Due chiacchiere con lo scrittore

Conversazione con Giuseppe Simonà: “Dalla Francia segnale di speranza che può contagiare l’Italia e l’Europa”

L’incarognimento, il ripiegamento su di sé, la diffidenza dell’altro sentito come nemico, che alimentano l’estrema destra, godono di ottima salute ovunque. Ma in Francia ci sono segnali di speranza

Cultura - di Filippo La Porta

8 Agosto 2024 alle 18:30

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Conversazione con Giuseppe Simonà: “Dalla Francia segnale di speranza che può contagiare l’Italia e l’Europa”

Qui di seguito una conversazione con Giuseppe Samonà, che vive in Francia dal 2000, è scrittore e saggista, ha pubblicato fra altri Quelle cose scomparse, parole (2004) e La frontiera spaesata. Un viaggio alle porte dei Balcani (2020).

La tua reazione quando hai visto migliaia di francesi la notte della vittoria gridare in italiano “siamo tutti antifascisti” in Place de la République?
Il mio primo sentimento è stato un sollievo gioioso, come europeo, come francese, come italiano, tre aspetti che in realtà trascolorano continuamente l’uno nell’altro. Come europeo, perché una vittoria dell’estrema destra in un paese centrale come la Francia avrebbe avuto effetti devastanti, galvanizzando le altre estreme destre. Come francese, perché oramai mi sento completamente coinvolto dalle vicende che accadono in Francia, al punto che, come alcuni dei tanti “stranieri” che ci vivono, ho deciso di ufficializzare questo percorso, diventando pienamente cittadino. E come italiano, perché dalle elezioni europee in poi, sentivo soffiare dal mio paese di nascita un venticello più o meno delicato di critica e sarcasmo, del genere: bravo, non volevi stare con Berlusconi e con Meloni in Italia, e adesso… E adesso appunto, anche come italiano, mi sono sentito felicemente a mio agio.

Da una parte ho una ammirazione infinita per il seme libertario contenuto in quella cultura, per l’ostinato illuminismo, per il gusto della trasgressione. Dall’altra ho una certa insofferenza per la verbosa chiacchiera decostruzionista e postfoucaultiana, per il gusto del sofisma e del paradosso spettacolare (il famigerato “la lingua è fascista” di Barthes), per quell’estremismo tutto manieristico, per la attuale riduzione di qualsiasi verità a mero effetto retorico, per la supponenza autoriferita. Che non sia all’origine dell’attuale involuzione politica?
Io “da dentro” ho finito per farmi contagiare dal primo dei due aspetti che segnali; l’altro, che in passato mi irritava moltissimo, mi sembra ormai secondario. È soprattutto la travolgente vitalità della società civile a colpirmi, tanto più se la si confronta, oggi, con quella italiana. Quando in Italia hanno abolito il reddito di cittadinanza ci sono state poche, sparute proteste. Quando in Francia il governo è passato in forza con la riforma delle pensioni, sembrava dovesse venire giù il mondo. E ricordo, nelle manifestazioni, una marea di giovani che cantavano l’Internazionale: perché il vero problema non era, non è l’età della pensione più o meno oltre i sessanta, ma la contestazione di un modello di vita centrata sul lavoro, invece che sullo sviluppo delle proprie capacità individuali e collettive, con una sorta di inno all’ozio creativo, alla Lafargue – una vera e propria rivoluzione libertaria di cui in Italia, mi sembra, si è raramente colta la portata. Ecco, lì sì che ho ripensato“ai nostri anni migliori”

I leader della sinistra: Mélenchon è un oratore vibrante, capace di collegare dimensione politica e dimensione esistenziale (“Che tu sia maledetto Macron, tu che hai mercificato l’intera esistenza, anche il tempo libero, che è la nostra risorsa più preziosa…”), una cosa di cui in Italia nessuno è capace. Ma è anche un esteta irresponsabile, innamorato delle piazze ricolme di bandiere rosse. Poi c’è Glucksmann, ti confesso il mio “eroe”. Altro che “moderato”! Viene dalla tradizione migliore, dagli Orwell e Camus: una sinistra libertaria, una radicalità assoluta sul piano morale. Ma vedo che non è un gran trascinatore.
A me Mélenchon sembra innanzitutto un abile politico, che punta a vincere tutta la partita, senza compromessi, con il pensiero già rivolto alla posta più alta, le presidenziali del 2027. A volte mi fa pensare a un bolscevico degli anni venti; un giorno mi dico che è sul declino, altri che è più in forma che mai: in ogni caso credo – e lo credono quelli della sinistra libertaria – che sia un peso per il Nuovo fronte popolare. Glucksmann, acuta definizione! Però non direi che non sia un trascinatore: non ha le astuzie del politico navigato, ma questo può rivelarsi anche una carta vincente. E poi, anzi prima di tutti, aggiungerei . tre nomi: Marine Tondelier, Clémentine Autain e Sandrine Rousseau – in tre modi diversi pugnaci, oneste nel più autentico senso della parola, e piene di umanità. Già, tre donne! e del resto è una donna, Lucie Castets, fin qui abbastanza sconosciuta, il primo ministro su cui il Nfp ha proprio in queste ore trovato un accordo.

Un commento alla situazione politica contingente. La vittoria del Nfp non riesce a tradursi in una realistica soluzione di governo: un centro-sinistra senza Macron? Una coalizione alla tedesca? Un governo col solo Mélenchon? Un governo tecnico? Si rischia l’ingovernabilità, o no?
È una partita che si giocherà fino al 2027, e più che di ingovernabilità parlerei della crisi irreversibile della “monarchia” presidenziale e del possibile avvento di una democrazia parlamentare. Urge però che il Nfp si chiarisca su alcune questioni politiche di fondo provvisoriamente messe in sordina, per le quali sono venute alla luce ambiguità e derive. In Francia – dove ci sono le comunità musulmana e ebraica più grandi d’Europa – l’antisemitismo ha radici profonde, e l’islamofobia è ben reale. Senza dimenticare che il Rassemblement national resta il primo partito, con più di dieci milioni di elettori! E al primo errore…

Vivi in quel paese da molti anni, a volte pensi in francese (non so se sogni pure in francese), hai insegnato all’università, ti sei sposato una donna francese, ti sposti nei quartieri più africani a ballare tango, perdi meravigliosamente tempo nei caffè dei boulevard…Ti chiedo: senza fare inchieste, senza darmi statistiche: la società francese si è un po’ incarognita come quella italiana? anche lì le idee della sinistra hanno perso attrattiva? intendo l’idea di un bene comune (per Spinoza la ragione umana è il “regno del comune”), l’idea di una radicale uguaglianza delle persone, la diffidenza verso il potere e la ricchezza e la convinzione che le cose più belle della vita non si possono comprare.
Beh l’incarognimento, il ripiegamento su di sé, la diffidenza dell’altro sentito come nemico, che alimenta l’estrema destra, gode di ottima salute nella stanca Europa e in Occidente, anzi, in tutto il mondo. Ma in Francia, come proprio in questi ultimi giorni negli Stati Uniti, ci sono segnali di speranza e di entusiasmo. E tuttavia penso – e mi sembra, caro Filippo, di risuonare con il tuo pensiero – che il far coincidere la politica e la ricerca della felicità sia stato uno splendido, ma anche funesto, errore della nostra giovinezza. La politica deve servire alla costruzione di condizioni sociali meno ingiuste; la giustizia assoluta, la felicità, non le competono, e anzi, metterle al centro del suo programma, la storia ce lo dimostra, diventa inevitabilmente pericoloso. Anche se poi, durante il cammino collettivo, con lo sguardo all’orizzonte (l’utopia di Eduardo Galeano), gli incontri e l’entusiasmo possono creare momenti di felicità. Qualsiasi previsione sarebbe azzardata ma spero che in Francia si possa realizzare un modello aggregativo di sinistra, progressista e libertario, che contagi positivamente l’Italia e il resto dell’Europa.

8 Agosto 2024

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