La proposta
Parlamento mondiale, un’utopia inevitabile: perché una democrazia transnazionale è possibile e auspicabile
Dalla polis agli Stati nazionali: la storia insegna che le forme di governo sono mutevoli. Nella realtà iperconnessa di oggi una democrazia transnazionale è possibile, ma anche auspicabile
Editoriali - di Massimo Donà
Quella elaborata da Mario Capanna è un’ipotesi non solo suggestiva (che già sarebbe qualcosa); ma, ben più radicalmente, ‘ineludibile’, che non lascia spazio ad alcun’altra ipotesi o possibilità.
Non so se questa idea di “ineludibilità” sia un retaggio di quello che è stato il suo (ma anche il mio) Maestro: Emanuele Severino. So però che, se ci guardiamo indietro e ripercorriamo, anche rapidamente, il corso della storia, ci accorgiamo che si è potuto credere che il mondo fosse fatto di tasselli in qualche misura autonomi e indipendenti sin tanto che ci si muoveva in carrozza, o al massimo a cavallo.
Certo, nella Grecia antica fioriscono le polis: unità politiche di piccolissime dimensioni. Si pensi solo che, se nel quarto secolo a.C. Atene aveva circa duecentomila abitanti, le altre città greche avevano tutte dimensioni ancora più ridotte.
In quel periodo Platone immagina una particolarissima e utopica, per quanto troppo ‘rigida’, Res publica ideale, che per lui avrebbe dovuto essere governata da filosofi.
Ben diversa, in ogni caso, dall’Atene che Pericle concepì come una vera e propria “società aperta”. Passando a vicende più vicine a noi, invece, come non ricordare che l’Impero romano, comunque la si voglia pensare, avrebbe costituito – nel bene e nel male – la base di ciò che ancora oggi chiamiamo “Occidente”? Anche dal punto di vista culturale.
Fu infatti entro i suoi confini che vennero coniugate due tradizioni tra loro diversissime: quella giudaica e quella greca. Da cui il Cristianesimo. Ma è anche bene ricordare come ancora più grande, in termini di estensione, sia stato l’Impero cinese; per quanto neppure l’impero achemenide, o primo Impero persiano, scherzasse, a questo proposito; costituendosi come il secondo Impero, sempre per estensione, dopo quello cinese.
Mentre è solo nella modernità che, in Occidente, nascono i cosiddetti Stati Nazione, caratterizzati da omogenee e non troppo estese realtà politiche (nonché culturali) in grado di consentire ai propri cittadini di condividere linguaggio, valori e cultura.
Stati nazione che vedono la luce solo dopo la Rivoluzione Francese, e vengono concepiti quali persone giuridiche di diritto internazionale riconosciute anche da altri Stati – secondo una teoria sviluppatasi nel corso del diciannovesimo secolo.
Se ho ricordato questi pochi dati non è tanto per stilare un inutile riassuntino di storia, quanto per ricordare come i modi di organizzare la convivenza civile da parte degli umani siano costantemente mutati, nel corso dei secoli. Anche la situazione attuale è molto probabilmente destinata a cambiare. Ma in quale direzione sia bene guidare questo processo è quanto mai difficile dire.
È proprio questa la domanda che si impone oggi, prima di ogni altra. Ed è proprio ad essa che intende rispondere l’avveniristico progetto elaborato da Mario Capanna, imperniato sull’idea di un vero e proprio Parlamento Mondiale.
Val la pena rilevare come le complesse relazioni (economiche, politiche e culturali) destinate a connettere, anche con l’ausilio della rete, le civiltà più distanti, ci impongono ormai di riconoscere almeno questo: che non è più possibile governare le fin troppo complesse dinamiche politiche e i rapporti tra le comunità umane in base ad una prospettiva rigorosamente “parziale”.
Che non è possibile governarle, cioè, indipendentemente da un disegno unitario fondato sulla consapevolezza delle inevitabili contiguità che si determinano in virtù di relazioni di causa ed effetto che vigono a prescindere da qualsivoglia distanza geografica.
Il fatto è che tutto è ormai intrinsecamente interconnesso; perciò sta diventando sempre più urgente l’acquisizione di uno “sguardo unitario” in grado di governare il globo nella sua interezza.
Ancor più che ai tempi di Platone, appare quanto mai necessario, dunque, uno sguardo “filosofico” che ci consenta di governare questa totalità (d’altronde, la filosofia nasce proprio come sguardo rivolto alla totalità!).
Capanna, quindi, ha perfettamente ragione: non vi sono alternative, o altre strade in qualche modo percorribili, sempre che si voglia evitare lo sfacelo definitivo e l’irrimediabile implosione del pianeta terra.
L’idea del Parlamento Mondiale, per quanto possa sembrare irrealizzabile (almeno nel breve tempo), è quindi un’utopia necessaria, che ci impone di provare a realizzare ciò che un tempo sarebbe sicuramente sembrato impossibile. D’altronde, lo diceva anche San Francesco: se “cominciate col fare ciò che è necessario, e poi ciò che è possibile… all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”
In ogni caso, almeno una cosa è certa: che, per Capanna, il Parlamento Mondiale andrebbe eletto da tutti i popoli secondo il criterio della democrazia rappresentativa, in conformità ad una delle più rilevanti conquiste dell’Occidente, definito non a caso “democratico”.
Di là da inutili ipocrisie relative ad una supposta equivalenza delle forme culturali e politiche adottate e realizzate in altre parti del pianeta terra.
È infatti lo stesso Capanna a riconoscerlo apertamente: che “pur con tutti i suoi difetti, la democrazia rappresentativa è migliore” degli altri sistemi politici.
Non è più possibile nascondersi dietro a un dito: il dominio del sistema democratico implica la cancellazione degli altri sistemi politici, che sono o dittature, democrature o regimi teocratici.
Sì, perché nessuna democrazia può permettersi di tollerare altre forme di organizzazione politica, che farebbero e fanno di tutto per delegittimarla e farla naufragare; ecco perché non ci si può esimere dall’essere assai poco democratici con le non-democrazie.
Contraddizione? Certo! Ma necessaria. È proprio questo il punto. Come quella relativa alla possibilità di realizzare uno stato di pace duraturo; realmente conseguibile solo a condizione che si sia disposti a dichiarare guerra a chiunque provi ad invadere un altro Stato, mettendo a repentaglio la pace sino a quel momento realizzata, o commetta crimini osceni in nessun modo tollerabili, appunto, da un regime sinceramente democratico e pacifista.
Anche perché è difficilissimo (se non impossibile) convincere i molti Stati ancora governati da regimi non democratici ad aderire a questo progetto. E poi, volendo esser davvero sinceri: gli scopi delle lotte politiche, nel corso della storia, non sono mai stati raggiunti in virtù di una semplice opera di convincimento o persuasione razionale, magari attraverso assemblee pacifiche e dialoganti, ma sempre e solamente ricorrendo a guerre, rivoluzioni, atti incendiari, imposizioni e atti di forza.
Si pensi alla Rivoluzione Francese, a quella d’Ottobre, alla lotta di Resistenza in Europa e alla sanguinosissima lotta antischiavista nell’America sette-ottocentesca.
Perciò, quella che oggi sembra a tutti gli effetti un’utopia potrà forse venire realizzata (in un futuro più o meno lontano) solo se si saprà superare il metodo delle “mezze misure” – come lo stesso Capanna nel suo pamphlet giustamente riconosce.
Insomma, è quanto mai necessario il dispiegarsi di un vero e proprio atto di forza, capace di contrastare ed opporsi alle convinzioni di diversa natura (d’altro canto, già Eraclito rilevava come proprio polemos, che significa guerra e opposizione, fosse di tutte le cose padre e finanche re).
Perché quello che ci viene prospettato è un compito che ha evidentemente a che fare con l’impossibile; ossia, con l’unico obiettivo per cui meriti battersi.
Lo sapeva bene anche Zygmunt Bauman; anche lui risolutamente convinto, come il Santo d’Assisi, che si debbano “scegliere obiettivi che siano ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile”.
Per questo non ci resta che forzare il reale e le sue ‘supposte possibilità’, impegnandoci a far accadere quel che ‘realisticamente’, e a troppi, potrà anche sembrare una semplice “illusione senza avvenire”.