La presidente dell'AOI
Intervista a Silvia Stilli: “La sinistra tace su Gaza per paura, ma la difesa dei diritti non è antisemitismo”
«Con la “nuova” Fgci fu amore a prima vista. Coraggiosa e innovativa, non puntava a fare tessere per il partito ma a crescere e formarsi insieme. Lì è maturato il mio impegno nella solidarietà e nella cooperazione internazionale»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Silvia Stilli, Presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali, sarà a Firenze sabato prossimo, all’incontro delle ragazze e dei ragazzi della FGCI degli anni ’70-’80. Una esperienza che Silvia che ha portato con sé nel suo agire in quel mondo solidale, che rappresenta oggi una grande ricchezza per le tante e i tanti che si battono per una società più giusta e per un mondo dove non vi siano più popoli oppressi e sotto occupazione. Come nella martoriata Palestina.
Quella spinta che voleva cambiare il mondo”. È molto più del titolo di “Allonsanfàn”, l’incontro del 10 febbraio a Firenze “delle ragazze e dei ragazzi della Federazione Giovane Comunista Italiana degli anni ’70-‘80”. Di quella FGCI hai fatto parte. Cosa è stata quella “spinta che voleva cambiare il mondo” e che ne è rimasto oggi?
La mia esperienza nella FGCI si è articolata in due spazi temporali. Il primo con un inizio molto locale, nella città di provincia dove vivevo, che si caratterizzò soprattutto con le attività del movimentismo studentesco e li si fermò. Trasferendomi a Firenze per gli studi universitari fui attratta dai temi emergenti della pace e della visione “internazionalista” del mondo, come allora si diceva. L’attività politica coincise soprattutto con il pacifismo più ‘militante’, quello per intenderci di Comiso e dei campeggi e delle manifestazioni contro il riarmo e le basi NATO in Europa, per l’obiezione di coscienza e il dialogo con i movimenti non violenti e per i diritti in Europa e nel mondo. Fu così che incontrai nuovamente la FGCI, quella ‘federata’ del periodo di Pietro Folena, riformatasi con un obiettivo fortemente inclusivo delle istanze sociali sorte fuori dal Pci: cambiare il mondo insieme a compagne e compagni di strada provenienti dai movimenti ambientalisti, per la pace, per i diritti civili. Fu innamoramento a prima vista, perché aveva tutte le caratteristiche e i temi per farmi “sentire a casa”.
Perché?
Perché era l’incontro con una ricchezza incredibile di sensibilità, pensieri, relazioni, esperienze che si confrontavano con l’impegno contro la mafia e la malavita organizzata, per un’istruzione e una formazione garantite a tutte e tutti, di qualità, partecipata e rinnovata perché aperta ai temi ecoambientalisti, alle istanze e all’impegno contro ogni forma di esclusione sociale, alle vertenze per un lavoro certo e dignitoso, all’equità di genere. Era un FGCI coraggiosa e innovativa, che riusciva a stabilire relazioni nuove e di partenariato attivo con i movimenti mondiali per i diritti e la democrazia. L’adesione non era mirata a far tessere per garantire poi iscritti al ‘partito’, perché era la scelta di crescere e formarsi insieme, di mescolare esperienze e interessi apparentemente diversi tra loro, facendoli divenire “pensiero globale”. La mia vita di lavoro e impegno nella solidarietà e cooperazione internazionale è maturata e si è consolidata dentro quella FGCI. Ma non è un caso unico e personale, per fortuna. Credo fermamente che sia un fattore generazionale che riguarda chi ebbe la fortuna di vivere quella stagione con l’intensità e il fascino e la gioia di stare insieme per cambiare il mondo. Negli ultimi anni molte e molti di noi hanno deciso di rivedersi: la prima volta a Modena per il primo anniversario della scomparsa di un’amica e compagna, poi a Roma, a Napoli e nel 2023 a Cinisi. Perché Cinisi? Per ribadire il legame forte che quella FGCI sottolineava tra il Nord e il Sud del Paese nella lotta alla criminalità e al degrado sociale e politico e per la democrazia e i diritti. E chi ha magistralmente organizzato le due giornate di Cinisi ha anche chiaramente voluto dimostrare, in un periodo di grave crisi dei partiti e della partecipazione politica, di guerra e di attacco ai principi democratici, anche costituzionali, che la sinistra in Italia deve tornare ad avere una visione globale che metta al centro la lotta alla povertà e alle disuguaglianze e affermi i diritti umani, facendo scelte di coraggio e non elitarie. Il recupero della memoria di una stagione politica importante non significa ‘vivere nei ricordi’, ma comprendere e sostenere in maniera efficace e sostanziale le richieste dei movimenti delle nuove generazioni: se è vero che allora volevamo cambiare il mondo, dobbiamo essere in grado di sostenere chi lo vuol fare adesso, senza presunzione e con massima disponibilità a far da cassa di risonanza, a vedere cosa di quella stagione è tema ancora oggi vincente e che contributo oggi può dare, nella sua rielaborazione e attualizzazione. Ringrazio davvero chi a Cinisi ha deciso di mettere in relazione e dialogo la FGCI degli anni ’70 e quella degli anni’80, non per “misurarsi”, ma per dialogare e recuperare memoria e ragioni di un impegno, rafforzandosi nel confronto.
Quella FGCI era pacifista, non violenta, con una forte vocazione internazionalista. Tutto archiviato?
Non condivido la lettura di un “periodo archiviato” sui temi dei diritti e della giustizia globale. Per la maggior parte di noi la scelta di non passare dall’esperienza giovanile di militanza in quella FGCI ad una seguente nel partito non è stata abbandono della politica, ha significato dare continuità alle spinte per il cambiamento nell’impegno dentro l’associazionismo ambientalista, nel sociale, nel mondo sindacale, in quello dell’istruzione e formazione, nella magistratura e anche nell’imprenditoria e nell’editoria, nella cooperazione internazionale, sia che si trattasse di lavoro che di volontariato. Penso al grande spazio che nei primi anni ’90 l’ARCI di Giampiero Rasimelli e di Tom Benetollo ha offerto a questa generazione per sviluppare e rendere più inclusiva la nostra azione in una dimensione associativa infinitamente grande e diffusa territorialmente. Con orgoglio dico che tra le figure parlamentari più impegnate sui temi dei diritti civili e umani e della giustizia sociale, per lo sviluppo sostenibile a livello globale e della pace ci sono dirigenti di quella FGCI, che hanno prolungato la loro militanza. L’appuntamento di Cinisi ha dimostrato che quel ‘sentire comune’ non ha abbandonato la stragrande maggioranza di chi ha vissuto quella stagione, anche se la complessità dell’oggi evidenzia delle differenze. Ma è naturale.
Una visione ecopacifista della crescita, la difesa dei più indifesi, a cominciare dai migranti che continuano a morire nel Mediterraneo, una effettiva parità di genere, mobilitarsi contro il genocidio in atto a Gaza …Una sinistra che non è all’altezza di queste sfide, può ancora definirsi tale?
La democrazia è in pericolo oggi in tutto il mondo conosciuto. I valori su cui si fonda sono costantemente messi in discussione. Certezze che credevamo acquisite sono attaccate dalla sovranità del profitto per pochi e la giustizia e i diritti passano in secondo piano, insieme alla sostenibilità dello sviluppo, della solidarietà, dell’accesso garantito ai servizi e beni essenziali e a una vita dignitosa. La violenza sulle donne e i femminicidi, l’omofobia, il razzismo, l’esclusione dalla società delle persone fragili, la mancata accoglienza di quelle in fuga da Paesi da guerre e violazione dei diritti e fame, l’accettazione di genocidi e massacri, il silenzio di fronte alla perdita del lavoro, della libertà di stampa e di manifestare, al grave disagio giovanile: ci sono le ragioni e gli spazi per una politica che affronti queste disumanità con un progetto di società globale efficace e convincente. A mio parere nella sinistra dei partiti oggi non è evidente la volontà di farlo insieme aprendosi a chi non frequenta la vita di partito e le sue dinamiche e regole, con l’umiltà di ricominciare mettendosi in discussione. Come facemmo nella FGCI degli anni ’80.
Oggi ricopri l’incarico di presidente di AOI. Cosa ti sei portata con te dell’esperienza giovanile?
Tutto. Le priorità fondamentali che cerco di dare al mio lavoro sono quelle acquisite allora: formazione “internazionalista” che è oggi attenzione ai temi globali, forza del lavoro collettivo e condiviso, valore della contaminazione positiva tra pensieri diversi, relazioni umane intese come patrimonio essenziale, coerenza tra pensiero e azione. Per me sono anche priorità di vita.
Perché c’è così tanto timore, anche a sinistra, di parlare di genocidio quando si guarda alla tragedia di Gaza?
I temi della politica internazionale non sono stati centrali negli ultimi anni nel dibattito interno alla sinistra italiana ed anche europea. L’analisi è stata lasciata ad esperti di geopolitica, mentre l’impegno nella diplomazia e nelle relazioni internazionali dei partiti di sinistra è andato scemando. Non solo, ma a mio parere vi è anche un gap formativo nelle classi dirigenti. Non vale per tutte, ma sicuramente per una grande parte. La centralità dell’Europa e dei temi nazionali ha fatto smarrire il senso della dimensione globale, che emerge solo quando si affronta la questione dei migranti o quella delle spese militari o l’emergenza pandemica. Per le organizzazioni sociali della cooperazione internazionale il dialogo con la sinistra è spesso ridotto a rapporti interpersonali con parlamentari che su questi temi si espongono, dialogano e lavorano. Come per il conflitto israeliano-palestinese. Il tema dell’apartheid del popolo palestinese e del rischio di genocidio a Gaza, nonché delle violenze dei coloni, ha visto quel “timore” a esprimersi da parte della sinistra italiana, che teme che la difesa dei diritti umani in questo caso sembri antisemitismo. Un errore politico grave, che forse l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia farà meglio comprendere.