Il Patto con l'Albania
La destra vuole leggi speciali per togliere diritti ai migranti
Il ddl di ratifica del protocollo con Tirana corre veloce verso l’approvazione, nonostante gli enormi problemi di legittimità. Altro che rispetto del diritto Ue: siamo davanti allo svuotamento di principi fondamentali
Editoriali - di Gianfranco Schiavone
Il disegno di legge AC 1620 di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione del Protocollo tra Italia ed Albania per la collaborazione sulle politiche migratorie corre veloce verso l’approvazione in Parlamento con un’assoluta indisponibilità da parte del Governo ad un confronto e una riflessione su un testo che presenta enormi problemi di legittimità e di conformità al diritto europeo.
Nel ddl si prevede di trasportare in Albania “solamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane, anche a seguito di operazioni di soccorso, in zone situate all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea” (art. 3 co.2) in aree che vengono “equiparate alle zone di frontiera o di transito” (comma 3) ovvero agli hotspot e ai CPR ubicati sul territorio italiano e affermando infine che in tali aree “si applicano in quanto compatibili” (art. 4 co.1) le normative interne ed europee in materia di asilo, nonché quelle sull’espulsione degli stranieri irregolari.
Una compatibilità con il diritto UE tanto perentoriamente dichiarata quanto infondata. Come richiamavo nell’edizione del 6 novembre 2023, la normativa dell’Unione Europea sul diritto d’asilo si applica esclusivamente al territorio degli stati membri, comprese le loro frontiere esterne, ma non in un paese terzo.
Non deve trarre in inganno il fatto di poter applicare, in alcuni casi, la procedura di frontiera e la connessa, pur assai discutibile, nozione di “finzione di non ingresso” poiché tali procedure devono in ogni caso, senza eccezioni, trovare attuazione nel territorio di uno stato dell’UE.
Tale quadro normativo non è destinato a modificarsi in modo significativo con le annunciate modifiche al diritto europeo sull’asilo previste dal pessimo accordo politico concluso il 18 dicembre, del quale ho scritto sull’Unità del 21 dicembre 23. Anche la irragionevole proposta di applicare indistintamente la procedura di frontiera a chiunque sia soccorso in mare, che potrebbe essere inserita nel futuro Regolamento procedure, in nulla modifica il punto di fondo di cui sopra: le procedure di frontiera sono comunque attuate nel territorio di uno stato dell’Unione.
Non sarebbe contraria al diritto dell’Unione una norma interna che preveda che in un paese terzo l’intero sistema delle garanzie previste dal sistema europeo di asilo venga rispettato o che preveda di applicare norme più favorevoli di quelle previste dall’Unione; ciò che deve essere escluso con chiarezza è la possibilità da parte degli Stati di realizzare un’applicazione di tipo “selettivo” delle garanzie e delle procedure di asilo al fine di eludere tali garanzie, come intende fare il Governo italiano con il disegno di trasportare i naufraghi in Albania invece che in Italia, anche con ritardo nella conclusione dei soccorsi, al solo scopo di impedirne l’ingresso nel nostro paese ed attuare una procedura di esame delle loro domande di asilo in condizioni nettamente più sfavorevoli.
Del tutto diverso sarebbe il caso di applicazione, nella misura del possibile, delle garanzie previste dal diritto dell’Unione, ai rifugiati che ancora si trovano all’estero al fine di consentire loro di accedere alla procedura di asilo al di fuori del territorio italiano. Una procedura la cui finalità sarebbe quella di avvicinare la protezione, mentre la finalità dell’accordo italo-albanese è l’esatto opposto, ovvero quella di allontanare la protezione.
L’analisi delle misure contenute nel disegno di legge permette di vedere in modo assai evidente come i principi e le garanzie previste dal diritto UE in materia di asilo non sono affatto rispettate sotto plurimi profili, ad iniziare dal divieto di applicare la procedura di frontiera e il trattenimento dei richiedenti asilo in modo generalizzato (in altri termini il divieto di detenere un richiedente asilo per il solo fatto di aver chiesto asilo).
Nel corso del tentato dibattito parlamentare i deputati dell’opposizione, e gli on. Magi e Mauri in particolare, hanno incalzato il Governo a chiarire, poiché il testo del ddl tace sul punto, come si intenda rispettare il divieto di trattenimento generalizzato, ovvero come e dove venga fatta la selezione tra chi portare e trattenere in Albania e chi no.
Il Governo, tramite il vice ministro Cirielli, ha risposto infine che “è stata avanzata l’ipotesi di avviare l’attività già nelle fasi immediatamente successive al loro soccorso o recupero, per mezzo di assetti navali a disposizione delle autorità statali, in modo da escludere che coloro che presentino vulnerabilità siano condotti in Albania” e che quindi “dovrebbe essere effettuata una immediata verifica dei migranti in mare, al fine di trasbordare sull’assetto incaricato solo gli stranieri che, prima facie, sono eleggibili per l’attivazione delle procedure amministrative da svolgersi presso le strutture in Albania. Resta ferma la possibilità di effettuare eventuali, ulteriori valutazioni di condizioni di vulnerabilità successivamente allo sbarco in Albania, presso le strutture adibite all’identificazione e alla primissima accoglienza”.
La spiegazione data da Cirielli non spiega nulla, se non che la confusione è totale perché, a parte gli enormi problemi logistici delle operazioni ipotizzate, viene confermato che la norma manca del requisito della tassatività (sorprendente, in sede di discussione di un testo che si vuol far diventare legge, l’uso delle parole “è stata avanzata l’ipotesi”).
In ogni caso, nel rispetto delle normative internazionali sul soccorso in mare ed in particolare della Convenzione SAR (1979) sulle navi dello Stato che hanno operato il soccorso non pare possibile effettuare l’asserita selezione sulla base della condizione giuridica delle persone soccorse.
Altresì la norma interna (d.lgs 28 gennaio 2008 n. 25) esclude che il capitano della nave possa essere l’autorità che riceve le domande di asilo; tutte le domande di asilo vanno dunque recepite e formalizzate solo una volta che le operazioni di soccorso siano terminate con lo sbarco, e, quindi in Italia o nelle strutture previste dal Protocollo, in Albania.
Il quadro si fa assai delicato soprattutto nei confronti delle situazioni vulnerabili, affatto residuali, che non sono di immediata evidenza quali molti minori per i quali, se dubbia, va accertata l’età con procedure rigorose e con il coinvolgimento del Tribunale per i minori, le vittime della tratta e tutti coloro (che sono assai numerosi tra i richiedenti) che nei paesi di origine o di transito hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.
Il loro trattenimento nelle strutture albanesi non potrà essere convalidato e gli accertamenti (esempio quelli sulle violenze subite) dovranno essere tempestivi ed effettivi, in modo da non eludere gli obblighi di legge.
Infine va sottolineato come nessun trattenimento potrà essere attuato per coloro che non provengano da un cosiddetto paese di origine sicuro e che anche nei confronti di coloro che vi provengano nessun automatismo è mai possibile; ogni situazione va esaminata in concreto in sede di convalida valutando la possibilità di misure alternative alla detenzione che la norma interna, nel rispetto del diritto UE, deve sempre prevedere, ma che invece il disegno di legge AC1620 non prevede affatto.
In sintesi, parte significativa, e spesso maggioritaria, degli stranieri che verranno trasportati in Albania non potranno in alcun modo esservi trattenuti e dovranno essere immediatamente rilasciati e riportati in Italia a carico dello Stato italiano.
Nelle strutture in Albania risulta oltremodo difficile che sia assicurato realmente il diritto di comunicare con “organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza” (Direttiva 2013/32/UE articolo 12 par.1 c), 4) né il diritto di consultare “in maniera effettiva un avvocato o altro consulente legale” (art.22).
Come fatto osservare da molti, tra cui il prof. Bonetti dell’Università di Milano-Bicocca in sede di audizione parlamentare, il ddl prevede “irragionevoli discriminazioni tra i richiedenti asilo portati in Albania e quelli presenti in Italia circa l’effettivo accesso al diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost. e al giusto processo garantito dall’art. 111 Cost. ” con particolare riferimento all’impossibilità di confrontarsi di persona con un difensore di fiducia (mentre invece si prevede un contatto soltanto on line), alla mancata disciplina dell’accesso al gratuito patrocinio che pare rimessa alla discrezionalità di chi gestirà i centri, e alla nomina dell’avvocato di fiducia, e, non da ultimo, alla impossibilità di essere interrogato di persona dal giudice (che dovrà farlo solo in videoconferenza) anche durante il ricorso di merito contro l’eventuale rigetto della domanda di asilo, andando così a minare il principio del contraddittorio.
In Gran Bretagna l’esanime Governo Sunak insegue con caparbia tenacia l’obiettivo di liberarsi dei propri obblighi giuridici verso i richiedenti asilo che arrivano sulle coste inglesi affidando gli stessi alla giurisdizione di un altro Stato (il 18 gennaio scorso la Camera dei Comuni ha approvato il Safety of Rwanda Bill la cui legittimità, al pari della legge precedente bocciata dalla Corte Suprema, rimane assai dubbia).
Il Governo italiano, con mossa forse più scaltra, non cerca di disfarsi della propria giurisdizione, bensì, negando l’accesso al territorio italiano e trasportando i richiedenti asilo in un paese terzo, punta a svuotare di concretezza ed effettività i principi fondamentali e le garanzie procedurali in materia di diritto d’asilo trasformando la norma in un vuoto ed innocuo simulacro. Un altro tentativo, forse ancor più estremo di molti precedenti, di creare un diritto speciale degli stranieri.