L'appello in solitudine
Se i cattolici tacciono sulla guerra sono complici di Netanyahu
“Tacciano le armi, basta vittime innocenti!” Bergoglio ha rivolto ormai decine di appelli al mondo intero, ma la Chiesa sembra tiepida e inerte. Non c’è nessuno oltre al Pontefice a volere la pace?
Editoriali - di Fabrizio Mastrofini
Domenica scorsa papa Francesco ha di nuovo rivolto un appello per la pace, per la fine dei conflitti. Particolarmente forte il messaggio per il Medio Oriente e l’Ucraina. “Fratelli e sorelle, la guerra è un’illusione, è una sconfitta, non porterà mai la pace, non porterà mai la sicurezza, è una sconfitta per tutti, soprattutto per chi si crede invincibile. Fermatevi, per favore! Rivolgo il mio appello affinché gli ucraini non siano lasciati morire di freddo, cessino gli attacchi aerei contro la popolazione civile, che è sempre la più colpita. Basta uccidere innocenti!”.
Non si contano più gli appelli, i messaggi, le lettere, dall’inizio della guerra in Ucraina, che hanno visto il papa parlare. E oramai nelle diverse occasioni, gli scenari dell’Europa e del Medio Oriente sono nella mente e nelle parole del Papa, a volte da soli, a volte insieme ad altri in Africa, America Centrale (Haiti), Asia (Myanmar) e altrove. Ma chi lo ascolta? Anzi, la domanda più puntuale potrebbe essere: perché i Capi di stato, che fanno a gara per andare da lui in udienza, ignorano nella sostanza ogni appello per la pace? Per i politici, forse la risposta è drammaticamente chiara: la pace è una parola, non una priorità nella misura in cui viene subordinata a inconfessabili interessi economico-finanziari.
Però in subordine abbiamo un’altra domanda: all’interno della Chiesa, chi ascolta il Papa? Perché non abbiamo un movimento di opinione cristiana mondiale (1,2 miliardi i cattolici, 2 e oltre miliardi i cristiani nel mondo) capace di smuovere governi e potentati? Il Sinodo dei vescovi in corso in Vaticano ha visto in queste due settimane degli intensi momenti di preghiera per la pace. In Europa, la Comece (la Commissione delle Conferenze episcopali europee con rappresentanza a Bruxelles), suo cerca di lavorare per sensibilizzare il Parlamento Europeo. Ma poi? Il grande vuoto viene non solo e non tanto dalle diverse Conferenze episcopali ma soprattutto dalla teologia. Migliaia di teologi, nel mondo, vengono toccati dai conflitti e dalle grandi questioni internazionali? Sembra di no. Eppure papa Francesco ha avuto una grande intuizione, quella di parlare per primo del grande tema della Fraternità.
Nel 2019, in una lettera alla Pontificia Accademia per la Vita e al suo presidente mons. Vincenzo Paglia, per i 25 anni di questa istituzione, aveva avuto parole chiarissime: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. I valori della Rivoluzione Francese, che la Chiesa ha avversato per un secolo e mezzo, adesso si trovano scavalcati da papa Francesco in chiave non solo politica ma interreligiosa. Dal tema della fraternità è scaturita la firma del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, noto anche come “Dichiarazione di Abu Dhabi”, siglato il 4 febbraio 2019 da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib. Ma soprattutto l’Enciclica “Fratelli Tutti” del 2020.
E la teologia segue il Papa? E i teologi?
Naturalmente quasi tutto tace, presi come sono i teologi nell’insegnare agli oramai pochi studenti, rendendo problematica o rinviando sine die anche l’ulteriore appello sempre del papa alle Università pontificie romane affinché si uniscano le forze invece di disperderle in una rincorsa all’acchiappa-studente. Un piccolo segnale che la situazione è arrivata al capolinea e la Chiesa magari dovrebbe cambiare rotta, pena l’insignificanza totale, arriva in queste settimane da un intervento del teologo Severino Dianich, significativamente intitolato “sul tradimento dei teologi” e pubblicato da Settimananews, il sito di informazione e approfondimento dei religiosi Dehoniani italiani. Un passaggio di Dianich aiuta a chiarire la serietà del suo approccio e la vastità e profondità del problema, che riguarda tutti i “tipi” di specializzazione teologiche.
Scrive Dianich: “Ci si aspetterebbe dai biblisti e dai liturgisti che aiutassero i lettori della Bibbia e i partecipanti alle celebrazioni liturgiche a mettere insieme le notizie dei telegiornali sulle nefandezze che il governo di Netanyau sta commettendo a Gaza e in Cisgiordania e le narrazioni bibliche sulla conquista della terra promessa, senza che in alcun modo queste possano venire a legittimare quelle. Il problema della guerra, infatti, oggi, non si accontenta di provocare le dottrine vecchie e nuove sulla possibilità di una guerra giusta, ma ne ripropone addirittura vecchie e nuove motivazioni esplicitamente religiose, con i relativi appelli in Medio Oriente al Corano da una parte e alla Bibbia dall’altra. E tutto questo non avrebbe dovuto provocare sui media, dai giornali ai social, una fitta presenza dei teologi sui media e accesi dibattiti con gli altri opinionisti e anche fra di loro, nel verificarsi delle diversità di giudizio, tali da accendere la curiosità della pubblica opinione? Niente di tutto questo sta accadendo”. E ancora mette l’accento sulla “responsabilità dei teologi cristiani nei confronti della società civile. Il loro silenzio sarà imputato dagli storici del futuro a colpa della Chiesa del nostro tempo, perché la Chiesa non è il papa, il quale si ritrova praticamente solo, a proclamare e ribadire, con testarda insistenza, il giudizio del vangelo sugli eventi presenti”.
Risposte? Qualcuna, molto dotta, e poco utile. Dianich ha detto chiaramente che il “silenzio” è “tradimento”. I vari interventi che lo hanno seguito e commentato (Andrea Grillo, Piero Coda, Francesco Cosentino, ne cito solo alcuni) gli danno variamente ragione. Ma si fermano qui. Il rinnovamento vero ed efficace della teologia sarebbe altra cosa. E tra tutte le diverse specializzazioni – seguendo il papa che ha parlato della necessità di un approccio inter e trans disciplinare – sarebbe il caso di mettere in chiaro che la teologia morale avrebbe oggi il compito di unificare le discipline, in una corale ed ampia riflessione sul senso del vivere il Vangelo nelle società e nei conflitti. Papa Francesco con i suoi interventi supera un po’ tutti, a sinistra. E siccome è scomodo, la sua stessa Chiesa fatica a seguirlo. Peccato, perché poi vescovi e teologi si lamentano dell’insignificanza del cristianesimo nelle società europee. Ma l’uno aspetto è la concausa dell’altro. E la teologia finché resta confinata nelle aule dei seminari e delle Facoltà teologiche, e non scende a sporcarsi le mani sui reali problemi, serve a poco.
Ad esempio, i teologi morali, i biblisti, i teologi di teologia fondamentale, potrebbero chiedersi e chiedere ai teologi islamici ed ai rabbini, ma anche al mondo cristiano ortodosso, come sia possibile combattere ognuno nel nome del medesimo Dio dell’altro. E le guerre come si possono pensare – oggi – vedendo che potrebbero proseguire senza una fine? E che pensano le religioni delle vittime innocenti? E la distruzione ambientale provocata dai conflitti, che giustificazione potrà mai avere? La catena di rancori e odio e i relativi strascichi delle guerre, in che modo si possono interrompere? Il Dio della Bibbia, del Vangelo, del Corano, da che parte viene ‘tirato’ dai diversi governanti per autoattribuirsi legittimità belliche? Il Comandamento del non uccidere, quanto vale, a che serve, se uno Stato commina la pena di morte ad innocenti? La protezione che la Bibbia accorda a orfano, vedove, profughi, oggi non vale più?
E si potrebbe proseguire, per mostrare l’inesistenza della fraternità. Il papa però insiste su una tematica centrale, come un generale senza esercito. E senza questo seguito di vero pacifismo, che speranza abbiamo di vedere la fine dei conflitti? Serve un movimento di opinione capace di mobilitare le coscienze di tutti, dicendo chiaramente che possiamo avere idee diverse e anche profondamente diverse, ma le diatribe vanno risolte senza violenza. E chi la inizia o la prosegue, va fermato con tutti gli strumenti possibili. Però pacifici. Almeno possono cominciare i teologi cattolici? O dobbiamo lasciare Severino Dianich e il papa in buona compagnia tra loro, mentre gli altri dicono che i due hanno ragione, ma poi disquisiscono a vuoto? Dobbiamo cominciare a predicare e diffondere una vera teologia della pace e della fraternità, fondata sulla Bibbia, non di chiacchiere, vincolante per tutti.