali” di una giusta guerra al terrorismo?
Ciò che sta accadendo a Gaza ed in Libano è una tragedia senza precedenti nella storia di questi popoli. La popolazione civile costretta a fuggire dalle case distrutte, i bambini e le donne uccise non possono essere considerati danni collaterali ma piuttosto crimini di guerra. La grande tragedia del 7 ottobre con il crimine ingiustificabile di Hamas non doveva avere come risposta una punizione collettiva del popolo palestinese. Non è con la vendetta indiscriminata che si lenisce il dolore della perdita gravissima subita da Israele. Purtroppo, Hamas ha ottenuto quello che voleva: isolare Israele e renderlo più insicuro facendolo cadere nella trappola dell’odio.
Riconoscere lo Stato di Palestina, se non ora, quando?
La Palestina è riconosciuta da oltre 140 membri su 190 delle Nazioni Unite e recentemente Spagna, Irlanda e Norvegia si sono aggiunte al riconoscimento ufficiale a cui aderisce tutta l’America Latina, tutta l’Asia e tutta l’Africa. Stiamo parlando quindi ancora una volta della grande maggioranza della popolazione mondiale che ha assunto la soluzione due popoli-due Stati.
La domanda che dobbiamo farci è se il riconoscimento dello stato di Palestina sarebbe contraria all’esistenza di Israele. Sarebbe un pericolo per la sicurezza di Israele? Un’entità statuale palestinese che riconosce il diritto a Israele ad esistere sarebbe un pericolo o piuttosto una garanzia contro il terrorismo e le posizioni estremistiche? Io credo che sarebbe una garanzia di sicurezza per tutti i popoli della regione. Quindi è ora il momento di osare, per far fare un passo avanti alla storia e alla sicurezza del popolo israeliano e palestinese
L’Europa arma l’Ucraina in quanto paese aggredito che difende la sua sovranità statuale dall’aggressione russa. Ma anche il Libano è uno Stato sovrano invaso da un altro Stato confinante, Israele, col sostegno o il silenzio dell’Europa. Siamo al doppio standard?
La violazione dei confini è sempre stata considerata fin dagli accordi di Helsinki e dallo statuto delle Nazioni Unite come una linea rossa da non oltrepassare mai: è un’azione ingiustificabile. Va detto anche che la credibilità degli organismi internazionali si misura però sul fatto che siano operativi e che sappiano far rispettare le loro risoluzioni. La risoluzione 1701 delle Nazioni Unite prevedeva il disarmo di Hezbollah ed è chiaro che mentre si condanna l’invasione del Libano si deve anche dire con altrettanta fermezza che non è pensabile che partono razzi sulle popolazioni civili del nord della Galilea perché tutti hanno diritto a vivere in sicurezza. Si rafforzi dunque invece che smantellare la missione Onu seguendo la direzione molto seria indicata dal ministro Crosetto già un anno fa. Non sarà credibile la missione se non saprà farsi rispettare anche con l’uso della forza
Cosa significa oggi per Lei essere veri “amici d’Israele”?
Ho lavorato e vissuto in Israele e mi sento vero amico di Israele della sua cultura, della sua storia. Una storia che non fu fatta da fanatici religiosi ma da democratici lungimiranti.
Questo governo nazionalista religioso, che non ha saputo difendere i cittadini israeliani come dimostra la tragedia del 7 ottobre e i razzi che partono ogni giorno, credo verrà mandato a casa dal popolo israeliano. Però non dobbiamo nasconderci che l’antisemitismo è una mala pianta che purtroppo sta crescendo e che va combattuta come una vera peste persino annidata nel cristianesimo. Detto questo essere veri amici significa dire la verità e cioè che Israele non è al di sopra del diritto internazionale ed umanitario e che il suo diritto ad esistere non può essere pagato col diritto all’oblio dei palestinesi e che i coloni israeliani non sono eroi ma, come detto più volte dai vertici militari e dell’intelligence israeliana, persone che agiscono con modi terroristici contro civili inermi. Agli amici si deve sempre la verità.
Oggi dare del “pacifista” a qualcuno, in certi talkshow televisivi o sulle pagine della stampa mainstream, è insultarlo.
Non da oggi purtroppo chi lavora per il dialogo e la pace è considerato un debole, un visionario incapace di incidere sulla storia. Ma è proprio l’ignoranza della storia che non fa capire quanto il dialogo, la diplomazia e la ricerca ostinata della pace siamo sempre la soluzione alle trappole dell’odio e della guerra. Basti pensare alla storia europea: se avessimo seguito i ragionamenti dei bellicisti di casa nostra Francia e Germania starebbero ancora combattendosi dopo la Seconda guerra mondiale e invece hanno dato origine insieme all’Italia al grande sogno europeo, al benessere per un continente di oltre 500 milioni di persone. Era realistico deporre le armi e dar vita a una comunità politica di cooperazione comunitaria? Sì lo era e la storia lo dimostra-
Dall’Egitto dalla Giordania non partono missili contro Israele perché sono stati firmati dei trattati: si è cioè dato voce alla diplomazia e non alle armi. Il realismo della pace è più forte della follia della guerra. Per la sicurezza di Israele e per i diritti dei palestinesi non vi è altra strada che quella di tornare a sedersi, a parlarsi e a convivere. Tutto il resto non è politica ma semplicemente il fallimento dell’umanità e della politica.