La guerra di Gaza
“È ora di consegnare Netanyahu alla giustizia internazionale, basta sudditanza verso gli Usa”, parla Riccardo Noury
«Stragi, bimbi ammazzati. Il pogrom nel villaggio di Jit è l’ennesima violazione del diritto. Sono stati chiesti dei mandati di arresto per Netanyahu. Adesso gli Stati sostengano le ragioni dell’Aja»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty international Italia, autore di importanti saggi sui diritti umani. Il pogrom di Jit è solo l’ultimo, sanguinoso episodio della violenza impunita dei coloni israeliani in Cisgiordania. Siamo oltre il sistema di apartheid denunciato e documentato ampiamente da Amnesty international più e più volte?
Siamo dentro quel sistema, che si rafforza di anno in anno. Amnesty international sostiene che l’occupazione – che porta con sé l’aumento degli insediamenti illegali dei coloni e della violenza di questi ultimi – è un elemento fondamentale dell’apartheid israeliano. Oltre alla violenza, i palestinesi della Cisgiordania occupata devono subire demolizioni ed espropri così come altre violazioni dei diritti fondamentali che riguardano ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalla limitazione della libertà di movimento fino al diniego dell’accesso ai pascoli, alle colture e all’acqua.
I coloni in armi godono del sostegno dei partiti dell’estrema desta che fanno parte del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Il ministro della Sicurezza nazionale, il super falco Ben-Gvir, ha sostenuto che l’attacco a Jit sarebbe avvenuto perché l’esercito avrebbe “le mani legate nell’eliminare i terroristi”.
Dopo il recente attacco a Jit, l’ambasciatore statunitense in Israele, Jack Lew, ha dichiarato, riferendosi ai coloni, che «i criminali devono essere chiamati a risponderne». Gli ha risposto l’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem: «I responsabili di quei crimini e di molti altri commessi contro i palestinesi sono nel governo israeliano e nei suoi vertici. Sono loro che devono essere chiamati a risponderne». Oltre a Ben-Gvir, l’altro “ministro dei coloni” è quello delle Finanze, Smotrich, colui che il 1° marzo ha proclamato che «Huwara dovrebbe essere spazzata via dalla faccia della Terra» dopo che il 26 febbraio, per rappresaglia contro l’uccisione di due di loro, i coloni avevano attaccato i villaggi palestinesi di Burin, Assira al-Qibliya, Beit Firuk, Za’tata e Beita e, per l’appunto, Huwara, dando alle fiamme decine di automobili, abitazioni e frutteti e aggredendo persone inermi. Risultato: un palestinese ucciso e altri 400 feriti.
Nell’ultimo anno e mezzo il governo Netanyahu ha approvato la costruzione di 12mila nuove case per i coloni. È anche in programma un ulteriore insediamento nella zona di al-Makhrour, che dal 2014 è patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Ecco perché B’Tselem parla dei “vertici del governo”.
Insomma, si può dire che i coloni agiscano sicuri che il governo garantirà loro appoggio e impunità?
Cito la ricerca di un’altra organizzazione non governativa israeliana. Yesh Din ha analizzato la risposta giudiziaria delle autorità israeliane agli attacchi dei coloni contro i palestinesi della Cisgiordania occupata (per inciso, secondo il diritto internazionale umanitario dovrebbero essere “una popolazione protetta”) nel periodo 2005-2022. In quegli anni sono state avviate indagini su 1.597 casi di violenza da parte di civili israeliani contro civili palestinesi: un numero esiguo se pensiamo che secondo l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni unite per gli Affari umanitari, solo dal 7 ottobre 2023 al 12 agosto 2024 gli attacchi dei coloni sono stati circa 1.250. Particolare importante: l’indagine di Yesh Din non ha riguardato Gerusalemme Est occupata. Quelle 1.597 indagini hanno prodotto incriminazioni solo in 107 casi, ossia il 7%. Di 91 dei 107 casi si conosce l’esito: 46 condanne. In sintesi: solo il 3% delle indagini aperte dal 2005 su violenze dei coloni contro i palestinesi è terminato con la punizione dei colpevoli.
Oltre a quella dei coloni poi c’è la violenza, chiamiamola così, “di stato”…
L’impunità concessa ai coloni, di per sé, è “di stato”. Ma commento la tua osservazione. Nel 2023, nella Cisgiordania occupata, le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso almeno 507 palestinesi, tra i quali almeno 81 minorenni: secondo l’Ocha, è stato il più alto numero di vittime da quando, nel 2005, è iniziata la raccolta di questi dati. Il picco c’è stato dal 7 ottobre al 31 dicembre 2023: 299 morti. Secondo la stessa fonte, tra il 7 ottobre 2023 e il 12 agosto 2024 i palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza israeliana sono stati almeno 577, tra i quali 115 minorenni.
Altro scandalo, coraggiosamente raccontato dal quotidiano israeliano Haaretz, è quello delle torture avvenute in particolare nel carcere di Sde Teiman. Anche su questo Amnesty international ha molto da dire.
Sde Teiman mi fa tornare alla mente gli orrori del carcere di Abu Ghraib, gestito una ventina d’anni fa dalle forze Usa in Iraq. A luglio abbiamo pubblicato un rapporto in cui descrivevamo 27 casi (la punta dell’iceberg, certo, ma quelli su cui abbiamo potuto fare verifiche indipendenti) di detenuti palestinesi di Gaza passati per il centro di detenzione di Sde Teiman. I 27 palestinesi sono stati detenuti anche per quattro mesi e mezzo senza alcun contatto col mondo esterno (compresi avvocati e familiari), di fatto una sparizione forzata. Sono stati sottoposti a torture, compresa la violenza sessuale, e ad altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Sono rimasti bendati e ammanettati per tutta la durata della detenzione e costretti per ore a rimanere in posizioni che procuravano dolore senza poter parlare tra loro o alzare la testa. Chi trasgrediva veniva picchiato dal personale del centro o assalito dai cani. Come riferito da Haaretz, sono morte decine di detenuti. A rendere possibile tutto questo c’è una normativa, la Legge sui combattenti illegali: risale al 2002 ma solo dopo il 7 ottobre 2023 è stata applicata massicciamente per effettuare arresti di palestinesi di Gaza e trattenerli senza accusa né processo. Secondo, la terza organizzazione non governativa israeliana che voglio citare, Hamoked, al 1° luglio di quest’anno 1.402 palestinesi erano detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali. Il totale effettivo è molto più alto, perché quella cifra non tiene conto di coloro che sono trattenuti per il periodo iniziale di 45 giorni che non prevede un’ordinanza formale di detenzione. Sempre secondo Hamoked e sempre al 1° luglio, nelle prigioni israeliane c’erano altre 3.379 persone in detenzione amministrativa, gran parte delle quali palestinesi della Cisgiordania occupata. Insomma, siamo di fronte a un enorme sistema carcerario contro il quale non c’è difesa.
La butto giù seccamente. Cos’altro deve accadere perché chi si macchia di crimini di guerra e contro l’umanità venga sanzionato, anche se si tratta dell’ “unica democrazia in Medio Oriente”?
Non ci sarebbe bisogno che accadesse altro – anche se prima o poi la Corte internazionale di giustizia dovrà pronunciarsi sull’accusa di genocidio – se la giustizia internazionale funzionasse bene.
La procura della Corte penale internazionale ha sollecitato cinque mandati di cattura: tre di questi riguardavano la leadership politico-militare di Hamas. Riguardavano perché Israele, nel caso di Ismail Haniyeh, ha risolto la questione con un omicidio mirato a Teheran. Avrebbe eliminato anche Mohamed Deif, ma Hamas ha smentito: nessuno può saperlo con certezza. Gli altri due mandati di cattura chiesti dalla procura della Corte sono per il primo ministro e il ministro della Difesa di Israele, Netanyahu e Gallant. Nel 2023, venticinquesimo anniversario dell’adozione dello Statuto della Corte, abbiamo detto chiaramente che l’efficacia della sua azione può sì, in parte, dipendere dalla maggiore o minore solerzia di chi si avvicenda a capo della procura ma chiama in causa soprattutto la volontà politica degli stati. Gli Usa non hanno mai riconosciuto la Corte, temendo che potessero finire sotto inchiesta i comandanti delle loro forze armate all’estero. Tra gli altri, tre stati dell’Unione europea – Germania, Repubblica Ceca e Ungheria – hanno sollevato pretestuose obiezioni legali, col chiaro intento di ritardare la valutazione sulle richieste di arresto. Ecco, basterebbe che gli stati parte dello Statuto, soprattutto quelli più influenti, cooperassero con la Corte ed esprimessero pubblicamente sostegno all’azione della procura, per poter fare un passo avanti verso la giustizia.
I morti nella Striscia di Gaza hanno superato i 40mila, la grande maggioranza sono bambini e donne. E il mondo sta a guardare.
Le responsabilità sono molteplici: c’è in primo luogo un’assenza di leadership globale, dal punto di vista politico e morale, in grado di fermare le guerre anziché alimentarle con sfrenate e illegali forniture di armi. Da questo punto di vista, i palestinesi di Gaza sono nella tragica compagnia di oltre 16mila morti e di milioni e milioni di sfollati del Sudan. C’è poi la continua disumanizzazione dei civili palestinesi, in base alla quale nessuno di loro è del tutto innocente e che sono ridotti a numeri (che peraltro, penso a quelli degli uccisi dalle forze israeliane, sono continuamente messi in discussione). C’è una narrazione giornalistica che, con le dovute eccezioni, esprime apertamente sostegno al governo israeliano o, al massimo, deplora qualche “eccesso”. Infine, c’è – e in questo Putin ha un’enorme responsabilità – la rassegnazione che la guerra faccia ormai parte dell’ordinario. Così come i morti e le devastazioni che produce. Spero davvero che il 7 ottobre 2024 sarà già in vigore un cessate il fuoco, che i civili israeliani presi in ostaggio da Hamas e dagli altri gruppi armati palestinesi saranno già tornati a casa, che almeno si sarà iniziato ad affrontare la catastrofe umanitaria di Gaza. E che si starà pensando al futuro: un futuro di diritti e di giustizia, senza cui non c’è pace possibile.