Il vertice Italia-Africa
Il Piano Mattei è una scatola vuota, i leader africani sbugiardano Meloni: “Non siamo mendicanti”
Meloni vaneggia di “percorso incrementale” tra gli elogi di von der Leyen e Metsola. Ma il leader dell’Unione Africana li smaschera: “Nessuno ci ha consultati”
Politica - di David Romoli
Applausi tanti, soldi pochi, anzi nessuno. Il bilancio del vertice Italia-Africa al Senato per ora è questo. L’Europa presenzia in pompa magna: le due principali amiche e alleate della premier italiana nell’Unione, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e quella del Parlamento Roberta Metsola, con loro il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Si allargano in elogi. “Siamo grati”, esordisce von der Leyen. “Andiamo avanti insieme”, duetta Metsola. “Una plauso al piano Mattei, a questa partnership fra pari”, si allarga Michel. Ma di miliardi non se ne parla e per finanziare gli ambiziosi progetti del Piano ce ne vorrebbero tanti. Molti più dei 5,5 miliardi stanziati dall’Italia e solo dall’Italia: 3 presi dal “Fondo per il clima”, 2 da quello “per la Cooperazione e lo sviluppo”.
Peraltro i soldi della cooperazione erano già stati stanziati in finanziaria e a quelli del fondo per il clima ci aveva già pensato Draghi nel 2022. Insomma, di nuovo non c’è niente o quasi. La premier è comunque raggiante. Lo scatolone è pieno di sabbia ma il risultato diplomatico è innegabile: i vertici dell’Unione da un lato, 25 capi di Stato dall’altro e Giorgia in mezzo. Non che gli africani siano proprio soddisfatti però.
Il primo a parlare è Moussa Faki, presidente della commissione dell’Unione africana, quello del celeberrimo scherzo telefonico sul quale infatti la premier ironizza, “Questo è quello vero”. Non è che si spelli le mani: “Avremmo auspicato di essere consultati. Non siamo mendicanti e le promesse non bastano”.
Nel suo intervento per la verità Meloni aveva proprio bocciato “l’approccio caritatevole” che “mal si concilia con lo sviluppo” o a quello predatorio, che si concilia invece perfettamente col sottosviluppo.
Assicura che l’Africa sarà centrale nella presidenza italiana del G7, di fatto inaugurata ieri, avrà anzi “il posto d’onore”. Sembra consapevole delle difficoltà dell’impresa, che i bookmaker danno tutti per impossibile o quasi. Però non si scoraggia affatto: “Sovvertire i pronostici vuol dire scrivere la propria pagina nella storia”.
La prima fase del progetto è già sin troppo ambiziosa: con Tunisia, Egitto e Algeria agricoltura e cibo “non sintetico”, come puntualizza Meloni segnalando il rischio di un mondo dove i cibi veri sono per i ricchi e per gli altri c’è il sintetico. Sviluppo energetico con il Congo e il Marocco. Strutture sanitarie con la Costa d’Avorio. Infrastrutture ancora con la Tunisia. Ma dovrebbero essere le teste di ponte perché il percorso è “incrementale”.
In sé la presentazione squadernata ieri da Giorgia Meloni è inappuntabile. L’implementazione, invece, di rischi e problemi ne presenta in massa. L’obiettivo ribadito anche ieri dalla premier è la sterzata brusca sul fronte dell’immigrazione.
Contrastare gli arrivi non servirà mai se non si mette mano alla situazione che spinge gli africani verso l’esodo. In realtà di questioni ce ne sono in ballo anche altre due: i rifornimenti energetici, dal momento che dopo la rottura con la Russia, l’importanza dell’Africa si è impennata in tempi record.
E poi, tanto più nella situazione di instabilità mondiale che si è determinata negli ultimi anni, contrastare l’insediamento in Africa della Russia e soprattutto della Cina, che si è sviluppato nel corso degli ultimi decenni senza che un occidente imbambolato muovesse un dito per contrastarlo.
Ma non è chiaro, buoni propositi a parte, come si dovrebbe differenziare il Piano Mattei da un molto meno ambizioso e più classico scambio tra aiuti di fatto “caritatevoli” in cambio di maglie strette sull’immigrazione.
La centralità della questione energetica indica poi un altro ciclopico irrisolto: l’Africa dovrebbe premere l’acceleratore a tavoletta sui fossili e questo, oltre a contrastare con l’intera strategia europea del Green Deal, significherebbe riproporre proprio quel “rapporto predatorio” che il governo italiano, nel nome e nel segno di Enrico Mattei, ripete di voler evitare.
Anche con questi interrogativi e con queste potenziali ipoteche il progetto resta comunque positivo, anzi tale, almeno sulla carta, da prefigurare un rapporto radicalmente nuovo tra Europa e Africa.
Sulla carta, appunto, e solo su quella, perché senza uno sforzo economico eccezionale dell’intera Unione, del quale al momento non si intravede traccia, lo scatolone resterà pieno di sabbia. La partita si giocherà dunque dopo le elezioni europee e sarà fondamentale il ruolo che l’Italia e il gruppo europeo dei Conservatori riusciranno a giocare nell’Unione dopo il prossimo 9 giugno.