Il caso di Terni d’Isola
Omicidio Sharon Verzeni, la sorella di Moussa Sangare: “Denunciato 3 volte per violenze, se ci avessero ascoltato sarebbe viva”
La donna ha parlato di lei e sua madre ostaggio delle violenze del fratello. “Avevamo paura di lui, ho avuto paura di morire anch’io. Non siamo state ascoltate”
Cronaca - di Redazione Web
Per la sorella di Moussa Sangare, Sharon Verzeni poteva essere salvata. Se soltanto fossero stati ascoltati gli appelli della famiglia del 30enne che ha confessato l’omicidio della 33enne di Terni d’Isola, in provincia di Bergamo. “Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta”, ha raccontato Awa, studentessa di Ingegneria, in un’intervista a Il Corriere della Sera. Parla di un disagio psichico e sociale, dell’aggressività del fratello anche verso la famiglia. Il 30enne si trova in carcere, in stato di fermo, dopo la confessione.
Il caso è stato uno di quelli più seguiti negli ultimi tempi nell’ambito della cronaca nera. Verzeni, che da due anni lavorava in una pasticceria a Brembate, era uscita di casa intorno a mezzanotte, lo scorso 29 luglio, e quasi un’ora dopo aveva chiamato il 118. Era stata accoltellata, alcuni passanti si erano fermati a soccorrerla. Era morta pochi minuti dopo all’ospedale di Bergamo. Le indagini avevano brancolato nel buio per giorni. È stato grazie alle immagini registrate da una telecamera che si era risaliti a Moussa Sangare, italiano, disoccupato, originario della Costa d’Avorio.
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Il racconto della sorella di Moussa Sangare
La sorella di Sangare ha raccontato di tre denunce dal 2023 allo scorso maggio per danneggiamenti, violenza domestica e maltrattamenti. Di aver scritto a sindaco e assistenti sociali con il suo avvocato. “È stata un’escalation. Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro pensiero va a lei e alla sua famiglia”.
Sia Awa che Moussa, figli di genitori originari del Mali, sono cresciuti a Suisio. Il 30enne era andato in America e in Inghilterra, aveva fatto il cameriere, sognava di fare il rapper. “Quando è tornato dall’estero, nel 2019, Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di droghe sintetiche. Non era più lui”. La ragazza ha raccontato di episodi di violenza domestica. Lo scorso maggio era scattato il codice rosso e l’allontanamento. “Era sparito. Non abbiamo più saputo nulla. Poi abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra”. Moussa aveva raccontato di un raptus improvviso, di non sapere perché abbia ucciso la 33enne. La procuratrice capo di Bergamo Cristina Rota ha contestato la premeditazione, perché l’uomo era uscito di casa con quattro coltelli, e aveva aggiunto che non esisteva alcun motivo religioso o terroristico dietro il delitto.