La rubrica
Costruiamo il Parlamento Mondiale eletto da tutti i popoli, per salvare l’umanità dall’Apocalisse
Mai come in questo momento il pianeta è vicino al collasso e all’autodistruzione. Le cause? Le guerre, il mostruoso sfruttamento ambientale, la concentrazione delle ricchezze nelle mani dell’un per cento dei suoi abitanti. La via d’uscita è la democrazia piena. Cioè l’autogestione dell’umanità.
Editoriali - di Mario Capanna
Ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti.
(Codice giustinianeo)
Nel corso della sua travagliata storia millenaria, l’umanità non ha mai avuto – non si è data – una entità che la rappresentasse globalmente, nell’interezza delle diversità dei popoli che la compongono. Non si è mai concepita come un’unica famiglia umana, che abita un pianeta fragile, l’una e l’altro ormai minacciati da pericoli inediti che, per la prima volta, ne mettono a repentaglio il futuro.
I risultati di questa enorme carenza sono sotto gli occhi: l’umanità e il mondo sono dominati dall’anarchia, dove a prevalere sono gli interessi dei più forti. Regna sovrana la prepotenza. Il cosiddetto “diritto internazionale” è ridotto a una semplice parvenza, piegato, di volta in volta, a servire il predominio delle potenze in grado di imporsi sulle altre.
Così l’umanità e il mondo sono oggi prossimi al collasso, gravati da emergenze che, nella loro radicalità distruttiva, non si erano mai viste in precedenza, simultaneamente. Per la prima volta è a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana.
Per i mutamenti climatici, per la ripresa compulsiva della corsa agli armamenti sia convenzionali che nucleari, per le guerre in atto – “la terza guerra mondiale a pezzi”, che è in corso, secondo le pertinenti parole di Papa Francesco – per le guerre commerciali quasi devastanti come quelle degli eserciti, per il predominio del profitto capitalistico che ci ha portato alla società dell’1 per cento: l’1 per cento dell’umanità possiede ricchezze e beni che superano quelli del 99 per cento! Mai si era visto un accaparramento di risorse così concentrato.
Per l’insieme di questi fattori gli scienziati e i premi Nobel, che sovrintendono al Doomsday Clock – “l’Orologio dell’Apocalisse” – all’inizio del 2020, prima della pandemia del Coronavirus, hanno spostato le lancette a 100 secondi dalla mezzanotte, che simboleggia la fine del mondo.
Si tratta dell’orario più vicino al “giorno del giudizio” dal 1953 (anno dello sviluppo della bomba all’idrogeno da parte di Usa e Urss).
L’uomo contemporaneo è portato a non pensare a questo preoccupante orizzonte, imprigionato com’è in quel materialismo quotidiano da cui si lascia pervadere, alimentato da una sapiente (insipiente?) propaganda parcellizzata, che spezza, e frantuma di continuo, il quadro d’insieme del mondo.
Così gli 8 miliardi di donne e uomini, che compongono oggi l’umanità, sono indotti a non rendersi conto che, per continuare a vivere ai ritmi attuali, avrebbero bisogno di due pianeti, anziché dell’unico che abbiamo. Si è giunti a questo punto – vicini al non ritorno – per lontane ragioni storiche e culturali.
Dalla fondazione delle prime città, all’incirca 5 mila anni fa – dapprima con le città-stato, poi con le nazioni e quindi con gli imperi – l’umanità si è concepita basata principalmente sulla divisione: divisione-separazione per etnie, per localismi, per interessi economici, per visioni religiose.
Una continua lotta per l’egemonia sfociata quasi sempre nella guerra, fino a quelle mondiali, e a quelle in atto. Non si pone sufficiente attenzione sul fatto che è con le prime città che nascono gli eserciti, le burocrazie, la guerra. Ma 5 mila anni sono un battito di ciglia nella storia.
E’ consolante rilevare che, per più del 90 per cento del tempo in cui l’uomo ha camminato eretto, il concetto di guerra gli era sconosciuto, come mostrano gli studi di etnologia comparata. Dunque le attuali condizioni del mondo non sono il risultato di una presunta natura umana votata, irreversibilmente, all’autodistruzione.
Quella che definiamo “natura umana” è il risultato di una costruzione storica, che dunque può essere superata da un’altra costruzione storica, basata su una diversa visione del mondo. Perciò Einstein ha scritto a buon diritto: “L’umanità avrà la sorte che saprà meritarsi”. Il punto è proprio questo: saremo in grado di costruire una “sorte” diversa da quella che ci si sta profilando?
I mutamenti climatici sono il nuovo paradigma che sta mettendo a repentaglio il mondo. L’avvelenamento dell’atmosfera, prodotto dalle attività umane subordinate al profitto capitalistico, ha raggiunto traguardi crescenti di allarme. Nell’ultimo secolo abbiamo bruciato immense quantità di carbone, gas e petrolio, al ritmo di 70 milioni di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera ogni 24 ore.
La conseguenza è stata che le concentrazioni di anidride carbonica – che in più di un milione di anni non erano mai giunte a 300 parti per milione – all’inizio del terzo millennio sono salite a 338 ppm. La Conferenza di Parigi sul clima (dicembre 2015), presentata come un accordo storico fra i 195 paesi firmatari, prevedeva di contenere al di sotto dei 2 gradi il riscaldamento globale entro il 2020: proposito che si è rivelato di gran lunga insufficiente.
Infatti: alla fine del 2016 l’agenzia meteorologica dell’Onu informava il mondo che, nel 2015, la concentrazione di anidride carbonica aveva superato le 400 ppm, infrangendo quella che era considerata la soglia-simbolo. Continuando così, avvertono i climatologi, rischiamo di avere causato, in meno di 50 anni, un cambiamento climatico mai verificatosi in 50 milioni di anni.
In presenza di uno stato di cose così preoccupante, il mondo è “governato” dall’unica entità sovranazionale esistente: l’Onu. Le Nazioni Unite, come il nome stesso indica, rappresentano l’insieme delle entità nazionali e degli stati cui hanno dato vita.
Sotto questo profilo esse sono l’evoluzione e la proiezione moderna delle… città-stato: l’umanità non viene rappresentata in quanto tale, come specie e dunque come entità globale, bensì nel suo essere frazionata nelle diverse particolarità nazionali e statuali, che hanno interessi differenti e, spesso, contrastanti, quando non antagonistici.
Di conseguenza i rapporti in seno all’Onu non sono bilanciati in vista dell’interesse umano comune, ma fondati sugli stati di serie A, di serie B e C… La governance dell’Onu risiede nel Consiglio di Sicurezza, dominato dagli stati di serie A, ovvero i suoi cinque membri permanenti: Usa, Cina, Russia, Francia, Inghilterra (non a caso tutte potenze nucleari).
Ognuno dei cinque, come è noto, si è arrogato il diritto di veto: sicché qualsiasi decisione, che non vada a genio ai cinque Stati – o anche a uno solo di loro – è bloccata e resa vana dal veto. L’Assemblea generale può prendere sì decisioni, ma le sue deliberazioni non hanno valore vincolante per le nazioni del mondo.
Ecco le ragioni di fondo per cui l’Onu, nata in un preciso momento storico dopo la seconda guerra mondiale, si rivela sempre più obsoleta e del tutto incapace di regolare i destini della Terra: ad attestarlo è il marasma attuale del mondo. Naturalmente l’Onu fa anche cose buone: se si va a leggere la sua Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, gli obiettivi che vi sono indicati sono del tutto condivisibili. Il problema è: dove sono i risultati concreti, anche dei programmi precedenti?
Sono i presupposti e la struttura che non funzionano. Al riguardo è evidente che il Consiglio di Sicurezza è il ferro vecchio più arrugginito. Più che decidere, per i meccanismi che lo regolano, il suo scopo è permettere di non decidere. I cinque membri permanenti rappresentano, insieme, poco più di 2 miliardi di persone: una netta minoranza della popolazione mondiale.
Perché gli altri 6 miliardi di cittadini dovrebbero sottostare alle loro decisioni (e non-decisioni)? Tanto più che non li ha eletti nessuno, si sono… autoeletti… Da che l’Onu esiste, si è sviluppato, soprattutto negli ultimi tempi, un dibattito a intermittenza circa la necessità-possibilità della sua riforma.
Inutile dire che il dibattito non ha mai portato a nulla, sia perché manca la sede decisionale su cui il dibattito stesso possa poggiarsi sia perché i cinque membri permanenti non vogliono saperne di allargare il cerchio e, poi, perché i candidati (autocandidati?) a entrare nel giro sarebbero molti, per di più in lizza fra di loro. Sicché la situazione risulta bloccata ed è destinata a restare tale.
In questo aggrovigliato contesto è Papa Francesco a mettere in rilievo (v. Enciclica Fratelli tutti) la necessità di “prevedere il dare vita a organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali”.
Senza tuttavia spingersi a indicare quali dovrebbero essere quelle organizzazioni. Una organizzazione mondiale più efficace, “dotata di autorità per assicurare il bene comune mondiale”, può sorgere solo se l’umanità nel suo insieme, comprendendosi come specie – ovvero come grande famiglia di persone coinvolta(e) in un unico destino su un pianeta ridotto allo stremo – deciderà di costituirla. Costituire l’Assise dei popoli del mondo per l’autogestione dell’umanità: ecco ciò che è necessario e urgente.
Il Parlamento Mondiale (d’ora in poi PM), eletto da tutti i popoli secondo il criterio della democrazia rappresentativa – una testa, un voto – può e deve diventare la sede tramite la quale l’umanità, per la prima volta nella sua storia, si autodetermina, uscendo finalmente da quello stato di succubanza su cui si è finora schiacciata, frazionandosi per particolarismi nazionali.
Significa che l’umanità matura e assume la coscienza di sé come specie, nessuna frazione esclusa, e decide lo sviluppo (la sopravvivenza?) del suo presente e del suo futuro, in rapporto a tutti gli altri esseri, con cui è in relazione ineliminabile. Significa elevare al massimo grado la propria intelligenza collettiva, divenendo capace di inter-legere e intus-legere (“leggere fra” e “leggere dentro”) nella complessa realtà dell’esistenza comune del mondo.
Il PM può essere composto da mille membri – un eletto ogni 8 milioni di abitanti della Terra (poco più dei deputati attuali del Parlamento europeo). Un’assemblea perfettamente gestibile e operativa, dove tutti i popoli vengono rappresentati con pari dignità, senza che ci siano quelli di serie A, B, C…
Oltre le riunioni plenarie, dove si prendono le decisioni fondamentali riguardanti tutto il mondo, si struttura per commissioni di lavoro sui temi di maggiore importanza. Il PM dura in carica 5 anni ed elegge il suo presidente, che diviene il Presidente dell’Umanità globalmente rappresentata. Si può immaginare la sua autorevolezza se paragonata a quella del segretario dell’Onu…
Lasciando agli Stati la gestione dei problemi interni di ogni singola nazione, il PM delibera sulle questioni basilari dell’umanità: la pace – la guerra deve diventare un tabù – il disarmo a partire da quello nucleare, la salvaguardia dell’ecosistema terrestre, i diritti e i doveri fondamentali, lo sradicamento della fame, le produzioni eque e solidali e l’introduzione dell’onesto guadagno – al posto del profitto onnivoro – la giusta distribuzione delle risorse, le migrazioni, la difesa e l’incremento di tutti i beni comuni.
Le sue deliberazioni verranno accettate dai popoli, che lo hanno eletto direttamente, in una continua – e feconda – dialettica fra “centro” e “periferie”, dove i movimenti coscienti dal basso costituiranno una linfa vitale. Dal punto di vista tecnico, l’elezione del PM non presenta affatto ostacoli insormontabili: seguendo i fusi orari, in un giorno di vota dappertutto e l’indomani si conoscono i risultati.
E’ evidente che il problema è prettamente culturale e politico: lasciare la vecchia strada per la nuova. E però ormai vediamo che proseguire sulla vecchia e non imboccare la nuova può comportare conseguenze irreparabili. E’ ovvio che la proposta di PM può essere criticata sotto vari aspetti. Ma chi la rifiuta (chi la ritiene utopica, velleitaria ecc.) ha il dovere di proporre un’alternativa. Quale? Andare avanti con l’oligarchia attuale, e i suoi effetti deleteri?
D’altra parte , grandi sono i movimenti sotto il cielo. L’egemonia degli Usa, come regolatori planetari, è in fase di declino. Per esempio: i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che stanno aumentando di peso e di numero, stanno a significare che il mondo, pur fra contraddizioni, si muove verso il multipolarismo. Uno spazio nuovo si sta aprendo.
L’idea del PM comincia a farsi strada. Il libro, a mia cura, Il risveglio del mondo (Mimesis, 2022) contiene gli interventi di numerose personalità – della cultura, della filosofia, del diritto, della scienza, dell’arte, del giornalismo ecc. – che, con sensibilità diverse (laiche e credenti, per esempio, e di differente orientamento culturale), argomentano in profondità e dicono che la proposta è proporzionata rispetto al marasma attuale del mondo.
I 2500 scienziati, che hanno elaborato nel 2007, per conto dell’Onu, il rapporto sui mutamenti climatici, in modo unanime consegnavano all’umanità un messaggio inequivocabile: rilevato che “il 90 per cento dei mutamenti atmosferici è causato dall’uomo”, essi ammonivano: “Si avvicina il giorno in cui il riscaldamento del clima sfuggirà a ogni controllo. Siamo alle soglie dell’irreversibile”.
Per scongiurare il superamento del punto di non ritorno, gli scienziati ci raccomandavano di tenere presente che “non è più il tempo delle mezze misure” (come quelle adottate nella Conferenza di Parigi) e ci affidavano tre indicazioni imperative: “E’ il tempo della rivoluzione delle coscienze, della rivoluzione dell’economia, della rivoluzione dell’azione politica” (corsivi miei).
Il PM è sia la conseguenza – il risultato – di quelle tre rivoluzioni sia il mezzo per realizzarle compiutamente. E’ la sede attraverso cui possiamo e dobbiamo gestire in comune il bene comune più prezioso che abbiamo: la nostra vita – e quella di tutti gli altri esseri.
L’umanità e il mondo sono inscindibilmente interdipendenti: comprendere appieno questo è la consapevolezza più alta che l’umanità può e deve raggiungere. La coscienza di specie si dilata fino a divenire coscienza globale: la comprensione che la parte è collegata al tutto e il tutto è più delle singole parti che lo compongono.
Va da sé che non si arriverà al PM senza quella rivoluzione delle coscienze che gli scienziati, non a caso, hanno indicato per prima – e come condizione necessaria per realizzare la rivoluzione dell’economia e quella dell’azione politica. E’ necessario costruire – entro ciascuno di noi e in noi tutti – quella che i greci chiamavano metànoia: “correzione di pensiero”, “mutamento di parere”, in senso lato “conversione”.
Già Einstein ci aveva ammonito al riguardo: “Occorre un vero e proprio nuovo modo di pensare se l’umanità deve sopravvivere” (corsivo mio). Certo, il PM costituisce un traguardo non facile da raggiungere, ma è indispensabile se l’umanità vuole sfuggire allo stato di divisione impotente in cui finora ha accettato di lasciarsi ridurre.
Come tutte le costruzioni dell’uomo sarà imperfetto, non sarà dunque la panacea. Ma è l’unica strada attraverso cui l’umanità potrà scongiurare la propria estinzione. E costruire il suo futuro.