Il caso del medico di Gaza

L’accusa di Gideon Levy: “Israele odia quel medico di Gaza perché è stato scarcerato vivo”

Levy su Haaretz racconta la storia del dottor Abu Salmiya, rapito “nello stesso modo in cui Hamas ha rapito gli ostaggi israeliani” e chiuso in carcere per sette mesi “senza alcuna imputazione”. E ora per tutti, non solo i simpatizzanti di destra, “il suo rilascio è un fallimento”

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

7 Luglio 2024 alle 10:30

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L’accusa di Gideon Levy: “Israele odia quel medico di Gaza perché è stato scarcerato vivo”

Vi sono storie personali che racchiudono in sé il senso di umanità perduto da un Paese in guerra. Storie come quella raccontata da Gideon Levy per Haaretz. La storia del dottor Abu Salmiya. Annota il grande giornalista israeliano: “Chiunque voglia sapere cosa è successo agli israeliani dopo il 7 ottobre, dovrebbe guardare al rilascio dal carcere del direttore dell’ospedale Al-Shifa. Il dottor Mohammed Abu Salmiya è rimasto in carcere per sette mesi, senza alcuna supervisione giudiziaria, senza alcuna imputazione, senza alcuna colpa”.

“È stato rapito da Israele nello stesso modo in cui Hamas ha rapito gli ostaggi israeliani ed è stato messo in prigione. Come per gli ostaggi israeliani, la sua famiglia non sapeva nulla della sua sorte e né i rappresentanti della Croce Rossa né il suo avvocato hanno potuto fargli visita”, scrive Levy. “Insieme a lui, lunedì, è stato rilasciato il chirurgo Dr. Issam Abu Ajwa, che ha raccontato gli orribili abusi subiti. Le sue foto prima e dopo non lasciano dubbi sulla veridicità delle sue affermazioni. Gli altri 50 sequestrati palestinesi rilasciati non sono stati mostrati dai media israeliani, naturalmente, ma il pubblico all’estero ha visto adulti che sono diventati gusci rotti: magri, timidi, con il corpo ossuto e le gambe magre, feriti e contusi e pieni di ferite. Abu Salmiya, per sua fortuna, non è stato gettato nello Sde Teiman e quindi non è stato torturato a morte come i suoi due colleghi, il dottor Adnan Al-Bursh, rinomato chirurgo gazawi, e il dottor Iyad Rantisi, che dirigeva un ospedale femminile, parte dell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya”. Quello che è un atto, tardivamente riparatore, di giustizia, viene vissuto come un cedimento dagli israeliani indignati per il suo rilascio.

Per costoro, in tanti, se non la maggioranza, rimarca Levy, “Israele ha sbagliato a non uccidere anche lui, con percosse, fame, malattie o altre forme di tortura. Israele vuole vedere i medici, come tutti gli altri a Gaza, morire in una lenta, dolorosa agonia. L’immagine di Abu Salmiya rilasciato dal carcere, che abbraccia la madre e piange, avrebbe dovuto avere un effetto emotivo su qualsiasi essere umano: un ostaggio innocente è libero. In Israele, invece, ha segnato l’inizio di una campagna isterica di panico, incriminazione, odio, disumanizzazione, brama di vendetta, sete di sangue”. Pensare che questa reazione sia solo di attivisti e simpatizzanti dell’estrema destra, è voler chiudere gli occhi di fronte ad una realtà molto più dolorosa, inquietante. Scrive Levy: “Non solo quelli di destra, ma tutti, proprio tutti, politici, emittenti, opinionisti e chiacchieroni in coro che cantano all’unisono: Il suo rilascio è diventato un fallimento che equivale al 7 ottobre. Com’è successo che Israele ha rilasciato un medico innocente di Gaza, chi ha dato l’ordine e di chi è la colpa? Israele 2024”. Da grande giornalista d’inchiesta, qual è, Levy ricostruisce i fatti, passo per passo.

“Il dottor Abu Salmiya è stato rapito a novembre da un convoglio delle Nazioni Unite che stava evacuando i feriti palestinesi dall’ospedale assediato e bombardato. Israele ha affermato che l’ospedale era un centro di comando di Hamas, ma un’inchiesta del Washington Post ha rivelato che Israele non ha presentato alcuna prova a sostegno. In ogni caso, possiamo supporre che Abu Salmiya fosse a conoscenza delle attività di Hamas nell’ospedale, ma non vi abbia preso parte. Se lo avesse fatto, non sarebbe stato rilasciato. Abu Salmiya è stato trattenuto da Israele in virtù di una legge dubbia approvata dalla Knesset, la legge sui combattenti illegali, che consente la detenzione di una persona senza il controllo di un giudice per 75 giorni – una legge ancora più draconiana di quella che consente la detenzione amministrativa. Israele, e in particolare le sue istituzioni giudiziarie e sanitarie, non si preoccupano di questo. Il direttore di un ospedale è in carcere – dopo tutto è gazawi, cioè un terrorista. È così che è stato chiamato nel festival della furia per il suo rilascio. Ovunque, anche sul nuovo canale ultranazionalista i24News, che già fa rimpiangere il pantano di Canale 14, è stato definito un terrorista e si è chiesto ai militari di arrestarlo di nuovo. Anche tra i politici è prevalso un consenso da parete a parete, il che dimostra ancora una volta che in Israele non c’è opposizione all’odio arabo e alla brama di vendetta. Si sono distinti due “moderati”: Gideon Sa’ar, che ha definito il rilascio di Abu Salmiya “insensibilità nei confronti dell’opinione pubblica israeliana, che ricorda l’infrastruttura terroristica di Al-Shifa”, presentando così il rapimento di un medico per soddisfare la brama delle masse come una nuova giustificazione per i crimini di guerra; e Avigdor Lieberman, che negli ultimi anni è diventato, agli occhi dei centristi, un modello di moderazione e ragione, che – nel suo solito modo sobrio, delicato e allusivo – dà una lezione magistrale sulla banalizzazione dell’Olocausto. “Ci siamo resi conto che il direttore di Al-Shifa non è un medico, ma piuttosto un dottor Mengele. Quindi se Abu Salmiya è Mengele, come dovremmo chiamare Lieberman?”, conclude Levy.

Più di 500 medici e operatori sanitari sono stati uccisi dall’esercito israeliano dal 7 ottobre. Più di 300 altri operatori sanitari sono stati arrestati e molti di loro sono ancora detenuti dall’esercito israeliano Persone umiliate, picchiate, bagnate con acqua fredda e costrette a rimanere inginocchiate per ore, come si vede in un video della Bbc del 16 febbraio. Subito dopo il suo rilascio, il dottor Salmiya ha riferito ai media la realtà orribile che affrontano i detenuti, sottolineando che “i prigionieri nelle carceri israeliane subiscono diversi tipi di tortura”. “L’esercito li tratta come se fossero oggetti inanimati, e i medici israeliani ci hanno aggredito fisicamente”. Ha inoltre affermato che nessuna organizzazione internazionale è autorizzata a visitare i detenuti, e che non è consentito l’accesso agli avvocati. I prigionieri palestinesi sono sottoposti a “gravi torture e aggressioni quasi quotidiane all’interno delle carceri, e vengono negate loro le cure mediche”. Non si tratta di un fatto isolato. Non è l’eccezione, è la regola. Trattamenti indegni di quella che continua a dirsi l’”unica democrazia in Medio Oriente”.

7 Luglio 2024

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