La proposta
I problemi sono diventati globali, per questo serve un parlamento mondiale
L’Europa inerte, le guerre, la dittatura dei potentati economici e tecnologici, la minaccia dell’algoritmo, il clima a pezzi. Serve un nuovo modello di organizzazione internazionale
Editoriali - di Giorgio Benvenuto
Se Albert Einstein potesse osservare l’attuale riarmo mondiale, la supremazia dell’algoritmo sull’umanesimo e l’irruzione della intelligenza artificiale, probabilmente rinnoverebbe quello che già disse con efficacia negli anni 50: esiste una sola strada verso la pace e la sicurezza, l’organizzazione internazionale. Mario Capanna mi ha ricordato nella sua riflessione questa frase.
Einstein la evocava con un richiamo al socialismo come alternativa al capitalismo predatorio ed agli autoritarismi. Il “sasso” di Capanna gettato nello stagno della sinistra, un governo mondiale come punto di arrivo, però è più che giustificato in conseguenza dello stato attuale della povertà ideale, culturale e di visione politica in cui versa la sinistra e non solo in Italia ma anche in Europa.
Eppure la sinistra ha sempre avuto una grande capacità di proposta che andava oltre la semplice elencazione dei mali da combattere. Certo con i potentati finanziari e tecnologici in giro per il mondo, gli autoritarismi sempre più estesi, ma soprattutto la corsa verso nuove egemonie che hanno sparigliato sia il vecchio ordine mondiale che la prima fase della globalizzazione è saggio osservare che non è realistico puntare all’obiettivo finale senza tener conto degli ostacoli che creano tensioni internazionali e mutamenti di alleanze nel globo come da tempo non si vedeva.
Ma resta il fatto come si è osservato non molto tempo fa che il mondo è grande e c’è spazio per tutti, sempre che si tratti di un mondo di cittadini a pieno titolo, come suggerisce Capanna con la “provocazione” del voto planetario per eleggere nuovi organismi internazionali. In realtà il salto da compiere non è piccolo: passare dall’abitudine di cercare soluzioni-Paese a una visione dei problemi davvero globale.
In tal modo si potrebbe affrontare alla radice anche quel problema che né l’Onu, né l’Unione Europea, neppure il G7 o il G20 sono in grado di fare: accettare una realtà mondiale profondamente mutata.
Gli stimoli offerti dalle considerazioni di Capanna andrebbero utilizzate in questo senso: del resto la sinistra è sempre stata internazionalista, vale a dire ha sempre avvertito come sua la vocazione a non trincerarsi dietro logiche provinciali.
Anche in tal modo ha saputo sostenere, valorizzare e aiutare coloro che si battevano per la libertà, la democrazia, l’uguaglianza delle opportunità. In questi giorni è venuto a mancare Jacques Delors e un cordoglio si è levato verso un grande europeista socialista. Ma senza alcuna attenzione ai… tradimenti che quel tipo di cultura socialista impersonata da Delors ha subito fino ad essere accantonata come obsoleta e inservibile.
Invece la ricerca di un futuro possibile tracciato dall’azione socialista di questi protagonisti del passato per lo meno ci dovrebbe spingere a non rifugiarsi nel presente o in una logica di pura e semplice contesa per il potere. Oggi servirebbe ben altro, governare i cambiamenti che ci travolgono.
Ecco perché le considerazioni di Capanna le dovremmo ritenere come un contributo a risvegliare un pensiero politico della sinistra almeno nel nostro Paese. Le ragioni sono molte e non si riducono solo alle attuali devastanti tensioni e guerre in Ucraina e in Medio Oriente (oltre che in tutte le altre guerre “dimenticate”).
La risposta alla miseria non può essere circoscritta ad alcune zone del mondo dalle quali scaturisce buona parte dell’immigrazione, ma è fenomeno mondiale. Così come lo è lo stato di cattiva, meglio dire pessima, salute ambientale del pianeta. Si è visto che l’esportazione della democrazia è risultata essere una ricetta ambigua e rifiutata. Eppure fermare l’avanzata di regimi e dittature dovrebbe essere preoccupazione mondiale.
Il muoversi, decidere, orientare dei potentati finanziari e tecnologici non è questione domestica di quello o quell’altro Stato ma esigerebbe un primato effettivo della politica mondiale. E potremmo continuare con i diritti delle persone, la dignità del lavoro, le opportunità negate a milioni di individui di uscire da una situazione di sopravvivenza precaria per poter avviarsi verso un percorso di promozione umana e sociale.
Personalmente sono convinto che manca l’Europa per iniziare. Non questa Europa invecchiata, sempre più ininfluente, incapace di sentirsi autonoma perché convinta che la civiltà occidentale si difende con la dipendenza verso equilibri che il muro di Berlino ha fatto saltare già da decenni.
In tutti i Paesi, certamente nel nostro, si guarda alle elezioni europee del prossimo anno più come un test per rafforzare in Italia le proprie posizioni politiche e di interesse che per far fare un passo avanti alla comunità europea.
Ci si misura come se il risultato provenga da un sondaggio nazionale e non da una volontà politica di milioni di persone che intendono sentirsi concretamente europei. Si guardi al recente Patto di stabilità: la flessibilità concessa in realtà sancirà una linea di demarcazione ancora più iniqua fra Paesi forti e Paesi deboli.
Ma questo problema è stato solo sfiorato dalle critiche della sinistra italiana. L’Europa dovrebbe essere ben altra cosa: casa comune sul serio, e simbolo di vera civiltà occidentale senza bisogno di altre aggettivazioni.
Ovvero una civiltà di pace, di accoglienza, di capacità di far prevalere politica e diplomazia sulle armi, di funzionamento di regole democratiche senza veti. I veti sono stati e sono una maledizione per la cooperazione internazionale, all’Onu come nell’Unione Europea, perché fanno prevalere gli steccati sulla volontà di compromesso e di cooperazione.
Occorrerebbe tornare all’Europa in cui credeva Delors e con lui altri costruttori di essa a partire dal ‘Manifesto di Ventotene’: politica e sociale. Ma per puntare ad un tale obiettivo serve una classe dirigente all’altezza che oggi appare latitante.
Ed è necessaria una nuova organizzazione della sinistra europea, una sua rifondazione. Ed è indispensabile un apporto della sinistra italiana che sappia utilizzare ciò che è già a sua disposizione: l’umanesimo socialista e cristiano, quest’ultimo attualizzato in modo formidabile dal Pontificato di Papa Francesco.
Se l’Europa mostra segni di rinascita prima che sia davvero troppo tardi, una speranza si riaccenderebbe. Ed allora si potrebbe con il sostegno delle giovani generazioni, come ricorda opportunamente Capanna, propugnare una nuova utopia: una federalità mondiale che ponga al centro l’umanità e non l’interesse o la prevaricazione. Tanto per cominciare. Tanto per riaprire una partita di speranza.