Il caso a Terno d’Isola
L’assassino di Sharon Verzeni preso grazie a due testimoni magrebini, ma i razzisti non lo dicono
“Non ci sono negri italiani” recitava uno striscione al sit-in organizzato da Casapound a Terno d’Isola, dove la donna è stata uccisa da un cittadino italiano di origini maliane già denunciato dalla famiglia.
Cronaca - di Frank Cimini
“Non ci sono negri italiani”. Purtroppo siamo abituati a sentire e vedere che da anni lo gridano negli stadi tifosi imbecilli e stupidi prima che razzisti e lo fanno all’indirizzo di giocatori avversari anche quando pure nella loro squadra sono presenti atleti di colore. Ma vedere quelle parole su uno striscione appeso a una cancellata fa particolare impressione, perché ci troviamo in un luogo particolare: a Terno d’Isola in provincia di Bergamo, dove nella notte tra il 29 e il 30 luglio scorso era stata uccisa a coltellate Sharon Verzeni, 33 anni, estetista e barista.
A ucciderla era stato Moussa Sangare, cittadino italiano di origini maliane che, arrestato un mese dopo il delitto, ha reso piena confessione dando modo agli inquirenti di riscontrarla in modo approfondito. A contribuire in modo determinante all’individuazione e all’arresto di Sangare erano stati due cittadini di origini magrebine che lo avevano incrociato per le strade del paese mentre facevano jogging poco prima del delitto. Un particolare emerso dalle indagini e ormai noto a tutti, ma che è stato deliberatamente ignorato dai responsabili dello striscione.
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Parliamo dei partecipanti al sit-in organizzato nel pomeriggio di domenica scorsa da Casapound a Terno d’Isola. Erano presenti con pioggia battente per l’intera giornata più poliziotti e carabinieri che militanti del gruppo neofascista. Gli uomini in divisa rimuovevano lo striscione. Moussa Sangare, le cui responsabilità verranno ulteriormente chiarite con ogni probabilità con una perizia psichiatrica, era stato più volte denunciato dalla madre e dalla sorella dopo diverse aggressioni. I suoi problemi i suoi comportamenti erano noti soprattutto dopo che il giovane aveva bruciato la cucina di casa e i vicini avevano aiutato le due donne per le necessità della vita quotidiana.
Il Comune e altre autorità non erano intervenute. Per questa ragione è stato presentato un esposto dal Codacons. Moussa Sangare, aspirante rap di professione, aveva avuto problemi dopo il ritorno dagli Stati Uniti dove era stato per ragioni musicali e aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. La famiglia del giovane è perfettamente integrata. La mamma aveva fatto la cuoca all’asilo del paese prima di dover interrompere il lavoro perché colpita da ictus. La sorella studia ingegneria a Dalmine. Insomma la strumentalizzazione della fine atroce di una ragazza resta più che evidente. I responsabili di quello striscione non hanno avuto rispetto per nessuno a cominciare da Sharon ammazzata da chi era uscito di casa con un coltello “perché aveva voglia di uccidere”.