La premier nell'angolo
Perché l’Italia non approva il Mes, il pressing dell’Europa su Meloni: via libera o “lacrime e sangue”
Il pressing, gentile ma asfissiante è già partito da Fmi ed Eurogruppo. Giorgetti protesta ma le maglie, con la procedura d’infrazione alle porte, sono strette
Politica - di David Romoli
L’Europa vuole la firma italiana in calce alla riforma del Mes e la vuole fortissimamente. Ieri a Lussemburgo si sono riuniti i governatori del Mes e l’occasione era perfetta dal momento che proprio oggi scadono i sei mesi dal no italiano che ha paralizzato la riforma, che non può decollare senza l’unanimità. Tanti ne erano necessari per avviare il ripensamento e ora sono passati.
Il pressing su Giorgetti è pesante e corale, pur se cortese e diplomatico. “Ho incoraggiato l’Italia a firmare. In questi tempi difficili abbiamo davvero bisogno di questo strato di protezione al sistema bancario”, racconta all’uscita il presidente del Mes Gramegna. “Rispetto l’Italia ma la mancata ratifica è una perdita collettiva. Se un Paese decide di non avvalersi di questo strumento altri Paesi potrebbero voler accedere”, rincara il presidente dell’Eurogruppo Donohoe. Il Fmi corre in soccorso e chiede di “dare la priorità alla ratifica”.
Niente da fare. Il ministro italiano non dà garanzie di sorta e anzi mette sul tavolo il tentativo di isolare l’Italia nella cena di Bruxelles lunedì scorso: “Trattamento pregiudiziale e assolutamente sbagliato. L’Italia non può essere trattata in questo modo e noi non possiamo fare finta di niente”. È un avvertimento preciso e molto minaccioso, non solo per quanto riguarda il Mes. È anche la prova, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che non è possibile separare i vari tavoli sui quali si stanno svolgendo le diverse partite tra Roma e Bruxelles. Sono certamente dossier diversi, ognuno dei quali ha la sua specificità ed autonomia. Ma sono anche vicende intrecciate, che non possono non influenzarsi a vicenda. Al momento, comunque, l’Europa non può che prendere atto di un’opposizione italiana che non si è modificata in questi sei mesi. Gentiloni, alla fine del vertice, è tanto deluso quanto laconico: “Il Consiglio del Mes ha preso atto delle persistenti difficoltà dell’Italia nel ratificare il nuovo Trattato”. Per ora è chiusa e per riaprirla nella trattativa dovranno rientrare diverse altre voci.
Prima di tutto le nomine, perché l’idea di tenere fuori dalla porta, con plateale umiliazione, il governo del terzo Paese dell’Unione e la presidente di quello che da due giorni, grazie all’ingresso in Ecr dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni forte di sei eurodeputati, è il terzo gruppo più numeroso dell’europarlamento è un azzardo pericoloso. Per la prima volta FdI mette in forse il voto a favore di von der Leyen ma la minaccia è a tutto campo. Tra guerriglia in Parlamento e veti nel Consiglio lo scontro prolungato sarebbe paralizzante. Ma anche la trattativa in corso sulla procedura di infrazione, che è appena all’inizio. Oggi la lettera della Commissione ai sette Paesi, tra cui Italia e Francia, per i quali è stata chiesta la procedura d’infrazione indicherà per la prima volta le richieste di Bruxelles. Ma sarà solo un’indicazione generale. Poi, entro il 20 settembre, ogni Paese dovrà presentare e poi discutere con la nuova Commissione il Piano a medio termine di rientro. In ogni caso l’esborso annuo per l’Italia sarà pesante, tra i 12 e 13,5 mld di euro.
Ma l’Italia, probabilmente, chiederà anche di rientrare nel parametro sul deficit non in 4 ma in 7 anni e la commissione concederà il prolungamento solo in cambio di riforme che somiglieranno da vicino a un commissariamento. Ma la durezza di quelle richieste sarà a propria volta oggetto di trattative e va da sé che la mancata ratifica del Mes verrebbe a quel punto fatta pagare a caro prezzo. Per Meloni, d’altra parte, tornare sulla decisione di bloccare la riforma dell’ex Fondo salva Stati è molto difficile. Deve muoversi sapendo di essere tenuta sotto tiro dai cugini di Identità e Democrazia con la Lega in prima fila. Il no del Carroccio alla riforma resta assoluto e non senza buoni argomenti. La relazione sul Mes indica infatti un percorso virtuoso che dovrebbe partire proprio dal nuovo Patto di Stabilità. Le nuove regole dovrebbero portare rapidamente tutti i Paesi a rientrare nei parametri sul deficit, tetto del 3% del Pil, e sul debito, 60% del Pil.
A quel punto i Paesi in difficoltà potrebbero accedere, se necessario, al prestito del Mes senza bisogno di ristrutturare il debito. La Lega teme, e come darle torto, che il rientro sul debito in tempi brevi sia una chimera e che di conseguenza il nuovo Mes spalanchi le porte alla ristrutturazione del debito. Molto più che solo lacrime e sangue. Dunque il passo che l’Europa reclama, tanto più ora che si stanno di nuovo addensando nuvole di crisi, il governo italiano può farlo solo all’interno di una trattativa a tutto campo, che contempli sia l’accordo sulla procedura d’infrazione che la rinuncia al tentativo di stendere anche intorno a Roma un cordone sanitario, di fatto una conventio ad excludendum. Il brutto è che proprio i due Paesi che hanno i maggiori interessi in comune sul piano della procedura, Italia e Francia, sono quelli più divisi e in guerra tra loro, per scelta soprattutto di Macron. Il labirinto europeo è questo e tutti, da Ursula von der Leyen a Meloni e allo stesso Macron, rischiano di uscirne per un verso o per l’altro con le ossa rotte.