La guerra Israele-Hamas
Israele ha diritto o no a difendersi?
Ci vorrebbe chiarezza, nel chiedere il “cessate il fuoco”. Vuol dire che Israele deve cessare l’operazione militare per come essa ha avuto corso, correggendone il tiro che sproporzionatamente cade su troppi civili, o vuol dire che Israele non ha diritto di fare fuoco su chi vuole distruggere Israele e il suo popolo?
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Caro direttore,
si tratta di capire se esistono, o se invece non esistono, quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo. Si può decidere, contro il vero, che non esistono; oppure si può decidere, riconoscendo il vero, che esistono.
Poi si tratta di capire che cosa bisogna fare se si riconosce, riconoscendo il vero, che esistono quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo. Si può decidere che è un obbligo impedirglielo; oppure si può decidere che non è un obbligo.
Nel primo caso, si decide che il progetto di distruggere Israele e il suo popolo deve essere represso perché attenta a un diritto riconosciuto, e cioè il diritto all’esistenza di uno Stato e del suo popolo; nel secondo caso si decide che quel progetto può avere corso perché la distruzione di Israele e del suo popolo non lede nessun diritto riconosciuto.
Ancora. Una volta riconosciuto (sempre che lo si riconosca, ovviamente) che esistono quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo, e una volta riconosciuto (a patto che non lo si neghi, ovviamente) che occorre impedirglielo, si tratta di capire che cosa si deve fare per impedirglielo.
Si può decidere che per impedirglielo occorre fare ricorso ai mezzi di contrasto idonei a evitare che quel proposito di distruzione si realizzi, compreso l’uso delle armi, e innanzitutto l’uso delle armi quando esso è quello necessario a neutralizzare la realizzazione di quel proposito; oppure si può decidere che per impedirglielo bisogna utilizzare altri mezzi (quali, però, non si sa).
Nel primo caso si decide che l’uso delle armi è giustificato, ma al costo delle vite innocenti che può mettere a rischio; nel secondo caso si decide che l’uso delle armi è ingiustificato, ma al costo delle vite innocenti esposte al programma di distruzione di Israele e del suo popolo. E qui si aprono due questioni, l’una e l’altra grosse come una casa e l’una intimamente connessa all’altra.
La prima: chi lamenta e denuncia – a mio giudizio fondatamente – l’eccesso di vittime civili durante la reazione militare israeliana al pogrom del 7 ottobre (e al proposito mille volte rivendicato di farne altri), denuncia quell’eccesso o denuncia in realtà il diritto di Israele di neutralizzare quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo?
Chi reclama il “cessate il fuoco”, reclama che cessino le operazioni militari che stanno causando questo numero gravissimo di morti tra i civili, e proprio perché lo stanno causando, o reclama in realtà che Israele dismetta la propria pretesa di neutralizzare, con l’uso delle armi, e cioè con l’unico mezzo dovuto e possibile, quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo?
La seconda questione: ma con quali cortei, con quali manifestazioni, con quali convegni, con quali editoriali si è denunciata la responsabilità israeliana in quell’eccesso di morti tra i civili e, simultaneamente, si è proclamato e difeso il diritto di Israele di difendere sé stesso e il proprio popolo come è necessario, e cioè anche con le armi, da quelli che vogliono distruggerli?
Da quei cortei, da quelle manifestazioni, da quei convegni, da quegli editoriali, si sente venire altro. Si sente venire la negazione del vero, e cioè la negazione del fatto che ci sono quelli che vogliono distruggere Israele e il suo popolo. Si sente venire, quando non la negazione, almeno l’accettazione di quel fatto, e forse è peggio.
Si sente venire il disconoscimento del diritto di Israele di difendersi, camuffato dalla pretesa che Israele non si difenda come si sta difendendo. Si sente venire il disconoscimento del dovere comune di aiutare Israele a difendersi in “qualsiasi” modo, mascherato dal rifiuto del dovere di aiutarlo a difendersi in “questo” modo.
Si sente venire da quei cortei, da quelle manifestazioni, da quei convegni, da quegli editoriali, ciò che sempre si sperava impossibile mentre sempre lo si temeva: e cioè la riproposizione della “questione ebraica”, con il rischio osceno che questa questa volta si riproponga sotto le spoglie contraffattorie del diritto umanitario e della cooperazione internazionale.
Ci vorrebbe chiarezza, nel chiedere il “cessate il fuoco”. Vuol dire che Israele deve cessare l’operazione militare per come essa ha avuto corso, correggendone il tiro che sproporzionatamente cade su troppi civili, o vuol dire che Israele non ha diritto di fare fuoco su chi vuole distruggere Israele e il suo popolo?