Parola all'europarlamentare Pd
“E’ in gioco il futuro dell’Europa, non è un problema di poltrone”, intervista a Camilla Laureti
«Chiediamo coerenza rispetto alla piattaforma politica su cui è nata la maggioranza europeista che ha portato alla presidenza di Von der Leyen, che Ecr non ha sostenuto. Non si parla di posti o destini individuali, è una grande questione politica»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Camilla Laureti, europarlamentare Pd, eletta prima vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici all’Eurocamera: le guerre continuano. Si inaspriscono. In Ucraina, in Medio Oriente. E chiamano in causa l’Europa. Ma l’Europa balbetta.
Sicuramente un elemento di debolezza risiede nella mancanza di una politica estera e di difesa comuni. L’abbiamo sempre sostenuto: la logica del riarmo dei singoli stati è un pericoloso vicolo cieco, come insegna la storia del Novecento, e altrettanto pericoloso è paventare un’economia di guerra europea. È urgente su questo un cambio di passo. L’Unione deve darsi una politica estera e di difesa comuni perché questo la renderebbe un soggetto più forte sul piano diplomatico, in linea con il senso profondo della sua nascita: progetto di pace nato sulle macerie drammatiche delle due guerre mondiali. La difesa comune, poi, significa inizialmente un coordinamento di investimenti e produzioni, razionalizzando in questo modo le spese e liberando risorse da investire, per esempio, in politiche sociali. E va superato il principio dell’unanimità, altro nodo strategico.
È mancato dunque quello che viene definito “un surplus diplomatico”?
Esattamente. Eppure, era necessario dopo aver – giustamente – sostenuto in tutti i modi l’Ucraina aggredita, sanzionato la Federazione russa, contrastato il principio inaccettabile che si possano invadere stati sovrani senza conseguenze. In Medio Oriente l’azione dell’Ue è stata debole. Penso per esempio al necessario riconoscimento dello stato di Palestina, elemento fondamentale di sicurezza anche per Israele, il cui governo di Netanyahu sta portando avanti un’operazione criminale nella Striscia di Gaza, senza dimenticare quanto accade in Cisgiordania. Un governo che si sta configurando, come dimostrano le manifestazioni di piazza, come un impedimento per la pace e la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani criminali di Hamas. Sarebbe utile, poi, riprendere la proposta delle sanzioni verso i ministri dell’estrema destra ultra-nazionalista indicata dall’Alto rappresentante Borrell.
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L’autunno si annuncia politicamente rovente. Visto da Bruxelles, e in chiave europea, quali sono le sfide su cui la sinistra deve cimentarsi con maggiore incisività e protagonismo?
La sfida della sinistra al livello europeo, penso al gruppo dei socialisti e democratici di cui il Pd è parte, deve essere quella di tenere insieme la crescita economica con la coesione sociale. Lo ha detto bene, nel suo discorso di riconferma come presidente di S&D, la mia collega Iratxe García Pérez, elencando proposte concrete: contrasto a povertà e disoccupazione, promozione di un salario di sussistenza, politiche abitative per alloggi a prezzi accessibili, certezza di assistenza sanitaria e dignità pensionistica, attuazione del Green Deal. E poi politiche di integrazione e difesa dello stato di diritto che è, anche questo, un modo per costruire la pace. Per questo centrale è l’azione unitaria con le altre forze europee, quelle dei verdi e dei liberali.
E in Italia?
La nostra agenda parla chiaro: introduzione del salario minimo; difesa dell’unità nazionale e della repubblica contro il progetto secessionista dell’autonomia differenziata, a partire dal referendum; protezione e rilancio del Sistema sanitario nazionale, vera emergenza che grava ogni giorno sulla vita delle persone; piena attuazione del Pnrr e messa a terra dei fondi europei per le politiche di coesione per rilanciare le aree interne e contrastare lo spopolamento delle nostre comunità; approvazione del congedo paritario retribuito al 100% di 5 mesi per entrambi i genitori, per favorire l’occupazione femminile che al Sud raggiunge i livelli più bassi d’Europa; un vero piano industriale per accompagnare la transizione ecologica nei settori produttivi, compresa ovviamente l’agricoltura. Queste sono alcune delle priorità su cui, in Italia, stiamo lavorando a testa bassa da mesi. La segretaria recentemente ha parlato degli obiettivi del Pd su cui rilanciare un’opposizione unita e che “stanno sulle dita di una mano”: sanità pubblica, istruzione pubblica, lavoro e salari, politiche industriali per accompagnare la transizione ecologica e digitale, diritti sociali e civili.
Due anni di governo delle destre. In chiave europea che bilancio trarre?
Continuo a giudicare questo governo pericoloso anche rispetto al ruolo dell’Italia in Europa, della forza e della credibilità del Paese nell’incidere sulle politiche comunitarie. Noi abbiamo bisogno di un’Europa forte, che possa in questo modo rispondere alle sfide che abbiamo di fronte, prima fra tutte la conversione ecologica, e quindi la necessità di investimenti pubblici per accompagnarla e rendere l’Ue capace di reggere l’impatto del rapporto con le grandi potenze, dalla Cina agli Usa. È la sfida della competitività di cui parla il rapporto di Mario Draghi, un pungolo che richiama noi tutti al dovere dell’azione immediata. Da questo punto di vista il governo Meloni non offre garanzie, essendo attraversato da spinte anti-ambientaliste e anti-europeiste che non sono affatto archiviate, se pensiamo anche alle parole pronunciate da Orbán pochi giorni fa, quell’indicare Meloni come la propria “sorella cristiana”. Ecco il rischio di una spinta del Paese alla periferia politica europea, col blocco dei sovranisti dell’Est, da parte della Lega e di FdI, ci preoccupa, perché rischia di danneggiare l’Italia stessa il cui futuro è legato ad un’Unione più forte.
E se il ministro Fitto avesse un incarico di peso?
Noi abbiamo chiesto sempre il riconoscimento del ruolo dell’Italia come stato fondatore dell’Ue. Quindi la destra non perda tempo ad esortarci al rispetto dell’interesse nazionale: l’abbiamo sempre difeso, proprio difendendo anche una precisa idea di Europa che fa bene all’Italia, a differenza dei sovranisti. Per inciso, quando ci ricordano il loro atteggiamento verso Gentiloni: in aula, la scorsa volta, l’Ecr votò contro tutta la Commissione. Al tempo stesso però chiediamo coerenza rispetto alla piattaforma politica su cui è nata in Parlamento, poche settimane fa, la maggioranza europeista che ha portato alla presidenza Von der Leyen, che Ecr non ha sostenuto. Per questo il gruppo di S&D sta chiedendo chiarezza e coerenza rispetto a quanto deciso a luglio. Aspettiamo dunque la proposta complessiva della presidente, ribadendo che per noi la Commissione deve, in tutte le sue componenti, non deflettere dall’orizzonte europeista e dagli obiettivi che si è data la maggioranza che ha votato Von der Leyen: Green Deal e investimenti comuni per accompagnarlo, rafforzamento dell’housing sociale e del welfare, pace, rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, accelerazione del processo di integrazione, superamento del principio dell’unanimità. Non è un problema di posti, di destini individuali, non è una vicenda di braccio di ferro per il potere: è una grande questione politica che riguarda il futuro dell’Unione, il bivio tra la sua fine e il suo rilancio.
Passata l’estate dei gossip e delle patetiche figure di ministri piangenti, il governo è chiamato a fare i conti: si discute di legge di bilancio. Una problematica seguita con grande attenzione da Bruxelles. La butto giù seccamente: l’Italia è sotto esame?
Più che gossip mi è sembrata una preoccupante vicenda di interesse pubblico, tutt’altro che chiarita. Detto questo, certo, la manovra mette in allarme e non solo in Europa. Noi democratici abbiamo già detto che è urgente un lavoro comune delle opposizioni anche su questo. L’Ue già ha messo in guardia il governo, ma una legge di Bilancio riflette la volontà politica. L’usurata retorica della coperta corta è un maldestro tentativo giustificazionista. Siamo alla terza manovra di questo esecutivo: scuse non ce ne sono più, se mai ce ne fossero state. La privatizzazione del diritto alla cura e lo smantellamento del Ssn piuttosto che il ventilato fare cassa sulle pensioni: sono scelte politiche della maggioranza e noi, insieme al paese, gliene chiederemo conto. Il fatto che il Piano strutturale di bilancio venga rimandato dalla maggioranza è un segnale della confusione che domina. Il fatto che venga poi deciso in Cdm e dopo discusso in Parlamento, invece, è un segnale dell’arroganza: parliamo delle scelte finanziarie per i prossimi 7 anni! Lo abbiamo detto, l’ha detto la segretaria: se il governo c’è, noi ci siamo a dare un contributo per scelte che riguardano il futuro dell’Italia. Il confronto va fatto con le forze parlamentari, sociali ed economiche del Paese e va fatto ora.
Altro tema scottante, in tutta la sua drammaticità, è quello dei migranti. Al di là delle dichiarazioni di principio, o di improbabili “piani Mattei”, l’approccio europeo resta quello securitario. Prigionieri di Orbán?
Sì, prigionieri di chi crede che l’Europa possa tornare ad ospitare muri, che i confini si possano sigillare, che arriva a ricattare le istituzioni comunitarie e che vuole stare nell’Ue godendo soltanto dei benefici di questa appartenenza, senza farsi carico delle responsabilità che essa comporta. Un atteggiamento ingiusto quanto inefficace. Le migrazioni sono fenomeno strutturale che va affrontato con il principio della solidarietà fra paesi, rendendo obbligatoria l’accoglienza, perché chi sbarca a Lampedusa sbarca nell’Unione, e che superi veramente il regolamento di Dublino, che lascia soli i paesi di primo approdo come l’Italia. L’ultimo Patto danneggia il nostro paese e calpesta i diritti umani, compresi quelli dei minori, per tanto in questa nuova legislatura dobbiamo impegnarci ad agire. Lo dobbiamo ricordare al governo Meloni che continua a indicarlo come un passo avanti cedendo alle spinte dei suoi amici sovranisti, in primis Orbán appunto. Dobbiamo puntare a canali di accesso legali e sicuri, efficaci anche per contrastare la tratta di esseri umani, e dobbiamo chiederli a livello europeo, così come a livello europeo dobbiamo pretendere una missione di soccorso in mare. E poi, in Italia, va cambiata la Legge Bossi-Fini, anacronistica, inefficace e ingiusta, e va riconosciuta la cittadinanza italiana a chi nasce e cresce qui da noi.