La mossa a sorpresa
Trump più libertario di Meloni e Salvini, anche Donald dice sì alla cannabis legale
Il tycoon voterà sì al referendum in Florida e si è detto favorevole alla declassificazione della marijuana avviata da Biden. Così prova a catturare il consenso su un tema sempre più popolare tra gli elettori, sconfessando i conservatori del suo partito e anche il suo vice designato Vance
Esteri - di Leonardo Fiorentini
Non ci sarà solo la sfida fra Kamala Harris e Donald Trump a tenere alta l’attenzione sulla prossima tornata elettorale negli USA. Sono già tre gli Stati dove si voterà anche per decidere se legalizzare la cannabis per gli adulti: North e South Dakota e Florida. In Arkansas i promotori hanno consegnato le firme, e si sta attendendo il loro vaglio. In Nebraska si voterà invece per la cannabis terapeutica.
Si tratta di Stati tradizionalmente conservatori, dove quindi il risultato è tutt’altro che scontato. In South Dakota è addirittura la terza volta che si vota per la legalizzazione, dopo che l’ultimo referendum, passato alle urne, è stato poi annullato dalla Corte suprema dello Stato. In Florida, essendo sotto forma di emendamento costituzionale, la proposta richiede un quorum di almeno il 60% di favorevoli. Nonostante questo secondo alcuni recenti sondaggi l’obbiettivo è a portata anche nel paese del Governatore repubblicano Ron DeSantis, acerrimo oppositore della misura. Un recente sondaggio pubblicato dall’Università della Florida del Nord, vede il 64% dei probabili elettori favorevole all’emendamento (79% fra i democratici, 50% fra i repubblicani e 63% degli indipendenti) con solo il 5% di indecisi.
A sorpresa è intervenuto a favore della legalizzazione anche il candidato Repubblicano alla Presidenza, Donald Trump. L’ex Presidente vota in Florida e dopo settimane di traccheggiamento ha scritto che essendo probabile che gli elettori votino la misura “che alla gente piaccia o meno”, questa “dovrebbe essere fatta correttamente”. Trump, rivolgendosi ai legislatori del Sunshine State ha sottolineato che bisognerebbe “proibirne l’uso negli spazi pubblici, in modo da non sentire l’odore di marijuana ovunque si vada, come avviene in molte città gestite dai democratici”. Un problema apparentemente di non complicata soluzione. Essendo legale in così tanti altri Stati (al momento 24) per Trump non c’è “bisogno di rovinare vite e sprecare i soldi dei contribuenti arrestando adulti con addosso cannabis ad uso personale e nessuno dovrebbe piangere una persona amata perché è morta a causa di marijuana tagliata con il fentanyl”.
Una posizione in netto contrasto non solo con DeSantis, che teme di trasformare “la Florida in San Francisco o Chicago”, ma anche con buona parte dei conservatori locali, che infatti già protestano. Anche J.D. Vance, candidato repubblicano alla Vice Presidenza, in passato ha criticato l’approccio regolatorio sulla cannabis, sostenendo che questo potrebbe portare a un aumento dell’uso di droghe più pesanti. Vance ha spesso collegato la legalizzazione al degrado delle comunità. Ha criticato la “banalizzazione” della droga, suggerendo che potrebbe avere effetti negativi a lungo termine, specialmente tra i giovani. Insomma, un piccolo Mantovano d’oltreoceano. Donald Trump finora sulla legalizzazione della cannabis aveva sempre evitato di esprimersi. Anche durante la sua presidenza, seguendo la storica dottrina repubblicana che rivendica la sovranità dei singoli stati rispetto alle ingerenze del governo federale, aveva solo ribadito come la decisione fosse appunto statale. Un’ottima via di fuga, che però non è riuscita a nascondere come la sua amministrazione si è dimostrata in realtà ostile alla legalizzazione. Soprattutto attraverso l’ex procuratore generale Jeff Sessions, che nel 2018 aveva annullato il memorandum di Obama che limitava l’intervento federale negli Stati dove la cannabis era legale.
In una intervista al Lex Fridman Podcast, Trump ha detto che la vittoria in Florida sarà un risultato “molto buono”: “possiamo convivere con la marijuana [legale]”; ha poi sostenuto il provvedimento che vuole permettere alle banche di aprire conti all’industria della cannabis, e rassicurato che intende proseguire la riclassificazione della cannabis avviata da Biden. Se per l’altro referendum in Florida, che mira ad allungare a 24 settimane, dalle 6 attuali, il periodo nel quale l’aborto rimane legale, l’ex Presidente era tornato sui suoi passi – “sei settimane sono poche”, si era lasciato sfuggire – dopo la levata di scudi del Partito locale, sulla cannabis ormai sembra “ingaggiato”. Un portavoce della campagna democratica ha accusato Trump di “sfacciate giravolte”. “Trump dice una cosa dopo averne fatta un’altra”, ricordando appunto il giro di vite prodotto da Jeff Sessions. A difesa di Trump è sceso in campo Robert F. Kennedy Jr, ritiratosi dalla corsa alla presidenza per sostenere il tycoon – con una mossa apparentemente strategica negli Stati chiave. L’ultimo dei Kennedy, arrestato da adolescente proprio per cannabis, ha strumentalmente accusato Kamala Harris di aver perseguitato migliaia di consumatori di cannabis quando era procuratore della California. Al momento non sono pervenuti commenti di Matteo Salvini.
Le posizioni dei candidati democratici sembrano più lineari, anche se i commentatori continuano a sottolineare che in questa campagna presidenziale non siano ancora emerse. Harris da senatrice fu la prima firmataria nel 2019 del MOREAct, la proposta di legge per la rimozione della cannabis dalle tabelle della legge federale sulle droghe e la sua regolamentazione, mentre il suo candidato vice Tim Waltz ha più volte chiesto la fine del proibizionismo e giusto l’anno scorso firmato la legge che ha legalizzato la cannabis in Minnesota. Certo Harris nel suo ruolo di Vice Presidente ha poco inciso su questi temi, come del resto su molti altri. Hanno pesato le posizioni meno “radicali” del Presidente Biden, disposto a discutere solo di depenalizzazione. Nonostante questo, è stato avviato il processo di declassificazione della cannabis dalla tabella I alle III della legge federale, che però dovrà attendere le audizioni fissate dalla DEA per dicembre per avere la sua conclusione.
Se è vero, come ricordato proprio da Trump qualche mese fa, che la legalizzazione è un tema sempre più popolare fra gli elettori – che meglio ci fa comprendere le sue recenti prese di posizione – sarà interessante capire se e come interferirà stavolta con la campagna elettorale presidenziale. In un paese che appare sempre più diviso e sempre più polarizzato, metà della popolazione vive già in un regime di regolamentazione legale della cannabis: l’altra metà che vorrà fare?
*Forum Droghe