L'intervista a tutto campo

Intervista a Luigi Zanda: “Il Pd impari da Moro, prima la politica e poi le alleanze”

«L’unità tattica che dem e 5s tentano di costruire è un cartello elettorale. L’unità nazionale del leader Dc era un progetto politico. Gli elettori capiscono la differenza tra una vera alleanza e un accordicchio per le elezioni»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

21 Marzo 2024 alle 17:00

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Intervista a Luigi Zanda: “Il Pd impari da Moro, prima la politica e poi le alleanze”

Dal caos dei “campi” di casa nostra ad un disordine mondiale che rischi di sfociare in una guerra nucleare. Dalle parole del Papa al “dossieraggio” che infesta il fu belpaese. Una intervista a tutto campo, e senza giri di parole, quella di Luigi Zanda a l’Unità.

Campo largo. Campo giusto. Campo minato. Siamo all’agro politica. Dall’entusiasmo sardo, alla doccia fredda abruzzese, alle risse interne al centrosinistra in Basilicata e Piemonte. Senatore Zanda a lei la parola.
Al di là di chi ha vinto e di chi ha perso, dalla Sardegna e dall’Abruzzo sono venuti segnali politici chiari.

Vale a dire?
Il centrodestra ha visto il crollo della Lega che è un fatto strutturale, tutto in conto alle manovre di Salvini, mentre Forza Italia sta recuperando per merito delle rassicurazioni di Tajani. Nel centrosinistra abbiamo un Partito democratico che tiene ma che rimane attorno al 20%, una percentuale molto lontana da quello che gli servirebbe per esercitare una leadership. Visto in prospettiva, quel 20% non è una sconfitta ma nemmeno una vittoria.

E Conte?
Conte si è fermato al 7%, sia in Sardegna che in Abruzzo. Ha fatto un vero disastro che i 5Stelle hanno archiviato come se nulla fosse. Sono dati su cui riflettere.

Non c’è il rischio che in questo estenuante gioco dell’oca della politica, si torni alla casella iniziale, discutendo, litigando, sulle alleanze perdendo di vista, penso in particolare al Pd che del centrosinistra è la forza più grande, la questione cruciale dell’identità, del progetto, delle priorità programmatiche?
In politica c’è un prima e un dopo. Per far nascere delle coalizioni solide ci vuole un progetto politico condiviso e una vista lunga. Ripetere quotidianamente lo stucchevole slogan del campo largo non basta. Lo dico meglio. L’unità tattica che il Pd e i 5Stelle tentano e ritentano di costruire è un cartello elettorale, mentre l’unità nazionale di Aldo Moro era un progetto politico. La strada che il Pd dovrebbe battere è quella di Moro, prima il progetto politico e poi le alleanze. Quando due partiti si alleano senza molta convinzione per vincere le elezioni, il disagio degli elettori produce figuracce imbarazzanti come in Basilicata e in Piemonte.

Si è detto e scritto che la tornata elettorale del 2024, amministrative e le europee di giugno, sono un severo banco di prova, e di tenuta, del nuovo corso di Elly Schlein. È di questo avviso?
Vede, Elly Schlein per vincere ha collocato il baricentro della sua politica in un’alleanza ad ogni costo tra i partiti che si oppongono al governo Meloni e in questa alleanza privilegiando il rapporto con i 5Stelle di Conte. Insisto. I cartelli elettorali sono per la loro stessa natura delle scelte di opportunità e in quanto tali sono fragili. Non sono mai sufficienti per far nascere politiche capaci di toccare l’anima e la mente degli elettori.

Perché, senatore Zanda?
Perché gli elettori vedono la differenza che passa tra una vera alleanza e un accordicchio elettorale.

Non è anche un problema di qualità delle classi dirigenti, di come vengono selezionate le stesse candidature che poi si sottopongono al giudizio degli elettori?
Il problema della qualità delle classi dirigenti è un problema nazionale che non riguarda solo la politica ma investe anche il mondo economico, quello della cultura, dell’informazione stessa. È un problema della società. E non è, questo è bene sottolinearlo, solo un problema italiano, ma anche dei nostri alleati in Europa e degli stessi Stati Uniti.

Quando la politica arranca, la cronaca si riempie di melma, come quella scatenatasi con i cosiddetti “dossieraggi”.
Guardi, sono personalmente molto sensibile a questi argomenti, ma l’esperienza mi ha insegnato ad aspettare, prima di dare giudizi. Questo vale in generale ma soprattutto quando si maneggiano affari che riguardano istituzioni strategiche come la Direzione nazionale antimafia. I giudici Melillo e Cantone sono personalità di grande valore ed anche per rispetto nei loro confronti aspettiamo almeno che si concluda la fase istruttoria.

Resta comunque il nodo irrisolto del rapporto tra politica, magistratura e informazione.
Lei mi sta chiedendo una opinione su quanto in Italia venga rispettata la divisione dei poteri che è un cardine della democrazia. Io le rispondo con due parole: a corrente alternata.

Tutto questo avviene mentre il mondo è dentro quella che Papa Francesco ha definito “una guerra mondiale a pezzi”, con un rieletto, con un plebiscito annunciato, presidente russo che evoca lo spetto di una guerra nucleare, mentre in Medio Oriente continua e si accresce la tragedia di Gaza.
Se mettiamo insieme l’analisi di Papa Francesco e le minacce di Putin, dobbiamo dire che il mondo sta vivendo una terza guerra mondiale a pezzi, ma sta rischiando anche di cadere in una guerra mondiale nucleare. Il futuro prossimo dipenderà da molte cose: l’andamento della tragedia del Medio Oriente, quello dell’aggressione russa in Ucraina ma anche dall’esito delle elezioni americane. Mi sembra che in Italia, salvo Conte e Salvini, tutti si augurino la vittoria di Biden.

Per restare al Papa. Molto ha fatto discutere la metafora della “bandiera bianca”. C’è chi, più o meno velatamente, ha addirittura tacciato Francesco di “fiiloputinismo”.
La bandiera bianca può essere un segno di pace se viene alzata contemporaneamente dalle due parti in guerra per aprire un negoziato. Ma se ad alzarla è l’aggredito più debole, diventa un segno di resa. La dichiarazione del Papa sulla bandiera bianca non era chiara. Ma il cardinale Parolin, segretario di stato del Vaticano, ha spiegato che era rivolta sia alla Russia che all’Ucraina, e così va bene. Perché l’altra interpretazione sarebbe stata indiscutibilmente una interpretazione di parte. Tutto questo ci interroga sulla pace. In un mondo che ha un impellente, straordinario, vitale, bisogno di pace, abbondano le aggressioni di paesi forti, armati, cinici, nei confronti di nazioni più deboli. Dobbiamo domandarci in un mondo come questo, che cosa bisognerebbe fare, quale azione politica, diplomatica e anche culturale, occorrerebbe mettere in campo per far sì che la pace sia il solido fondamento di un nuovo ordine internazionale e delle relazioni tra stati, tra popoli. Che la pace avanzi. Personalmente non credo che il realismo politico di chi suggerisce che bisogna accettare la violenza del più forte nei confronti del più debole, sia un atto di pace. Questo va detto con la massima nettezza. Perché sta passando l’idea che chi suggerisce al più debole di accettare la violenza del più forte stia favorendo la pace.

La tragedia di Gaza. Senatore Zanda molto si disquisisce sulle parole, come “genocidio”. Al di là della semantica, come definirebbe gli accadimenti che stanno sconvolgendo la Terrasanta?
Innanzitutto, le rispondo che le parole sono importanti e usare per Gaza il termine genocidio è molto sbagliato. Quanto alla guerra tra Israele e Hamas, ho l’impressione che tutti i tentativi di pace possano essere precari sino a quando non saranno promossi anche da Iran, Siria, Arabia Saudita e, più da lontano., anche da Cina, Russia e Stati Uniti. Molti di questi attori hanno interesse che la guerra continui. Vale solo la pena aggiungere che gli sforzi di pace sinora manifestati da Biden debbono essere apprezzati.

Senatore Zanda, so di toccare un tasto a cui lei è molto sensibile: l’antisemitismo. Dov’è, a suo avviso, la frontiera invalicabile tra le critiche alle azioni di un governo e la messa in discussione dello Stato ebraico?
Premesso che atti di discriminazione, come quelli a cui abbiamo assistito nei confronti dei giornalisti Molinari e Parenzo sono ributtanti, la mia impressione è che nei prossimi sette-otto mesi cresceranno le operazioni di disinformazione e ingerenza della Russia verso l’Europa, compresa l’Italia, e gli Stati Uniti. Temo che anche la guerra in Medio Oriente e quella in Ucraina saranno oggetto della disinformazione russa. Putin sa bene che in democrazia il tempo delle campagne elettorali lascia ampi spazi di manovra alle sue manipolazioni e cercherà di approfittarne.

Restando sulla politica estera che, assieme alla difesa, dovrebbe essere uno dei pilastri su cui un paese che ha rispetto di sé, fonda la propria credibilità internazionale. Ma che credibilità può rivendicare un governo in cui, sulle elezioni in Russia, registra e manifesta lo scontro tra i due vicepremier, Salvini e Tajani, con un imbarazzato e imbarazzante silenzio, almeno iniziale, della presidente del Consiglio?
La posizione di Salvini su Putin e quella opposta di Tajani e la mancata censura di Meloni alle dichiarazioni di Salvini, sono un esempio di scuola del genere dell’operetta tragica.

Le elezioni europee cambieranno il quadro politico italiano o europeo?
È molto difficile che le elezioni europee possano cambiare il quadro politico in Italia, forse lo cambieranno in Europa dove le incognite sono maggiori. In Italia peseranno di più le elezioni nelle grandi regioni come il Piemonte, il Veneto, l’Emilia, la Toscana, la Campania e la Sicilia e conterà molto il risultato del comune di Firenze. I conti finali si faranno alle politiche del 2027, sempre che non vengano anticipate perché potrebbe non essere lontano il tempo in cui Meloni perde la pazienza con Salvini.

21 Marzo 2024

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