Il conflitto Israele-Palestina
Perché Israele deve aprirsi alla pace invece di chiudersi nella guerra
Tutto questo non inchioda Israele alle responsabilità che ha né al dovere, che pure ha, di fare la pace: tutto questo consente a Israele di intestarsi il diritto, che non ha, di commettere gli errori e le violazioni che ha commesso e sta commettendo. E chi non lo capisce non vuole la pace.
Esteri - di Iuri Maria Prado
Israele deve fare la pace. Non avere pace: farla. Ma Israele non può fare la pace quando alcuni – non tra le macerie di Gaza, ma dalle poltrone di qualche composta conversazione occidentale – dicono che il pogrom dei giorni scorsi rappresentava l’atto di difesa di un popolo oppresso. Israele non può fare la pace quando sul conto di duecentocinquanta ragazzi massacrati si appuntano le considerazioni da viabilità cittadina secondo cui il rave party si teneva nel posto sbagliato.
Israele non può fare la pace se l’odio antisemita disegna la stella sulle porte delle case degli ebrei, il segno identificativo per la caccia al giudeo, e se nell’Europa che fu della Shoah questo passa come uno spiacevole ma episodico esempio di ineducazione civica. Israele non può fare la pace se assiste alla retorica della “lotta al nazifascismo”, delle “Giornate della Memoria”, del “Mai più”, mentre la macellazione in nome di dio di centinaia di civili inermi è discussa alla luce di ragionate analisi sulle colpe del sionismo. Israele non può fare la pace se le immagini della belva che rimesta nel cranio del cadavere di un ebreo ucciso, infilandogli un palo di ferro nel cavo degli occhi strappati, sono chiamate “le immagini del conflitto”, messe tra le voci comparabili di ogni bilancio di guerra.
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Israele non può fare la pace se il capo del suo governo – il pessimo capo di un pessimo governo, l’uno e l’altro contestati duramente e pubblicamente nella democrazia israeliana – è accusato di essere un Adolf Hitler appena più cauto. Israele non può fare la pace se vede che gli ebrei nel mondo continuano a essere in pericolo, se vede che gli appelli dei terroristi alla persecuzione degli ebrei, all’eliminazione degli ebrei, passano come uno dei fungibili aspetti di una vicenda da “contestualizzare”, con l’indiscutibile violenza sofferta dai palestinesi (di cui ai terroristi non importa assolutamente nulla) posta a spiegare, quando non a giustificare, l’infinita teoria di aggressioni sicarie antisemite, che sia la strage in un supermercato kosher o l’eccidio in un centro di beneficenza ebraico, che sia l’assassinio di un disabile fatto passare per lo stratagemma della moglie con ambizioni ereditarie o, e siamo a questi giorni, la soppressione della novantenne sopravvissuta al campo di sterminio ma non alla “giustizia” che il 7 ottobre del 2023 trionfava sui discendenti delle scimmie e dei maiali.
Tutte cose che sistematicamente, e ancora una volta, sono oggetto di una deplorazione precaria accompagnata tuttavia dalla solita scorta di riflessioni storicizzanti. Tutto questo interferisce con l’obbligo di Israele di fare la pace. Tutto questo spinge Israele a chiudersi nella guerra anziché ad aprirsi alla pace. Tutto questo non inchioda Israele alle responsabilità che ha né al dovere, che pure ha, di fare la pace: tutto questo consente a Israele di intestarsi il diritto, che non ha, di commettere gli errori e le violazioni che ha commesso e sta commettendo. E chi non lo capisce non vuole la pace.