Un anno dalla tragedia

Dossier Arci sul naufragio di Cutro: una strage che il governo non ha voluto evitare

Pubblichiamo integralmente il dossier realizzato dall’Arci sulla strage del 26 febbraio 2023. Persero la vita 105 persone, di cui 35 bambini. Una strage che il governo non ha voluto né saputo evitare

Cronaca - di Redazione Web - 27 Febbraio 2024

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Dossier Arci sul naufragio di Cutro: una strage che il governo non ha voluto evitare

Premessa

Ad un anno dal naufragio a Steccato di Cutro, questo documento intende riassumere come i vari attori coinvolti – i superstiti, i familiari dei deceduti, la società civile – hanno lottato per ottenere giustizia e verità per le vittime.

È bene ricordare che il governo presieduto da Giorgia Meloni si riunì il 9 marzo a Cutro per intervenire con un Decreto Legge che venne approvato in quella sede, a pochi metri dalla strage del 26 febbraio, e non andò a rendere omaggio alle bare delle vittime, né tantomeno a esprimere solidarietà ai familiari e ai superstiti.

Una scelta vergognosa, in coerenza con la volontà di sottrarre umanità a chi arriva in Italia in fuga da guerre e persecuzioni, da violenze e conflitti, per rendere accettabili scelte che altrimenti sarebbero assurde, oltre che ingiuste e fatte contro l’interesse dello Stato. La disumanizzazione di queste persone, è bene ricordarlo in gran parte afghane, rende ancora più inaccettabile ogni discorso pubblico sull’immigrazione e ogni intervento legislativo.

Questo documento racconta (1) i fatti di base, quello che sappiamo per certo, e li contestualizza nelle politiche italiane e europee della gestione dei confini, politiche che critichiamo da anni per essere la causa principale della morte dei migranti.

Fornisce (2) una sintesi dell’esposto presentato dall’Arci insieme ad altri numerosi rappresentanti della società civile, e l’indagine in corso nei confronti delle istituzioni che hanno l’obbligo giuridico di soccorrere le persone in mare.

Procede poi (3) nel riassumere la criminalizzazione di cinque dei superstiti, i cosiddetti ‘scafisti’, che fin ad oggi sono detenuti nelle carceri italiane. Uno di loro ci resterà per i prossimi 20 anni in quanto già condannato alla reclusione e al risarcimento delle parti civili.

Approfondisce inoltre (4) le parti civili che si sono costituite, fra cui la regione Calabria e il governo italiano, cosa del tutto fuori luogo a nostro avviso. Porta poi all’attenzione del lettore (5) sia la situazione che le rivendicazioni pratiche e politiche delle persone che sono sopravvissute quella notte, così come dei familiari delle persone che non ce l’hanno fatta.

Riassume (6) per ultimo, ma non in ordine di importanza, gli effetti del decreto-legge 50/2023, il cosiddetto ‘Decreto Cutro’. Oltre ad inasprire le pene per le persone di origine straniera che arrivano via mare criminalizzate in quanto ‘scafisti’, la legge che porta in maniera del tutto inopportuna il nome del luogo di questa strage non ha fatto null’altro che punire la popolazione straniera in Italia, impedendo a migliaia di persone presenti nel territorio nazionale di regolarizzare la loro posizione giuridica, aumentando la durata della detenzione amministrativa – inflitta a persone che non hanno commesso alcun reato, in sfregio dell’art.13 della nostra Costituzione. Una violazione dei diritti umani per la quale l’Italia sarà sicuramente condannata sia giuridicamente che eticamente.

Naufragio e mancato soccorso

Nel 2021 più di 11.000 persone sono sbarcate in Calabria, e nel 2022 più di 18.000. Ripresi dopo la pandemia, i viaggi marittimi dalla Grecia e dalla Turchia verso le coste calabresi hanno una storia pluridecennale, intorno alla quale si sono sviluppate tecniche di avvistamento, soccorso e accoglienza in parallelo con la chiusura dei confini italiani.

Questo per dire che il viaggio e naufragio della Summer Love a Cutro era tutt’altro che imprevedibile per le autorità italiane e europee. Infatti, nel maggio dell’anno prima si era verificato un altro disastro a pochi metri da Siderno, vicino Reggio, in cui sono morte due persone.

Secondo il racconto dei superstiti, alle ore 3:00 circa del 22 febbraio 2023 una barca è partita da una spiaggia di Cesme, in Turchia, con a bordo almeno 181 persone di varie nazionalità e età. Avevano raggiunto Cesme da Istanbul, dove erano stati stipati in una ‘safe house’ in attesa del viaggio verso l’Ue.

La prima barca con cui viaggiavano, dopo circa tre ore di navigazione, aveva avuto dei problemi tecnici ed era stata raggiunta da una seconda imbarcazione, il caicco Summer Love, sulla quale tutti i passeggeri erano stati trasbordati. Nonostante anche il caicco avesse dei problemi al motore – risolti dal meccanico a bordo – il viaggio è andato avanti. In tutto la traversata è durata quattro giorni.

Il primo avvistamento sembra essere stato nella notte del 25 febbraio, quando alle ore 21:26 un assetto aereo Frontex, Eagle 1, avvista l’imbarcazione che sospetta possa trasportare migranti, a circa 40 miglia a sud-est di Isola Capo Rizzuto.

Alle ore 02:20 della mattina del 26, il Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza (Gdf) di Vibo Valentia disponeva l’uscita in mare di una vedetta della Sezione Operativa Navale della Gdf di Crotone, che intraprendeva la navigazione per intercettare il target. A questa si aggiungeva un pattugliatore del Gruppo Aeronavale Gdf di Taranto, che lasciava gli ormeggi 10 minuti dopo.

Dopo un’ora però, alle ore 03:30 circa, le due unità navali, a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto, sono state costrette a interrompere la navigazione e rientrare in porto a Crotone.
Alle ore 03:40 circa la Sala Operativa del Comando Provinciale Gdf di Vibo Valentia ne comunicava il rientro all’Autorità marittima di Reggio Calabria. Gli operatori di sala della Gdf richiedevano però all’Autorità marittima l’intervento di altre navi per raggiungere il target – senza ricevere riscontro.

Alle ore 03:50 la Sala Operativa Provinciale della Gdf di Vibo Valentia, mediante la postazione della rete radar costiera, acquisiva un target verosimilmente riconducibile alla segnalazione Frontex, e contattava i Carabinieri di Crotone, che comunicavano di avere ricevuto una chiamata da un’utenza telefonica satellitare, segnalando la presenza di un’imbarcazione con migranti in prossimità delle acque antistanti la località Steccato di Cutro. Detta segnalazione coincideva con la traccia del radar costiero della Gdf.

Gli equipaggi delle imbarcazioni della Guardia di Finanza, rientrati nel porto di Crotone, tra le ore 04:30 e 04:45, componevano due pattuglie automontate che si dirigevano verso la località di sbarco, dove arrivavano alle ore 05:30. Giunti in loco e constatato il naufragio del caicco, i militari provvedevano a trarre in salvo i superstiti e recuperare i cadaveri.

Esposti presentati dalla società civile sulla responsabilità istituzionale

Sulla base della cronologia degli eventi descritti sopra, sono stati presentati tre esposti alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone, ad oggi confluiti in un unico procedimento. L’esposto presentato dall’Arci, Asgi e altri, è stato depositato dall’avv. Arturo Salerni, del foro di Roma, il 9 marzo 2023.

L’esposto non è rimasto un atto simbolico. In quel procedimento il Pubblico ministero Pasquale Festa – lo stesso titolare dei procedimenti pendenti a carico del presunto equipaggio della barca – ha disposto, in data 17 marzo 2023, una relazione del Consulente tecnico di ufficio.

Il quesito posto dal Pm alla consulenza tecnica riguardava la determinazione della rotta e la dinamica dell’affondamento. La perizia depositata il 4 agosto 2023, nel rispondere ai quesiti del Pm, dichiarava fuorvianti e non corrette le informazioni fornite da Eagle 1 ai centri di comando e di law enforcement.

Il 25 maggio 2023, nelle more del deposito della perizia, la Procura di Crotone emetteva un decreto di perquisizione e sequestro nell’ambito di un procedimento a carico di tre persone appartenenti al corpo della Gdf (due del GdF di Vibo Valentia e un comandante del Gdf di Taranto) per i reati di rifiuto di atti d’ufficio, disastro colposo in relazione a naufragio e omicidio colposo, in concorso colposo.

Lo stesso procedimento a carico di persone note riportava altri tre indagati il cui nome e l’imputazione è coperta da omissis. Qualora si trattasse di personale di Frontex, gli omissis sarebbero inutili visto che i membri permanenti dell’agenzia godono di immunità dalla giurisdizione penale, che può essere revocata solo su azione discrezionale del direttore esecutivo o dello Stato di appartenenza.

All’esito dell’attività investigativa si apprendeva a mezzo stampa che le iscrizioni nel registro degli indagati comprendevano anche tre militari della Guardia costiera (uno dal centro ICC-Frontex a Pomezia, e due dalla Capitaneria di porto di Reggio Calabria).

Le responsabilità non possono essere identificate singolarmente in Frontex o nelle autorità italiane. Nell’ambito del medesimo procedimento Frontex, a seguito di un ordine di esibizione della procura della Repubblica di Crotone, ha presentato un report dell’Ufficio Diritti Fondamentali di Frontex, redatto il 17 novembre 2023, in cui si dà atto che i centri per il coordinamento marittimo – sia internazionale (ICC) che italiano (IMRCC) – nonostante la richiesta dell’Ufficio di Frontex, non hanno mai risposto con chiarimenti.

Inoltre, l’Ufficio di Frontex ha sostenuto che, in casi come questo, il monitoraggio stretto e l’assistenza da parte del coordinamento italiano sia imperativo. Il documento dell’Ufficio Diritti Fondamentali di Frontex evidenzia una chiara responsabilità del personale esperto italiano presente nella stanza di comando a Varsavia, oltre che dell’IMRCC in sé.

La procura si esprimerà su questo procedimento nei prossimi mesi. Auspichiamo che decida di esercitare l’azione penale, e che un giudice arrivi a valutare le responsabilità giuridiche per la morte delle più di 105 vittime di quel naufragio.

Di certo non vogliamo che il procedimento si concluda con una dichiarazione di intervenuta prescrizione come è stato per il processo sul naufragio dell’11 ottobre 2013, dove l’accertamento delle responsabilità non è valso a nulla, un esito insoddisfacente per tutte le parti.

Né vogliamo, ancor più fermamente un’archiviazione dell’indagine: ciò significherebbe che le responsabilità penali vengano attribuite solamente ai cinque migranti sopravvissuti al naufragio, loro stessi vittime delle politiche italiane e europee.

La verità sulle azioni della guardia costiera, la guardia di finanza, e dell’agenzia europea Frontex deve emergere, in tempi brevi e ragionevoli, per tutti le parti coinvolti – e per assicurare che una tragedia del genere non si ripeta mai più.

Processi contro i presunti scafisti

Nei giorni successivi al naufragio, i sopravvissuti sono stati sentiti dalla polizia come testimoni e, in seguito, altre 11 persone sono state interrogate fra aprile e luglio. A seguito di questi colloqui sono state individuate sei persone come componenti dell’equipaggio della Summer Love: il siriano Mohamed Abdessalem, i turchi Sami Fuat, Bayram Guler e Gun Ufuk, e i pakistani Khalid Arslan e Hussain Hasab.

Di questi, solo 5 sopravvivono al naufragio: Bayram, che tutti riconoscono come il capitano che ha materialmente condotto la barca, è morto nel naufragio, affondato con la sua nave. Ora è sepolto al cimitero di Crotone.

Le cinque persone straniere sono state accusate del reato previsto dall’art. 12 del Testo unico immigrazione (dl 286/1998), ossia di favoreggiamento di immigrazione irregolare, con le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter e dei reati di naufragio colposo e morte come conseguenza di altro delitto.

Va sottolineato che il reato di cui all’art. 12, che comporta una pena massima di 15 anni e una multa di 25.000 euro per ogni persona trasportata, è il reato più grave tra quelli contestati loro. In altre parole, il motivo di base per cui sono sotto processo è aver facilitato l’ingresso dei sopravvissuti, e non la morte delle vittime.

Seguendo questa logica, l’Italia ha già arrestato più di 3.200 persone negli ultimi 10 anni, la maggior parte delle quali in sbarchi senza vittime in connessione con degli sbarchi in cui nessuno è morto durante il viaggio.

In questo caso – come in tanti altri e come denunciamo da tempo – la criminalizzazione delle persone che facilitano l’ingresso irregolare di migranti rappresenta un modo per creare un capro espiatorio per le politiche di chiusura e discriminazione attuate a livello nazionale ed europeo.

Questo approccio criminogeno, che ora vede circa 1.000 persone straniere incarcerate, non solo ha fallito nel tentativo dichiarato di evitare i naufragi, ma, in alcuni casi, ha anche contribuito alle dinamiche delle stragi marittime.

Accade, per esempio, infatti che le persone poste alla guida dell’imbarcazione si allontanino dal timone in prossimità delle coste italiane per paura di essere identificate come scafisti e detenute per questo.

Inoltre, gli imputati dei processi sono per lo più rinchiusi nelle carceri della Calabria, istituti penitenziari con gravi problemi di tutela dei diritti dei detenuti in generale, e dei detenuti stranieri in particolare.

Rito ordinario

Fuat, Arslan e Hasab sono stati tratti in arresto nei momenti successivi al naufragio, e rimangono in carcere da quel giorno. Hanno scelto il rito ordinario e il processo, iniziato il 4/10/2023, è ancora in corso: la prossima udienza si terrà il 10 aprile.

Arslan e Hasab non sono accusati di aver contribuito nella conduzione della barca, ma di aver accompagnato i passeggeri dal loro alloggio ad Istanbul fino al punto di partenza a Izmir. In realtà, i due giovani pakistani, essendo stati in Turchia vari anni tentando di arrivare in Europa (e più volte respinti), avevano imparato la lingua turca e quindi erano adatti a tradurre tra i capitani della barca e i passeggeri, la maggior parte dei quali parlavano farsi e urdu.

Fuat, invece, turco-curdo, ha dichiarato la sua totale estraneità ai fatti, in quanto passeggero come gli altri e di essere stato individuato come parte dell’equipaggio perché fra i pochissimi cittadini turchi presenti sull’imbarcazione. In effetti, nessuno dei passeggeri lo ha descritto in un ruolo di assistenza pratica sulla barca.

Rito abbreviato

Il cittadino turco Ufuk, secondo la sua testimonianza, ha svolto il ruolo di meccanico dell’imbarcazione in cambio del viaggio. È stato fra i primi ad abbandonare l’imbarcazione, nuotando fino alla spiaggia.

Insieme all’imputato siriano, ha poi raggiunto Bari per prendere un treno per il nord, cercando di entrare in Germania e chiedere asilo; in Turchia era stato accusato di aver sostenuto il golpe contro Erdogan.

In Austria però è stato fermato e estradato in Italia. Ha scelto il rito abbreviato e il 7 febbraio scorso è stato condannato a 20 anni di reclusione ed a una multa di 3 milioni di euro. Inoltre, gli è stato ordinato di risarcire le parti civili (vedi più avanti).

I processi da iniziare

L’ultimo imputato è il siriano Mohamed Abdessalem, il quale era stato precedentemente indagato per uno sbarco in Puglia nel luglio del 2021 per poi recarsi in Grecia, come accertato nell’Operazione di polizia ‘Astrolabio’.

Dopo il suo ritorno in Italia a bordo del Summer Love, era stato intercettato e rinchiuso nel carcere di Lecce in connessione allo sbarco del 2021. Il 5 dicembre 2023, gli è stata poi notificata l’ordinanza di fermo in relazione con il naufragio di Cutro. Il processo nei suoi confronti deve, ancora, iniziare.

Inoltre, nell’ultima udienza con rito ordinario, il 14 febbraio 2024, è trapelato che la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha aperto un’indagine di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare dalla Turchia in Italia.

In merito a questa indagine non possiamo non ricordare che, anche in seguito al naufragio di 3 ottobre 2013, la Dda aveva avviato una serie di lunghe e costose indagini, che, senza arginare in alcun modo i naufragi sulle coste sicule, hanno portato ad uno scambio di persone, ovvero all’estradizione dal Sudan di Medhanie Berhe, identificato erroneamente come un capo trafficante. In più, esprimiamo la nostra preoccupazione per quanto riguarda la possibile collaborazione fra le nostre forze dell’ordine e quelle della Turchia, un paese segnalato in questi anni per un governo persecutorio e repressivo.

Parti civili

Diversi attori si sono costituiti parte civile nei processi contro i presunti scafisti. Oltre ad alcuni dei superstiti e familiari dei deceduti, anche il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio e la Regione Calabria.

La costituzione delle parti civili ha sollevato un’importante questione rispetto all’obiettivo del risarcimento economico, portando il ministro Piantedosi a annunciare che il Fondo di garanzia per le vittime della strada sarebbe stato disponibile a risarcire le vittime.

Il Fondo però, che dipende essenzialmente dal ministro dei Trasporti che non intende essere coinvolto, rappresentato dalla senatrice avv. Bongiorno, e ha eccepito la tardività della sua citazione quale responsabile civile, in quanto formalizzata dopo la celebrazione dell’udienza preliminare.

Nonostante la mancanza di un fondo a garanzia, le istituzioni governative si sono costituite parte civile, con una serie di motivazioni che riteniamo vergognose, quali “l’immenso danno all’immagine, suscettibile di valutazione economica, anche in considerazione della vocazione turistica delle coste regionali”, “un costante aumento delle risorse (e dei costi) per il controllo del territorio […] dell’immigrazione clandestina, con l’allestimento di strutture adeguate per l’accoglienza dei migranti […] per il controllo del mare, il controllo a terra, il soccorso sia in mare che a terra…”. Ogni parte civile ha chiesto più di milione di euro in danni. Nel condannare Gun Ufuk, il giudice ha anche ordinato il risarcimento delle parti civili, per una cifra che sarà determinata dal giudice civile.

Rivendicazioni dei superstiti e dei familiari delle vittime

I superstiti

Settantasei sono i superstiti del naufragio. Secondo i dati del governo, dei superstiti – oltre alle 5 persone fermate e attualmente in carcere – 18 hanno chiesto asilo in Italia e sono stati inseriti nei centri SAI, mentre 53 hanno chiesto di entrare nel programma di ricollocazione in altri paesi europei; 14 di questi si sono allontanati prima della chiusura del lungo procedimento.

Nei giorni successivi al naufragio, nessun rappresentante del governo ha incontrato i familiari dei deceduti e i sopravvissuti. Ciò è avvenuto nonostante il governo si sia riunito proprio a Cutro nei giorni successivi alla strage. Si sono guardati bene dall’andare ad esprimere il loro cordoglio ai familiari e ai sopravvissuti.

Se i morti fossero stati italiani o europei ci sarebbe stata la coda di Ministri e segretari di partito. Ma per i morti che scappano da persecuzioni, come quelle dei talebani in Afghanistan, il governo non prevede alcuna forma di pietà umana. I familiari, giunti da tutto il mondo nei giorni dopo il naufragio, sono stati fondamentalmente aiutati da volontari e attivisti.

La società civile ha colmato il vuoto istituzionale. Neanche i sopravvissuti hanno trovato una degna accoglienza, soprattutto nei giorni successivi alla strage: sono stati stipati in un hangar, molti senza un vero e letto su cui dormire.

L’ingresso in Italia dei familiari delle vittime

Il 16 marzo 2022, per rimediare parzialmente alla grave mancanza di non aver incontrato i familiari prima, la presidente del Consiglio ha incontrato alcuni parenti delle vittime a Roma. Durante l’incontro, gli è stato promesso che i loro familiari – rimasti al di là del confine del Mediterraneo – sarebbero potuti entrare in Europa: avrebbero solo dovuto presentare un elenco di nominativi alla prefettura.

Eppure, fino ad ora, a nessuno è stato concesso di entrare in Italia. In risposta all’accusa che le promesse erano state vane, la Farnesina ha scaricato la responsabilità su palazzo Chigi: la promessa è stata tradita perché si sarebbe trattato di un “ricongiungimento familiare”, le cui difficoltà burocratiche e incertezze di successo sono note. Semmai, l’ingresso poteva essere consentito tramite i “corridoi umanitari.” In qualsiasi modo li si voglia chiamare, però, ad un anno di distanza dalla promessa fatta dal governo, una soluzione non è stata trovata.

Riteniamo che la promessa tradita sia una questione di volontà politica, e non logistica o burocratica. Un video-appello pubblicato il 15 febbraio 2024 da un gruppo dei superstiti di nazionalità afgana, ora residenti in Germania – senza uno stabile status legale ribadisce la richiesta al governi italiano, tedesco ed europeo di consentire la riunificazione con i loro familiari ancora al di là dei confini europei.

L’identificazione e la sepoltura delle salme

Almeno 105 sono state le vittime del naufragio: 94 salme sono state recuperate – l’ultima quasi due mesi dopo il disastro – numero a cui si aggiungono almeno 11 dispersi. Tra i deceduti, 35 erano minori.

Dopo una serie di azioni di pressione da parte dei familiari e della società civile, il 15 marzo 2023 la procura di Crotone ha autorizzato il deposito della Dna dei possibili familiari, per facilitare l’identificazione delle ultime salme. Attraverso il riconoscimento visivo e l’identificazione scientifica, si è quindi potuto restituire il nome alla maggior parte dei deceduti.

Questi erano di nazionalità afgana, pakistana, tunisina, iraniana, siriana e palestinese. Nelle settimane di marzo, le bare delle vittime sono state depositate al Palazzo dello sport di Crotone, mentre il rimpatrio è stato organizzato dalle rispettive ambasciate, dai familiari e le associazioni.

La maggior parte delle salme sono state rimpatriate nei paesi dove risiedono attualmente i parenti, sia in Europa che all’estero. Diverse salme – alcune delle quali non ancora identificate – sono state sepolte invece nei cimiteri di Bologna, Crotone, Cutro e Paola.

La gestione dell’identificazione delle vittime e le loro sepolture ha fatto emergere ancora una volta una serie di gravi problemi e lacune da parte dell’amministrazione pubblica italiana – locale e nazionale – nonostante le stragi di migranti si susseguono da decenni per colpa delle politiche di chiusura delle frontiere italiane ed europee.

In primis è chiaro che mancano le camere mortuarie – a Crotone come a Lampedusa e in molti altri comuni – che possano custodire dignitosamente le vittime delle frontiere, non ottemperando a quanto stabilito dal Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria.

In secondo luogo, manca una procedura ufficiale e standardizzata per l’identificazione delle salme: dopo ogni catastrofe sono i familiari e la società civile che spingono le autorità negligenti a fare il loro dovere, nonostante quanto previsto dagli accordi internazionali.

Inoltre, non esiste ancora un ufficio responsabile per l’identificazione dei migranti deceduti: tale mancanza crea uno scaricabarile fra enti pubblici e forensi. È necessario creare un canale attraverso il quale le persone straniere possano contattare le autorità italiane per verificare se i loro cari siano deceduti durante il tragitto.

Infine, urge raccogliere i dati relativi ai decessi e centralizzarli: ne va della memoria civile e storica italiana, europea e mediterranea. Si tratta di un fenomeno che segna il nostro presente e a cui saremo chiamati a rispondere, perché nessuno possa dire di non sapere.

Naufragio dei diritti

A seguito della tragedia di Steccato di Cutro, il governo e la maggioranza, anziché progettare politiche per evitare ulteriori stragi, hanno riproposto la strada della riduzione dello spazio dei diritti – togliendo tutele e possibilità di regolarizzazione, della criminalizzazione dell’immigrazione – con annesso aumento di pene – e, in definitiva, di propaganda elettorale. Chi ha sperato in una legge che prevenisse le stragi, aprisse canali di accesso legali e sicuri, è stato amaramente deluso.

In un anno il governo ha prodotto un numero senza precedenti di modifiche legislative, accordi e interventi politici –come gli accordi con Tunisia e Albania – con l’intento di aumentare le difficoltà per chi vuole arrivare in Italia per chiedere protezione. Si vuole, anzi, scaricare sui Paesi vicini la responsabilità di garantire il diritto d’asilo.

Appena dieci giorni dopo il naufragio – il 9 marzo 2023 – si è tenuto un Consiglio dei Ministri al municipio di Cutro. Al posto di incontrare i superstiti e i familiari delle vittime, la Presidente ha presentato un decreto-legge in materia di immigrazione.

Il decreto mira a punire la popolazione straniera in Italia ed inasprire le pene nei confronti dei cosiddetti scafisti, ossia il capro espiatorio per le politiche di chiusura delle frontiere. Gli ultimi 12 mesi trascorsi dall’introduzione del DL 20/2023 hanno segnato la vite di migliaia di persone con effetti disastrosi. Contro questo provvedimento si sono alzate numerose critiche, sia a livello giuridico che politico.

La protezione speciale

La scelta di sopprimere i periodi che identificavano la protezione speciale (art. 7 del decreto) – riconosciuta in forza della protezione accordata alla vita privata e familiare dall’Art. 8 della CEDU – ha avuto la prevedibile ed irrimediabile conseguenza di aumentare le condizioni di permanenza irregolare nel territorio dello Stato, accentuando la marginalità sociale e, conseguentemente, diminuendo la tutela dei diritti della popolazione intera.

Calpestando così sia la Costituzione che la Carta dei diritti UE, decine di migliaia di persone non possono regolarizzare il loro soggiorno in Italia fra cui persone che risiedono, lavorano e crescono famiglia in Italia da anni; situazione che il nostro Paese ha già vissuto quando il decreto “sicurezza” del 2018, di identica matrice politica, abolì la protezione umanitaria.

I Cpr

Se precarizzare le vite delle persone migranti non bastasse, gli art. 6 e 10 prevedono la deroga alle norme sugli appalti per l’ampliamento dei centri di detenzione amministrativa e l’affidamento diretto della gestione di beni e servizi nelle ipotesi di commissariamento dell’ente gestore dei centri di accoglienza.

Al pari di ciò che il “decreto sicurezza” disponeva in materia di procedure negoziate per procedere all’aggiudicazione dei lavori per la costruzione e l’ampliamento dei CPR, il decreto “Cutro” ha rinnovato la volontà di aggirare le norme della trasparenza e legalità delle procedure di appalto pubbliche, dimostrando – semmai ce ne fosse ancora bisogno – che l’urgenza della destra nostrana è di rispondere agli interessi degli imprenditori contraendo le garanzie ed i controlli nella gestione del denaro pubblico.

Infine, viene aumentato il periodo di detenzione amministrativa fino a 18 mesi. Contro tutto ciò, proprio in questi mesi il sistema attuale dei Cpr ha subito durissime critiche: prima con il sequestro del centro di via Corelli a Milano a dicembre, poi le proteste a Milo e Caltanissetta, e in fine il suicidio-protesta di Ousmane Sylla al Cpr di Roma all’inizio di questo mese.

La criminalizzazione

Il terzo intervento di riforma sostanziale del decreto ‘Cutro’ ha preso di mira i cosiddetti scafisti, inasprendo le pene già previste, e introducendo il nuovo reato di “morte e lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione”, l’art. 12 bis del Testo unico immigrazione.

Va notato, però, che questi interventi sono per lo più degli espedienti retorici ed hanno pochi effetti concreti. Aumentare la misura della pena ha un impatto minimo sulle persone criminalizzate per aver facilitato l’attraversamento delle frontiere, soprattutto se si considera l’ampio margine edittale della norma (da 6 a 16 anni di reclusione).

Inoltre, sebbene il reato di cui all’art 12 bis comporterebbe una pena fino a 30 anni, già si poteva venire condannati a tale pena in quanto si sovrapponevano altri reati già esistenti (p.e. la morte come conseguenza di altro delitto). Un esempio calzante è la citata sentenza di condanna pari a 20 anni (pena di 30 anni ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato) inflitta al cittadino turco Ufuk, proprio per il naufragio di Cutro.

Il trattenimento dei richiedenti asilo

Il decreto-legge introduce una procedura accelerata di frontiera per le persone straniere provenienti dai cosiddetti paesi di origine ‘sicuri’ (articolo 7 bis); e stabilisce un trattenimento generalizzato dei richiedenti asilo che “non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero presti idonea garanzia finanziaria” (articolo 6 bis). Un decreto ulteriore ha determinato l’importo della garanzia finanziaria in €4.938.

Da ciò si evince una chiara a volontà governativa: trattenere indiscriminatamente in luoghi chiusi tutti i richiedenti asilo provenienti da un paese sicuro durante la procedura di frontiera, e in caso di esito negativo di continuare a trattenerli sino al rimpatrio, ad altro titolo, per un periodo che può essere anche di 18 mesi.

Le superiori disposizioni tra l’altro violano il diritto del richiedente di non essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda; e non tengono conto del fatto che il trattenimento debba considerarsi una misura eccezionale e limitativa della libertà personale (ex Articolo 13 della Costituzione).

Inoltre, l’introduzione di una garanzia finanziaria viola la direttiva UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo e la magistratura ne ha da subito evidenziato i profili di incostituzionalità e di incompatibilità con la normativa europea.

Ora la Corte di Cassazione, investita dei ricorsi esperiti dal Ministero dell’Interno avverso di decreti di non convalida dei trattenimenti, ha rinviato pregiudizialmente alla Corte di Giustizia Europea sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione Europea.

Conclusione

Nulla di questo intervento legislativo risponde alle esigenze delle persone migranti, né tantomeno di certezza della pena o della gestione del fenomeno migratorio che sia rispettosa degli obblighi internazionali a tutela dei diritti fondamentali, della nostra Costituzione e degna dello Stato di diritto.

La retorica contro i cosiddetti scafisti, spesso migranti e richiedenti asilo come altre migliaia di persone che cercano di raggiungere l’Europa, combacia con un atteggiamento giustizialista che vorrebbe carcere e detenzione invece di libertà e diritti.

Abbiamo visto in questo documento come il naufragio della Summer Love e la morte di almeno 105 persone, è stata causata da un mancato soccorso, avvenuto nonostante la presenza di mezzi aerei e marittimi delle forze dell’ordine italiane e dell’agenzia europea Frontex.

Abbiamo raccontato che si stanno ancora svolgendo le indagini riguardanti la grave omissione di soccorso , e che abbiano già individuato 6 indagati. Inoltre, i processi contro le 5 persone imputate di aver fatto parte dell’equipaggio non si focalizzano sullo sfruttamento di persone migranti, e neanche sostanzialmente di averne provocato la morte, ma si concentrano essenzialmente sull’accusa di facilitazione dell’ingresso irregolare dei superstiti.

Abbiamo visto come il governo si sia costituito parte civile contro gli imputati stranieri, chiedendo milioni di euro per danni al turismo e l’immagine a persone che non hanno un soldo. A questo si aggiungono le promesse non mantenute fatte dallo stesso governo ai familiari delle vittime, e come molti superstiti rimangano ancora in attesa di uno status giuridico stabile.

Infine, abbiamo descritto come lo stesso governo abbia introdotto una legge contro le persone migranti, che criminalizza e precarizza le persone invece di tutelarle, una legge che prende invano il nome del naufragio, punendone le vittime.

In questi giorni, in cui tutta l’Italia si ricorderà quel giorno tremendo e tragico di un anno fa, ribadiamo a tutte le istituzioni la necessità di impegnarsi affinché le giuste richieste dei superstiti e dei familiari delle vittime siano assecondate.

Chiediamo che ogni sforzo venga intrapreso per evitare altri naufragi, a partire dall’apertura delle frontiere e la fine di questo vergognoso capitolo nella storia italiana incentrato sulla chiusura, respingimento e discriminazione. Vanno invece ricordati quelli valori della libertà e della vita umana che sono alla base della nostra associazione e della Costituzione italiana.

27 Febbraio 2024

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