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Chi è Renato Vallanzasca e perché è stato liberato: finisce così la tortura dopo 52 anni di prigione
Il Tribunale di sorveglianza accoglie la richiesta degli avvocati e della procura di Milano. Dopo 52 anni di prigione andrà in una struttura sanitaria
Cronaca - di Frank Cimini
La tortura è finita. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano sposa la tesi sia della procura generale sia dei difensori per trasferire Renato Vallanzasca dal carcere di Bollate a una struttura sanitaria in provincia di Padova dove sarà in regime di detenzione domiciliare. La decisione era scontata dopo che in udienza il 10 settembre scorso il pg Giuseppe De Benedetto aveva parlato di “demenza accertata di conclamata incompatibilità con il carcere”.
Dopo 52 anni di carcere non c’era alternativa. Vallanzasca presente fisicamente in udienza era rimasto in silenzio. “Le sue condizioni non gli fanno neanche capire il senso della pena” avevano messo nero su bianco i difensori Corrado Limentani e Paolo Muzzi nell’istanza in cui chiedevano di liberarlo. I medici del carcere di Bollate lo avevano definito “disorientato nel tempo e parzialmente nello spazio con comportamenti inadeguati e scarsamente collaborativi”. La malattia aveva cominciato a incidere a gennaio dell’anno scorso per poi andare a un rapido e progressivo peggioramento soprattutto a causa dell’ambiente carcerario. Prima dell’estate erano stati riattivati i permessi premio con la possibilità di frequentare una comunità terapeutica. Poi c’erano state difficoltà nel differire la pena perché non si trovava un luogo di cura adeguato.
Dice l’avvocato Davide Steccanella in passato suo difensore: “Uno stato ingiusto e vendicativo ha distrutto la mente oltre al corpo di un prigioniero. Lasciai la difesa perché non volevo più partecipare con il mio avallo di soggetto legittimato a quello che ritenevo fosse un vero e proprio scempio anche dello stesso dettato costituzionale. Speravo di sollevare con quel gesto un ‘problema’ ma allora arrivò il diniego di scarcerarlo. Quattro anni fa sarebbe ancora stato in grado di apprezzare il fatto di poter dormire dopo mezzo secolo in un letto senza sbarre. Bravissimi i due colleghi che si sono presi carico del caso. Complimenti allo Stato italiano e all’amministrazione della sua (in)giustizia”.