La proposta

Solo un parlamento mondiale può garantirci la pace

Le Nazioni sono costitutivamente votate alla ricerca del conflitto e della supremazia. Di fronte a quanto accade in Medio Oriente e in Ucraina, non resta che cercare un nuovo ordine mondiale

Editoriali - di Luigi Alfieri

23 Febbraio 2024 alle 18:00

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Solo un parlamento mondiale può garantirci la pace

Sgombriamo prima di tutto il campo da un falso problema: è impossibile la creazione di un Parlamento mondiale? No, non c’è nulla in questa proposta che sia oggettivamente impossibile. Se ci fosse, a livello globale, un consenso ampio, diffuso e attivo riguardo a quest’esigenza, realizzarla non sarebbe più difficile che l’istituzione dell’Onu, della Ue, della Nato o di qualunque altra organizzazione internazionale, ciascuna delle quali in altre epoche sarebbe sembrata una vertiginosa utopia.

Che questo consenso al momento non ci sia è un fatto, ma non ne discende che non ci possa mai essere. La questione non riguarda la possibilità o l’impossibilità intrinseche della proposta, riguarda la presenza o l’assenza di un sufficiente consenso.

Chiaramente, in mancanza di una proposta, di una discussione adeguata e di un movimento efficace a livello internazionale il consenso non potrebbe esserci, ma una volta che la questione è sollevata il problema diventa un altro, e cioè non se è possibile o non è possibile, ma se vogliamo farlo o no, e dire che non vogliamo farlo perché è impossibile farlo sarebbe un non senso.

La possibilità o impossibilità dipende da noi, è una scelta, e quindi è anche un’assunzione di responsabilità. Diversa questione, più seria, è la probabilità o improbabilità di un sufficiente consenso, e penso purtroppo che si possa dare per scontata l’improbabilità.

Ma, mentre riguardo all’impossibilità non potremmo farci niente, riguardo all’improbabilità abbiamo un margine. Più facciamo crescere il consenso, più aumentiamo, evidentemente, le probabilità.

La vera questione, dunque, è se ci sono ragioni sufficienti per volere un Parlamento mondiale. Per rispondere, dobbiamo esaminare le possibili alternative. Possiamo ritenere soddisfacente l’attuale situazione internazionale? Credo che nessun essere umano al mondo possa affermarlo.

Possiamo pensare che, lasciata a sé stessa, migliorerà o si stabilizzerà? Anche questo, immagino, non può pensarlo nessuno. Stiamo vivendo due guerre sempre più interconnesse, nessuna delle quali offre speranze di soluzione, la crisi climatica globale è di fatto fuori controllo e in proposito non si fanno progressi se non a parole, l’Onu è una finzione sempre più patetica, le grandi potenze sono più prossime allo scontro diretto di quanto lo siano mai state durante la guerra fredda, crisi di Cuba compresa, la Ue è divisa e paralizzata, tutto si può dire della Nato tranne che sia un fattore d’ordine.

Mi pare essenziale comprendere che non si tratta di una crisi contingente dovuta a uno sfortunato accumularsi di circostanze negative, ma del definitivo venire al pettine di un nodo originario. È impossibile un ordine mondiale sostenibile che sia fondato sullo Stato-nazione: è questo il punto. Lo Stato-nazione è vocato costitutivamente alla guerra e allo sforzo di tutti di conquistare supremazia su tutti.

E gli accordi fra Stati e le organizzazioni interstatali, secoli di storia ormai lo dimostrano, sono fragilissimi e sono condannati o alla rapida dissoluzione o alla paralisi. E non soltanto: un ordine internazionale fondato sugli Stati è di per sé antidemocratico. E lo è per più di un motivo. Intanto, mette sullo stesso piano gli Stati democratici e quelli che non lo sono: non attribuisce alla democrazia un pieno valore normativo.

Poi, riconosce come sovrani i governi e non i popoli: il diritto internazionale di oggi non è sostanzialmente diverso da quello di quattro o cinque secoli fa, ed è quindi un fattore di arretratezza inaccettabile.

Infine (ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo) non è in grado di esprimere decisioni, ma solo compromessi, e compromessi condizionati dalla forza e costantemente sotto minaccia almeno implicita.

Il teorico principio di uguaglianza tra gli Stati è vanificato dall’enorme disparità di forze economiche e militari: il cosiddetto ordine internazionale è un rapporto instabile tra potenze egemoni, ciascuna delle quali non ha altro intento se non quello di rafforzare la propria egemonia per non essere sopravanzata dalle altre.

I tentativi, pur generosi, di creare istituzioni internazionali stabili che possano garantire la pace sono vanificati in partenza dalla natura intrinseca dei loro componenti. Queste istituzioni non sono attori di pace, ma palcoscenici su cui si recita il conflitto: Società delle Nazioni ed Onu non sono mai state, né potevano essere, nulla di diverso.

Di fatto, quindi, un Parlamento mondiale che sia espressione dei popoli e non dei governi, lungi dall’essere una vuota utopia, è l’unica possibilità concreta di un ordine mondiale stabile. Ha però dei presupposti impegnativi di cui bisogna essere consapevoli. Il primo è che la democrazia deve essere assunta come valore assoluto.

Si può discutere all’infinito su quali debbano essere le sue forme istituzionali, ma non la si può mettere in discussione come principio normativo. Nell’ottica di un Parlamento mondiale, uno Stato non democratico non è uno Stato e un governo non democratico è un governo illegittimo.

L’idea di un Parlamento mondiale non è un’idea virtuosa e mielosamente “buonista”: è un’idea contestativa e persino aggressiva, è un’idea propriamente rivoluzionaria. E questo è un ulteriore motivo per cui non possono farsene portatori gli Stati, o per meglio dire i governi. Soltanto grandi movimenti popolari internazionalmente diffusi possono darle corpo.

Ci sono stati e ci sono questi movimenti, non facciamo finta di non vederli in nome di una “Realpolitik” che è tutto tranne che realistica. Si tratta di alimentarli con una nuova idea, e questo partiti, sindacati, onlus, intellettuali, media ecc. possono benissimo farlo: non è più complicato di quanto lo sia stato diffondere, ad esempio, una coscienza ambientalista. Alla fine, i fatti parlano da soli e non è difficile vedere una strada quando è l’unica che non porti dritta al disastro.

Va da sé che l’attuazione non può che essere graduale, a macchia d’olio, il che non significa necessariamente che debba essere un processo lunghissimo ed estenuante. Si può partire da esigenze già consapevoli e da istituzioni che già in qualche modo hanno introiettato il principio, e l’unica che vedo, con tutti i suoi limiti, è l’Unione Europea.

Ritengo molto sbagliato e profondamente autolesionistico enfatizzarne cinicamente le debolezze e i fallimenti, e non meno che criminale proporsi di darle “spallate”, come certi rodomonti di quart’ordine amano fare, più che altro a parole.

Il principio di una democrazia transnazionale (meramente internazionale la democrazia non può essere) è già presente nella Ue per quanto in forme deboli e imperfette, il metodo delle decisioni all’unanimità sta mostrando la corda con assoluta evidenza, all’interno del Parlamento europeo i partiti politici nazionali confluiscono in aggregati più ampi dando al principio di rappresentanza un significato nuovo per quanto ancora confuso.

È già inequivocabile, e di fatto largamente riconosciuto, che dal futuro della Ue ci si può aspettare soltanto o una completa e definitiva disgregazione, o un rafforzamento della dimensione sovranazionale. La prima ipotesi sarebbe certo la più probabile, se non fosse per un fattore estremamente potente, che è la paura.

Gli staterelli europei (e in Europa non ci sono ormai che staterelli, a livello globale la scala degli Stati è drasticamente cambiata) hanno creduto di poter proseguire nei loro egoismi quasi impotenti e nelle loro patetiche illusioni identitarie solo confidando nella benevola protezione del gigante americano. Ma il gigante ormai è zoppo e mostra sintomi inquietanti di follia.

E c’è un altro gigante, non meno folle ma meno zoppo di quanto sembrava, che preme, non metaforicamente, ai confini. O lasciarsi schiacciare o mettersi davvero insieme: che la scelta sia questa è un’assoluta evidenza.

Uno Stato democratico europeo, quale che ne sia la forma costituzionale, è la sola alternativa realistica all’irrilevanza, all’impotenza e all’asservimento. E sarebbe un inizio, e sarebbe un esempio, e sarebbe un impulso forse decisivo. Sono i fatti e non le utopie a spingere in questa direzione.

Poi, naturalmente, potremo fallire, e nelle cose umane questo è sempre l’esito più probabile. Ma non cerchiamoci alibi: l’ipotesi della democrazia mondiale non è impossibile, è l’unica possibilità. Il probabile fallimento non sarà il trionfo di una necessità ineluttabile, sarà semplicemente colpa nostra.

*Università di Urbino Carlo Bo

23 Febbraio 2024

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