La strage nel 2021
Strage di migranti al largo della Libia, così Frontex li ha lasciati morire: nessuno avvertì Ocean Viking
Il 9 gennaio 2021 qualcuno sapeva della barca affondata, ma preferì aspettare i libici, che arrivarono dopo 8 ore. 42 migranti morirono per ipotermia
Cronaca - di Sarita Fratini
Victoria non sente più i piedi. Ma li vede, ci sono ancora, sotto, nell’acqua limpida e gelida di gennaio. “Devi salire” la implora suo marito Musa. Lei ci prova, affonda le unghie nella plastica di un pezzo di gommone rimasto a galla, si issa. Il sole le scalda la schiena, un sollievo, ma troppo breve. Scivola giù. “Riprovaci Victoria, forza” la incoraggia anche il quindicenne Lamine, con la voce rotta dai brividi. La barca è affondata verso le 8 del mattino, in acque internazionali, a 15 miglia da Zuwara. A quell’ora l’aereo spia di Frontex Osprey 3 con codice ICAO 407637 passava di lì. Chissà se li ha visti. Di sicuro c’è solo che quel giorno Frontex non avvisa la nave di soccorso Ocean Viking, dell’organizzazione umanitaria SOS Méditerranée, che è ferma poco distante, a circa un’ora di navigazione dalla barca affondata, ignara di ciò che sta avvenendo.
Victoria deve concentrarsi su quattro cose, solo quattro: tenere il corpo fuori dall’acqua, aspettare, sperare, restare viva. L’Italia, no, deve dimenticarla. È un sogno svanito, affondato assieme a chi non sapeva nuotare. Lei lo sa fare, ha imparato da bambina, nel suo paese, la Sierra Leone. Anche quasi tutti gli altri sono rimasti a galla: Musa, suo fratello Lamine e una quarantina di compagni di viaggio che vengono da Nigeria, Gambia, Sudan, Liberia, Senegal. Ma saper nuotare non basta, occorre stare fuori dall’acqua. Non c’è posto per tutti sull’unico tubolare di gomma, devono fare a turno. Victoria è l’unica donna e lo spazio all’asciutto le spetta di diritto. “Forza!” le ripetono gli uomini. Così riprova e riesce a salire su quel pezzo di plastica bianca che è tutto ciò che rimane della barca partita da Zuwara la sera prima. Cullata dalle onde, sotto il sole di gennaio che le infonde un po’ di vita, Victoria pensa e ricorda: gli abusi a casa, la fuga dalla Sierra Leone iniziata nel 2016, Musa conosciuto sulla strada, in Mali, l’amore, l’arrivo in Libia nel 2017, il lavoro massacrante, le persecuzioni razziali, la guerra civile, i sei tentativi di lasciare la Libia in barca, sempre falliti, il buio dei lager libici e la speranza tutta riposta, infine, in quel gommone bianco.
Ci sono urla. Un altro uomo è sparito. Lo vedevano galleggiare e poi, all’improvviso, non l’hanno visto più. Nessuno ne conosce il nome e non sanno come chiamarlo. Sono trascorse cinque ore dall’affondamento. Stanno morendo, ad uno ad uno, per ipotermia. Non si può sopravvivere immersi nell’acqua: ci si addormenta, il cuore batte sempre più lentamente e poi si ferma. Victoria si sta assopendo, si sta arrendendo. Il quindicenne Lamine la scuote: “Devi essere forte” le ripete. Alla sesta ora in acqua, il ragazzino chiude gli occhi, a Victoria sembra per un momento, invece è per sempre. Undici. Dopo otto ore dall’affondamento arriva la motovedetta P-107 della cosiddetta guardia costiera libica – avvisata non si sa da chi – e cattura undici persone, tra cui Victoria e il marito. Le sbarcano nel porto di Zuwara, alla presenza degli addetti dell’Onu. Chiedono soldi per liberarle. Musa e Victoria possono pagare un solo riscatto: lei viene liberata, lui finisce di nuovo in un lager libico.
L’agenzia europea Frontex scheda l’evento nei suoi database come IncidentID 540177 dell’operazione Themis. La Joint Operation Themis è una “sinergia tra l’European Border and Coast Guard Agency (Frontex) e le Autorità italiane con il supporto dei Paesi Membri dell’Unione europea” si legge sul sito del Ministero della Difesa italiano. I libici non ne sono partner. Questo caso secondo Frontex è un’operazione europea, come tante altre presenti nei suoi database sotto la voce “operazione Themis”. In Europa sono vietati i respingimenti di stranieri verso la Libia e quindi il caso sarebbe un respingimento illegale. Inoltre i sopravvissuti si chiedono se chi ha chiamato i libici, attendendo il loro arrivo per ben otto ore, abbia volutamente omesso di avvisare la Ocean Viking, che era a solo un’ora di navigazione e avrebbe potuto salvare in tempo molte delle persone poi morte per ipotermia.
Nel suo database Frontex scheda i naufraghi sopravvissuti, ad uno ad uno, ma ne mette solo 10. In realtà sono 11 perché Victoria viene liberata dietro riscatto. Anzi 12 perché nell’utero della donna – lei lo ignora – batte un secondo cuore e dopo otto mesi nasce un bambino, sopravvissuto non si sa come all’acqua limpida e gelida di gennaio. Oggi Victoria vive con la sua famiglia a Sfax, in Tunisia, dove è riuscita a trasferirsi a fine 2023 dopo una travagliata fuga via terra. Al telefono ci racconta che ha paura delle persecuzioni razziali del governo tunisino, degli arresti indiscriminati e degli omicidi di massa tramite deportazione nel deserto. In sottofondo si ode un buffo inconfondibile suono: ha avuto un’altra bambina. La neonata, come il fratellino, per il mondo non esiste: è nata in casa e non ha documenti. Adesso sono in quattro e cercano ancora un luogo sicuro dove vivere. L’Onu non ha alcuna intenzione di aiutarli perché li considera “migranti economici”. Victoria vorrebbe almeno sapere la verità sulla morte di Lamine e di tutte le persone che erano sulla sua barca.
Nota: i nomi sono di fantasia