Intervista al deputato dem

Parla Matteo Orfini: “Il governo in silenzio sui crimini di Israele”

«Non rispettava il diritto internazionale neppure mentre sterminava i palestinesi a Gaza, ma su questo l’esecutivo italiano è stato assente», dice il deputato dem. «Riconoscimento dello stato di Palestina ed embargo delle armi agli israeliani: bisogna reagire»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

18 Ottobre 2024 alle 08:00

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Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica
Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica

Matteo Orfini, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico: “Chiediamo al governo di riconoscere lo Stato di Palestina come parte di un processo di pace che in questo momento è completamente sparito dai radar”. Così Elly Schlein mercoledì in Aula alla Camera. Ma il governo Meloni continua a prendere e perdere tempo.
Il governo continua ad essere completamente e colpevolmente assente dalla vicenda drammatica mediorientale. Alle petizioni di principio, alcune anche condivisibili, non segue poi alcun atto conseguente, tantomeno un protagonismo politico. Noi siamo di fronte ad una situazione drammatica. Abbiamo tutti riconosciuto dopo quel sanguinoso 7 ottobre 2023, il diritto d’Israele a difendersi e a reagire, ma al tempo stesso abbiamo sempre detto che ciò doveva avvenire entro i limiti del diritto internazionale. È sotto agli occhi di tutti che questo non è successo.

E cosa è successo?
Siamo di fronte non ad un atto di difesa ma all’apertura di un conflitto regionale, con l’obiettivo dichiarato, da parte del governo israeliano, di ridefinire la mappa del Medio Oriente. Una fase diversa, illegittima, illegale, fuori da ogni regola e norma del diritto internazionale e umanitario, che ha prodotto una strage infinita, decine di migliaia di morti, moltissimi dei quali donne e bambini. Adesso che c’è stato l’attacco alle basi Unifil in Libano, anche il governo si è accorto che Israele non rispetta il diritto internazionale. Ma non lo rispettava nemmeno quando, in questi mesi, sterminava i palestinesi a Gaza. Su questo il governo ha avuto sempre e comunque, un atteggiamento se non accondiscendente quantomeno assente. Un governo che non ha esercitato alcun ruolo di pressione nei confronti d’Israele, anzi in più di una occasione, ad esempio quando si è trattato di condannare le azioni violente dei coloni in Cisgiordania o chiedere il rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, il governo non si è schierato di certo dalla parte della legalità e del diritto internazionale.
Il PD ha colto, ancora una volta, l’occasione del dibattito in Aula per chiedere due cose molto chiare e nette.

Quali?
Anzitutto, il riconoscimento dello Stato palestinese. Non si può dire due popoli, due Stati, e poi di fronte al dramma e alle azioni d’Israele, continuare a non riconoscere la Palestina, perché questo contraddice platealmente quello che si dichiara di voler raggiungere come obiettivo, quello di una soluzione a due Stati.
La seconda cosa che abbiamo chiesto è di essere parte di una iniziativa europea di pressione su Israele. Quando alcuni leader europei iniziano a porre il tema di un embargo totale delle armi a Israele, non ci si può limitare a dire, come hanno fatto la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, che noi non le vendiamo. Perché il tema non è se le vende o meno l’Italia. La questione davvero dirimente è se si unisce il fronte di importanti Paesi europei, intorno ad una azione che produca qualche effetto concreto e che rappresenti anche un segnale politico molto duro che in questo momento va dato a Israele.

A proposito dell’altro fronte esplosivo in Medio Oriente, quello libanese. Nelle sue comunicazioni in Parlamento, il ministro della Difesa Crosetto, ha detto, tra le altre cose, che “Israele ha diritto di difendersi ma rispetti le basi Unifil”. Ma basta questo?
Ovvio che non basta. Crosetto ha detto anche cose corrette ma poi manca sempre un’azione conseguente. Siamo di fronte ad un’azione militare ripetuta, perché non si è trattato di un incidente singolo, di un fatto episodico, circoscritto nella portata e nel tempo. Gli attacchi dell’esercito israeliano alle strutture Unifil sono stati diversi e continuano, nonostante le proteste internazionali.
Le operazioni militari dell’esercito israeliano sono accompagnate da un’azione politica, che precede anche la tragedia del 7 ottobre, di totale delegittimazione da parte delle autorità israeliane di qualsiasi struttura e istituzione sovranazionali. Le leggi che si stanno votando alla Knesset (il Parlamento israeliano), la criminalizzazione dell’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ndr), il violentissimo attacco verbale del primo ministro israeliano che nel suo recente discorso all’Assemblea generale dell’Onu, ha accusato le Nazioni Unite, cito testualmente, di essere una “palude antisemita”, “una società terrapiattista anti-israeliana” e una “farsa sprezzante”, beh, tutto questo che altro è se non una delegittimazione da parte d’Israele delle Nazioni Unite e degli organismi sovranazionali? Tutto questo è parte di un disegno politico, l’idea che si delegittimano quelle strutture per non doverne subire il controllo e non esser limitato da quelle regole. È un’aggressione al diritto internazionale e al multilateralismo. Se si riconosce che questo è il tema, poi la risposta deve essere conseguente e misurata dagli atti che si compiono e non dalle parole che si dicono. Crosetto non è un commentatore. Questo lo può fare l’editorialista di un giornale, da un ministro ci si aspetta che sia in grado di mettere in campo un’azione politica.
Per questo diciamo: riconoscimento dello Stato palestinese, embargo delle armi a Israele. Bisogna reagire. Il diritto internazionale vale per tutti e dunque anche per Israele.

Un altro tema drammatico è quello dei migranti e delle stragi in mare. L’Unità ha titolato nei giorni scorsi in prima pagina: “Meloni in Parlamento si schiera con i trafficanti libici. Povera patria…”. È troppo?
Assolutamente no. Quel titolo è corretto, perché è cronaca. Nel momento in cui la premier in Aula attacca Sea Watch, che si era limitata a raccontare quello che ormai diversi processi, inchieste, hanno determinato, cioè che la cosiddetta Guardia costiera libica, è in larga parte costituita dalle stesse persone che organizzazioni il traffico di esseri umani, di fatto si sta difendendo, da parte di Meloni, la cosiddetta Guardia costiera libica, cioè i trafficanti.
Anche qui, non c’è nulla di nuovo, purtroppo. Si può dire semmai, e a ragione, che al peggio non c’è mai fine.

A cosa si riferisce?
Sono i giorni dell’inaugurazione dei centri in Albania, che peraltro già nelle prime ore hanno svelato l’enorme truffa che nascondono. In tre giorni sono arrivate a Lampedusa 1600 persone, solo 16 su 1600 sono partite per l’Albania, 4 sono dovute tornare subito indietro, perché 2 erano minori e 2 erano fragili e quindi non potevano, da protocollo, essere portati in Albania, a dimostrazione che la procedura di identificazione e di screening fatta su nave in acque internazionali non funziona, tanto che dopo poche ore li devono rimandare indietro. E vedremo cosa succederà per i restanti 12 che sono ancora lì, quanto resteranno in Albania, ad occhio molto poco. Tutto questo oltre ad essere una grave lesione dei diritti dei migranti – è il caso dei 2 minori e dei 2 fragili, salvati in mezzo al mare, in una situazione di grande difficoltà, per poi dover subite un viaggio di due giorni in Albania, rimessi su una nave e riportati in Italia -, in più si aggiunge un costo spropositato. Solo il trasporto dei 16, per non parlare dei costi dei campi in Albania, le stime indicano che sia costato all’Italia più di 250mila euro. Vuol dire tra i 15 e i 20mila euro a migrante. Solo di viaggio. Ventimila euro. Una destra che ha fatto per anni una campagna sostenendo che i costi dell’accoglienza erano troppo alti, che ogni migrante costava allo Stato una trentina di euro al giorno e che questo era una vergogna, poi si spendono ventimila euro a testa solo per fargli fare un inutile viaggio su e giù per l’Albania!

In questo autunno politicamente molto caldo, un altro fronte scottante è quello della legge di bilancio. Si può dire, prendendo in prestito un vecchio adagio, che Giorgia Meloni si sta dimostrando forte con i deboli e debole con i forti?
Sì. In questa legge di bilancio sta emergendo quello che temevamo, cioè il fatto che non c’è sostanzialmente nulla per chi oggi nel nostro Paese, e sono tantissimi, si trova in difficoltà. I lavoratori, quelli che il lavoro non ce l’hanno, le imprese che hanno bisogno di essere sostenute per competere, i commercianti…Non c’è nulla che aiuti l’economia e dia sollievo all’emergenza sociale. Non c’è praticamente nulla per una sanità pubblica che è al collasso, solo le bugie e la propaganda del governo. E si porta avanti questa macelleria sociale, mentre si buttano un miliardo per i centri in Albania, miliardi per il ponte sullo Stretto. La legge di bilancio serve a pagare la propaganda di Giorgia Meloni. Solo che la pagano gli italiani. Non c’è nulla di utile per il Paese, ci sono solo provvedimenti costosissimi che servono a pagare la perenne campagna elettorale della presidente del Consiglio.

La Palestina, il superamento di una politica securista sui migranti, una legge di bilancio equa e socialmente efficace…Tanti fronti aperti. L’opposizione è in grado di sostenerli?
Il centrosinistra è in una fase di costruzione. Ci vorrà tempo. Penso che il Partito democratico sia più avanti. Finalmente, anche grazie al lavoro della Segretaria e di un gruppo dirigente diffuso nel PD, stiamo dedicando più tempo del solito alla costruzione dell’alternativa, con battaglie politiche di merito, sulla sanità, il salario minimo, sull’immigrazione, sui diritti, sull’economia, piuttosto che impantanarsi in una discussione autoreferenziale all’interno del centrosinistra. Abbiamo fatto bene a non reagire alle polemiche di queste settimane, spesso scatenate dai nostri alleati di opposizione. L’unità del centrosinistra si fa sulle battaglie, nel fuoco delle battaglie di opposizione. Su questo come PD siamo concentrati, come lo siamo sulla campagna elettorale di Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna. Sono tre sfide che dobbiamo assolutamente provare a vincere. La prima in Liguria tra pochi giorni, in cui tutti siamo intorno ad Andrea Orlando per provare a riconquistare una regione così importante per la storia della sinistra e per il nostro Paese.

18 Ottobre 2024

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