Il rapporto di B’Tselem
Torture ai palestinesi, Sde Teriman l’Abu Grahib israeliano
Un palestinese sequestrato nella Striscia di Gaza e detenuto a Sde Teiman sodomizzato da soldati. Haaretz: “Ammettere l’uso della violenza sessuale contro i palestinesi durante la guerra”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Le “Abu Ghraib di Israele”, dove le torture, fisiche e psicologiche, gli abusi, gli stupri sono la prassi consolidata. Gironi infernali documentati da B’Tselem, l’Ong israeliana per i diritti umani. Una vergogna denunciata da Haaretz in un editoriale durissimo: “La litania di violenze, minacce, privazione del sonno, fame e umiliazioni descritte da decine di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e descritte in dettaglio in un rapporto di B’Tselem pubblicato lunedì (con il titolo “Welcome to Hell”) non lascia spazio a dubbi: Il sistema carcerario israeliano funziona come una struttura per abusare dei detenuti”.
Ecco cosa descrive il quotidiano progressista di Tel Aviv: “Da diversi mesi, i palestinesi rilasciati dopo il 7 ottobre – la maggior parte dei quali è stata rilasciata senza essere accusata di alcun reato – descrivono razioni di cibo ridotte, violenze all’interno della prigione o della struttura di detenzione e durante il tragitto verso le udienze giudiziarie, grave sovraffollamento e rifiuto di dare cure mediche adeguate, rifiuto costato la vita a alcuni prigionieri. Sui social media palestinesi si sono diffuse immagini che dimostrano ciò che avviene lontano dagli occhi del pubblico: foto di prigionieri prima e dopo, che li ritraggono smunti e visibilmente malati dopo il loro rilascio dalla prigione”.
Non è questione di mele marce, di deviazioni episodiche. “Non si tratta di un errore, ma di una politica – rimarca Haaretz – Durante la guerra e ancor prima che iniziasse, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha dichiarato la sua intenzione di peggiorare le condizioni dei prigionieri palestinesi della sicurezza e se ne è persino vantato. Le numerose testimonianze dimostrano che lo “spirito del comandante” Ben-Gvir si è diffuso e ha persino dato alle guardie carcerarie e ai soldati il via libera per fare tutto ciò che vogliono ai prigionieri, impunemente. Tra le numerose testimonianze raccolte da B’Tselem, ne spiccano alcune particolarmente raccapriccianti che raccontano di violenze sessuali, tra cui la descrizione di tentati atti di sodomia – stupro anale con un oggetto estraneo – compiuti da agenti penitenziari nel carcere di Ketziot. Un caso simile è ora alla ribalta delle cronache: la storia di un palestinese sequestrato nella Striscia di Gaza e detenuto nel centro di detenzione di Sde Teiman, dove alcuni soldati lo avrebbero sodomizzato. Questi casi scioccanti obbligano la società israeliana a riconoscere l’uso della violenza sessuale contro i palestinesi durante la guerra”.
Al fondo c’è un desiderio di vendetta che corrompe la società israeliana, ne destruttura i principi democratici. Scrive ancora Haaretz: “I diritti dei prigionieri e dei detenuti sono uno degli ambiti in cui si giudica la moralità di una società. Si tratta di persone di cui lo Stato è responsabile e i guardiani hanno il dovere di proteggere i loro diritti. Alcuni dei testimoni che hanno parlato con B’Tselem hanno detto che le guardie carcerarie li hanno minacciati per dissuaderli dal denunciare gli abusi ai giudici. Nonostante ciò, avvocati e prigionieri hanno raccontato ai tribunali militari quanto stava accadendo. Il fatto che la situazione abbia raggiunto lo stato disastroso descritto nel rapporto senza l’intervento dei giudici militari è una macchia su di loro. Dobbiamo sperare che le azioni delle organizzazioni per i diritti umani, che continuano a insistere sulla moralità di Israele attraverso la petizione dell’Alta Corte di Giustizia relativa a Sde Teiman e il rapporto di B’Tselem, spingano all’azione il personale delle forze dell’ordine e le agenzie che hanno mantenuto il loro impegno per la moralità dello Stato”.
Secondo i dati dell’organizzazione umanitaria HaMoked, al 1° di agosto nelle carceri israeliane c’erano 9.881 detenuti palestinesi. Tra i vari problemi rilevati da B’Tselem ci sono il sovraffollamento delle celle (in una da sei posti possono stare fino a 14 detenuti, alcuni dei quali costretti a dormire per terra senza materassi né coperte), la mancanza di acqua potabile e di luce naturale, l’aria insalubre, le confische degli oggetti personali e le frequenti perquisizioni delle celle, dalle tre alle cinque volte al giorno. In questi casi i detenuti vengono obbligati a posizionarsi con la faccia contro il muro, la testa abbassata e le mani intrecciate dietro la schiena. Vengono inoltre negate loro le cure mediche, e non possono mangiare né dormire a sufficienza. Molte delle persone arrestate hanno dovuto aspettare settimane o mesi prima di vedere un giudice, e spesso le udienze si sono svolte online direttamente dal carcere, in situazioni in cui i detenuti erano controllati dalle guardie e non potevano esprimersi liberamente. Durante il periodo di reclusione molti non hanno potuto parlare con un avvocato o con un rappresentante delle organizzazioni per i diritti umani.
Gli ex detenuti intervistati sono stati sistematicamente picchiati. «Mi sono accasciato contro il muro. Avevo le costole rotte ed ero ferito alla spalla destra, al pollice e a un altro dito della mano destra. Non sono riuscito a muovermi o a respirare per mezz’ora», ha detto per esempio Ashraf al Muhtaseb, un uomo di 53 anni di Hebron, in Cisgiordania, arrestato l’8 ottobre del 2023 e detenuto nelle prigioni di Etzion, Ofer e Negev. «Vivevamo nella paura e nel panico», ha detto Khaled Abu ‘Ara, detenuto nella prigione di Negev. S.B., un altro detenuto rimasto anonimo, ha detto che dopo il 7 ottobre del 2023 i detenuti venivano «puniti regolarmente» dall’amministrazione delle carceri. La conclusione del rapporto? Nelle prigioni israeliane, ”Ogni detenuto (palestinese) è intenzionalmente condannato a un dolore e a una sofferenza gravi e implacabili, operano come campi di tortura de-facto… Gli abusi costantemente descritti nelle testimonianze di decine di persone detenute in diverse strutture erano così sistematici che non c’è spazio per dubitare di una politica organizzata e dichiarata delle autorità carcerarie israeliane. Come rivelano le testimonianze, la nuova politica viene applicata in tutte le strutture carcerarie e a TUTTI i prigionieri palestinesi. Tra i suoi principi fondamentali vi sono l’incessante violenza fisica e psicologica, la negazione delle cure mediche, la fame, la sospensione dell’acqua, la deprivazione del sonno e la confisca di tutti gli effetti personali”. B’Tselem conclude il rapporto con un “appello a tutte le nazioni e a tutte le istituzioni e gli organismi internazionali, compresa la Corte penale internazionale, affinché facciano tutto il possibile per porre immediatamente fine alle crudeltà inflitte ai palestinesi dal sistema carcerario israeliano e per riconoscere il regime di apartheid sistematico che opera in Israele”.
Annota Gideon Levy, icona vivente del giornalismo “liberal” israeliano: “Cosa ha fatto esattamente quel ‘terrorista’? E perché era in prigione? Forse perché il suo stipendio è pagato dal governo della Striscia di Gaza? Queste sono domande che non dovrebbero essere poste. Ma l’immagine del suo corpo che tremava per i dolori della penetrazione, che ha tremato per un istante mentre gli stupratori si nascondevano dietro i loro difensori, avrebbe dovuto torturare ogni coscienza”. E ancora: “Martedì scorso, ancora una volta, un’udienza dell’Alta Corte di Giustizia in cui si discuteva della richiesta di chiusura della struttura di tortura Sde Teiman è stata interrotta a causa delle urla del pubblico. “Il popolo è sovrano”, ha gridato la folla ai giudici dell’Alta Corte. Presto arriveranno i linciaggi nelle piazze delle città, portati avanti dai sovranisti e supportati dai media. Nei programmi televisivi del mattino si discuterà della legittimità del linciaggio. Ci sarà un oratore a favore e uno contrario, nei nostri media equilibrati. Sde Teiman definisce anche Israele, più delle sue altre caratteristiche. Israele è Sdei Teiman, Sde Teiman è Israele. Questo è anche il modo in cui sono stati trattati i sospettati di molestie sessuali nel movimento israeliano #MeToo, che ha distrutto le carriere e le vite di uomini che erano solo sospettati. Ma gli stupratori di Sde Teiman? Non è un problema per #MeToo: hanno violentato un ‘terrorista’. Quando si leggono le 94 pagine del rapporto di B’Tselem, che fanno perdere il sonno, si capisce che non si tratta di un incidente eccezionale, ma della routine della tortura, che è diventata una politica. A differenza delle torture dello Shin Bet, che presumibilmente avevano uno scopo di sicurezza – estrarre informazioni – qui si tratta esclusivamente di soddisfare le pulsioni sadiche più oscure e malate. Guarda con quanta calma i soldati si avvicinano per portare a termine il loro malvagio intento. Ci sono anche decine di altri soldati che hanno visto e saputo e sono rimasti in silenzio. A quanto pare, anche loro hanno partecipato a orge simili, in base alle decine di testimonianze citate nel rapporto di B’Tselem. Questa è la routine. L’indifferenza a tutte queste cose definisce Israele. La legittimazione pubblica definisce Israele – conclude Levy – Nel campo di detenzione di Guantanamo Bay, aperto dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre, sono stati uccisi nove prigionieri in 20 anni; qui si tratta di 60 detenuti in 10 mesi. C’è bisogno di dire altro?”.
No, c’è bisogno di prendere atto che Israele è anche questo. Dopo dieci mesi, Benjamin Netanyahu si è scusato per la colpevole débâcle del 7 ottobre. A quando le dimissioni?