La proposta

Parlamento Mondiale, una nuova democrazia per abbattere il tiranno: il Pil

Dall’ambiente a pezzi al divario sempre più grande tra agiati ed esclusi, il mondo si avvia al tracollo. Per salvarlo serve fede ma anche realismo

Editoriali - di Mario Caligiuri

10 Marzo 2024 alle 21:30

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Parlamento Mondiale, una nuova democrazia per abbattere il tiranno: il Pil

Pur nella sua evidente e attuale irrealizzabilità, mi sembra molto interessante il dibattito che ha sollecitato su questo giornale la proposta di Mario Capanna di proporre l’idea di un parlamento mondiale.

Infatti, il progetto mette in risalto una serie di questioni fondamentali che vengono sistematicamente eluse o considerate inevitabili, come l’alternarsi delle stagioni.

Diventa sempre più evidente che l’attuale modello di sviluppo sta risolvendo molti problemi dell’umanità ma contemporaneamente tanti altri ne sta creando.

Primo tra tutti l’emergenza ambientale, poiché le condizioni di vivibilità nel nostro pianeta sono, secondo i più, ad altissimo rischio. Noam Chomsky scrive che potremmo essere “a 2 minuti dall’apocalisse”.

E come il bambino della favola di Hans Christian Andersen constata che “il re è nudo”, c’è voluta Greta Thunberg per riproporre con ancora maggiore attenzione un tema che è sotto gli occhi di tutti ma che appunto per questo, come la “lettera rubata” di Edgar Allan Poe, sembra passare praticamente inosservato.

A metà dei anni Novanta, Niklas Luhmann analizzava il movimento delle proteste e faceva riferimento precisamente ai temi ambientali. Constatava, tra l’altro, che le contestazioni avvenivano all’interno della società e quindi del sistema di potere che le aveva generate e che finiva con l’assorbirle inevitabilmente.

Per esempio, oggi in Germania, dove maggiormente la questione ambientale è stata dibattuta, il partito dei verdi è al governo e viene durante contestato al suo interno per i compromessi su scelte energetiche da sempre avversate, come gli scavi carboniferi.

Proprio alla fine degli anni Novanta, si era sviluppato il movimento “No Global” che oggi sembra molto attenuato e che allora aveva trovato tra i più lucidi interpreti Naomi Klein, che negli ultimi anni ha nuovamente sottolineato l’importanza dell’aspetto ambientale, in un contesto che definisce “mondo specchio” in cui, attraverso l’intelligenza artificiale, la realtà diventa indistinguibile dalla finzione.

A fine secolo, proprio Naomi Klein metteva in guardia sul ruolo delle multinazionali che negli ultimi vent’anni si sono invece ingrandite a dismisura, rappresentando una minaccia per le democrazie del XXI secolo.

Un’espansione per nulla interrotta dai fallimenti del sistema finanziario globale, simboleggiati dalla Lehman Brothers nel 2008, peraltro lucidamente anticipati da John Kenneth Galbraith che metteva in guardia dall’ “economia della truffa”.

Con l’arrivo della pandemia, Slavoj Žižek aveva ipotizzato il declino del capitalismo, che invece ha allargato ulteriormente le diseguaglianze con gli uomini più ricchi del mondo che aumentano senza sosta i propri patrimoni.

Un’economia che scarica sui bilanci degli stati e quindi dei cittadini le politiche fallimentari delle banche che, grazie anche all’abolizione dello Glass-Steagall Act durante la presidenza di Bill Clinton nel 1999, possono operare “con debiti pari al 4000% dei propri capitali. Mentre se uno Stato europeo supera il 60% di rapporto tra debito e PIL, va punito”.

Penso avesse proprio ragione Henry Ford II quando affermava: “È un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”.

Siamo di fronte a una struttura sociale che nei sistemi democratici si sta materializzando con la prevalenza sempre maggiore dell’economia sulla politica, basata sulla “dittatura del Pil”, che misura “qualunque cosa, tranne ciò per cui vale la pena di vivere”.

Ci stiamo muovendo nel verso giusto? Il tema è controverso. Stiamo vivendo una metamorfosi del mondo caratterizzata da uno scontro di intelligenze, in cui quella umana si sta confrontando, e dipendendo sempre di più, da quella artificiale.

E secondo l’Ue anche i servizi pubblici potrebbero essere erogati da un algoritmo, che rischia di diventare “definitivo”, nel senso che potrebbe riuscire a programmare sé stesso senza l’apporto umano.

Di sicuro i problemi sociali diventano sempre più globali e le risposte nazionali si rivelano sempre più insufficienti. A ciò si aggiunga che le regole internazionali o sono dettate dal più forte, o sono ininfluenti, o risultano del tutto assenti.

Inoltre, le organizzazioni internazionali dimostrano grandi incertezze, subordinate come sono agli interessi degli Stati che le finanziano. La complessità dei problemi dimostra che gli attuali percorsi di sviluppo sociale sono insufficienti e che le logiche mercantili presentano indubbi inconvenienti.

Occorre, allora, individuare nuovi percorsi di fronte al destino comune dell’umanità, come ha confermato la pandemia, che, come sottolinea Bill Gates, potrebbe certamente non essere l’ultima né la più grave.

Negli anni Trenta José Ortega y Gasset riteneva che la crisi dell’ordine sociale fosse provocata dalla richiesta di diritti da parte delle masse.

Alla fine degli anni Novanta Christopher Lasch ha invertito il punto di vista argomentando che fossero le élite a essersi ribellate rispetto al contesto sociale, rinchiudendosi sempre di più nei propri privilegi.

C’è bisogno di coltivare uno sguardo diverso rispetto ai problemi del mondo, auspicando la assai incerta responsabilità delle persone, per dare sostanza al sistema democratico che si fonda sulla consapevolezza dei cittadini e la responsabilità delle élite, altrimenti si trasforma in una procedura elettorale che mette in scena una finzione.

Quelle finzioni che le rivolte del Sessantotto avevano contestato in profondità, fino alle scelte estreme del terrorismo politico, le cui cause profonde, depurate dai deliri ideologici, e ancorate alle disuguaglianze sociali, ancora oggi non sono state affatto superate.

Infatti, il tema della giustizia sociale dalla fine della seconda guerra mondiale in poi viene affrontato con il consumismo ma i nodi potrebbero forse arrivare al pettine.

Occorre però considerare quello che diceva Leonardo Sciascia: “se c’è il pettine”. Commenta a riguardo Gianfranco Ravasi: “Lo scrittore siciliano colpisce amaramente più che sarcasticamente l’invincibile ingiustizia sociale che rimane costantemente impunita, pronta a brillare più di prima e a procedere impettita e sicura della sua intangibilità. Manca il pettine del giudizio severo, intransigente, rigoroso”.

Pur se ampiamente rimossa e ignorata, va ricordata la sempre più attuale considerazione di Sant’Agostino: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”.

E non poteva essere che Mario Capanna, un protagonista politico di quegli anni “formidabili” del Sessantotto a lanciare la sfida visionaria di un Parlamento mondiale, nel quale dare voce ai bisogni autentici delle persone.

Una sorta di rivincita della realtà, un risarcimento dell’umano rispetto alla dimensione virtuale e artificiale che ci avvolge in un’infosfera sempre più presente e una constatazione della crisi – se non del tramonto – della democrazia.

Una sfida difficile che parte dalla premessa che i cittadini possano essere migliori delle proprie élite. In parte è vero, soprattutto in questo momento storico, ma le dinamiche costitutive del potere sono sempre inevitabilmente oligarchiche.

Però non possiamo arrenderci, non possiamo vivere abdicando. L’umanità deve coltivare utopie, città del sole, nuove atlantidi per uscire dal dominio del materiale che fa emergere spesso i sentimenti peggiori che albergano nell’animo umano.

L’idea di Mario Capanna potrebbe essere un antidoto politico che fa riflettere non solo davanti alle catastrofi possibili per l’umanità ma anche all’incubo digitale.

Come ricordava Baruch Spinoza nell’Europa del Seicento, sconvolta dalle guerre di religione: “Non bisogna né ridere, né piangere, né detestare ma capire”. Non so se la dimensione spirituale possa aiutarci per capire questo mondo, perché la ragione da sola evidentemente non basta.

Salvador Dalì, che era ateo, ha descritto il bisogno di Cielo che vive nel cuore e nella mente dell’uomo: “Il Cielo non si trova né in alto né in basso, né a destra né a sinistra. Il Cielo si trova esattamente al centro dell’uomo che ha Fede. Ora io non ho ancora la fede e temo di morire senza Cielo”.

Forse oggi è la fede, insieme alla speranza, l’unica rivoluzione possibile con i contorni dell’incanto. E Capanna invita a percorrere la strada di una necessaria utopia: quella di avere fede nell’uomo e nella sua capacità di responsabilità e di cambiamento.

Sul finire del secolo, l’esperto di marketing statunitense Gary Hamel aveva compreso che “in un mondo non lineare, solo le idee non lineari creeranno nuova ricchezza [poiché] ciò che conta non è il rendimento sull’investimento ma quello sull’immaginazione”.

10 Marzo 2024

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