Razzismi presenti e futuri
Povera Europa, negra eri e negra tornerai: con la pace di tutti i Vannacci
Lo dicono la scienza, l’antropologia, la storia. E nei prossimi 25 anni ne nasceranno un altro miliardo e 200 milioni. Che ne sarà della nostra povera Europa? Chi saranno quelli normali?
Editoriali - di Luca Casarini
Se non ci fossero di mezzo le vite stroncate, ognuna importante ed ognuna diversa dall’altra, e le lacrime di quella bambina sopravvissuta all’ultimo naufragio, che piange perché cerca disperata la sua mamma e la sorellina, che stanno in fondo al mare, beh, se non ci fosse tutto questo, basterebbero i numeri a dire quanto sia insulsa questa guerra ai migranti. Mattia Feltri, sul suo fondo dell’altro ieri sulla Stampa, usa i numeri forniti dalla newsletter di Giorgio Dell’Arti sulla sua “Anteprima”: Lagos, la più grande città della Nigeria, in cinquant’anni è passata da 300 mila abitanti ai 17 milioni di oggi. Fra vent’anni ne conterà 40 milioni, che si aggiungeranno all’intera popolazione della Nigeria, che arriverà a 400 milioni, superando abbondantemente gli Stati Uniti. Nello stesso anno, il 2050, e cioè fra 25 anni, nel mondo nasceranno 2 miliardi e 200 milioni di bambini, dei quali 1 miliardo e trecento milioni nell’Africa subsahariana. Le persone di origine africana che vivranno in Europa, saranno tra i 150 e i 200 milioni.
I numeri, non i desideri o le aspettative, non le politiche o i “Piani Mattei”, non il complotto di Soros e delle Ong, certificano quello che è ovvio: sarà il corso della storia, e con una velocità molto più alta di quella che percepiamo, a restituire un po’ di colore alla pallida illusione della “razza bianca” europea, che bianca lo è diventata nel corso degli ultimi secoli, solo perché si è sbiadita, come una vecchia foto in carta. L’incubo di tutti i vannacci del mondo dunque, si avvererà presto: ma d’altronde, noi pallidi, da dove pensiamo provengano i nostri progenitori? Forse, se potessimo viaggiare di più, una visitina a quegli altipiani del Kenya dove, 300 mila anni fa, l’homo sapiens ha fatto la sua comparsa, non ci farebbe male. C’è sempre internet, e si può usare per una volta per informarsi davvero.
Ci sono i libri, e quanto ci farebbe bene spegnere la tv e leggerne qualcuno ogni tanto, come quello scritto da Adam Rutherford – “Breve storia di chiunque sia mai vissuto” ( Bollati Boringhieri, 342pp, Giugno 2021) – che racconta come l’indagine sul nostro genoma, riveli la nostra comune appartenenza a quel continente africano di cui tanto abbiamo paura e che tanto abbiamo saccheggiato. I numeri, che non hanno alcuna pietà dell’ignoranza, nemmeno se è di un ministro o di un capo di governo, stimolano invece l’intuito: come ci stiamo preparando all’inevitabile nuova fase del meticciato europeo? A guardare l’approccio culturale, politico e operativo che le nostre classi dirigenti hanno nei confronti di questi dati di fatto, che come dice bene Mattia Feltri, “dicono come andranno le cose”, sembra che si voglia solo esorcizzare ciò che naturalmente sta accadendo e per forza di cose accadrà. Non siamo “impalliditi” improvvisamente, qui nella vecchia Europa. Ci abbiamo messo relativamente poco, circa ottomila anni, a schiarire.
Le continue migrazioni, che da sempre caratterizzano il continente (chissà se c’erano Ong 8000 anni fa ) hanno fatto mescolare i nostri cromosomi, producendo ciò che siamo adesso. 8500 anni fa spagnoli, lussemburghesi e ungheresi (non ditelo a Orban!) erano piuttosto neri, ancora del colore originale diciamo. Perché all’epoca, come riporta Rosita Rijtano in un articolo su Repubblica, riprendendo una ricerca pubblicata su Science, gli avi dei nostri avi mancavano di due geni, responsabili della de-pigmentazione: il SLC24A5 e il SLC45A2. Il meticciato, quello che ci regalato questi due geni e con essi lo scolorimento che abbiamo ora, è quello dunque della fase più recente, e in particolare riguarda l’incontro, a seguito di migrazione, con i popoli cacciatori del nord, con gli agricoltori che arrivavano dal vicino oriente, e con i pastori Yamnaya giunti dalle steppe.
C’è stato, ed è dimostrato, un processo di selezione naturale, che ci ha sbiancati anche per farci assorbire meglio la vitamina D, attraverso un più efficiente assorbimento dei raggi ultra violetti che la pelle bianca garantisce a latitudini dove l’esposizione al sole è minore. Tutto questo che cosa dimostra: che razzisti, suprematisti e puristi ariani sono degli inutili idioti, certo, ma soprattutto che la nostra Italia, la nostra Europa, il nostro Mediterraneo, sono i luoghi del meticciato per eccellenza. E per fortuna. E’ questo meticciato che ci ha reso grandi nella cultura, nelle arti, nella scienza. Virgilio, nell’ultimo libro dell’Eneide, descrive come l’unione dei maschi troiani e delle donne italiche trovate da questi ultimi sul posto, preluda alla nascita di Roma. Giove e Giunone direttamente negoziano tra loro la creazione di una “genus mixtum”, in aperta antitesi con l’idea ateniese di purezza della stirpe. Ma noi, purtroppo, non studiamo più il mito, e siamo invece nelle mani di mitomani.
E’ possibile che l’unico modo di trattare il migrante, sia quello di fargli la guerra? Ma nemmeno alla “migrazione”, che sarebbe come far la guerra non solo alla nostra storia, alle nostre origini, ma a all’estate o all’inverno, al vento o alla pioggia, ma a quella piccola percentuale di persone in movimento che sono le più vulnerabili, le più indifese, le più massacrate da un viaggio che abbiamo reso infernale? Difronte ai 200 milioni di futuri coabitanti dell’Europa, quelle tremila donne, uomini e bambini che facciamo affogare nel Mediterraneo al posto di soccorrerli, cosa sono, un tributo di sangue dovuto a qualche divinità pagana? Difronte al nostro destino, che non è nato ieri e nemmeno l’anno scorso, che senso hanno i lager in Albania, le deportazioni nel deserto commissionate agli autocrati, i campi di concentramento che circondano tutto il continente insieme al filo spinato? Sembra tutto ridicolo. Ma non lo è. L’ignoranza e l’arroganza messe insieme producono spesso le cose più atroci, insensate