La testimonianza
Assolti definitivamente ma inizia il calvario, basta con l’oppressione giudiziaria
Quando si dice che “non serve la prova perché basta il sospetto”, quando si dice “anche se sei stato assolto, io ti confisco lo stesso tutto quello che hai”, qual è lo scopo di un avvocato in un processo del genere? Nessuno.
Giustizia - di Pietro Cavallotti
Dopo dodici anni di calvario giudiziario e quattro gradi di giudizio, mio padre e i miei zii sono stati assolti con formula ampia e liberatoria “perché il fatto non sussiste”. Quando pensavamo che il calvario era finito, è lì che è cominciato.
Perché, parallelamente al processo penale, veniva avviato il processo per le misure di prevenzione con il sequestro di tutto il patrimonio. Quando dico “il sequestro di tutto il patrimonio”, significa che ti portano via tutto quello che hai, da un giorno all’altro: i soldi che hai in tasca, la macchina, il conto corrente, l’azienda. Siamo stati costretti a difenderci senza soldi e senza lavoro perché ti hanno tolto pure la possibilità di trovare un’occupazione alternativa.
Fortunatamente, abbiamo incontrato avvocati coraggiosi che hanno anteposto l’ideale all’arricchimento personale. Spesso noi ci lamentiamo perché crediamo di non essere difesi bene dagli avvocati. In realtà, gli avvocati in un processo di prevenzione non contano nulla.
Quando si dice che “non serve la prova perché basta il sospetto”, quando si dice “anche se sei stato assolto, io ti confisco lo stesso tutto quello che hai”, qual è lo scopo di un avvocato in un processo del genere? Nessuno. Il processo di prevenzione si basava sugli stessi elementi indiziari che erano già stati valutati nel processo penale: le accuse dei collaboratori di giustizia.
Fortunatamente, noi abbiamo avuto la possibilità di smentire le loro dichiarazioni e, però, nel processo di prevenzione ci è stato detto “si, è vero, ma qui siamo in un processo di prevenzione e i riscontri e la certezza non servono”.
Il processo di prevenzione è iniziato nel 1999, la confisca di tutto il patrimonio è avvenuta nel 2016 alla fine dei tre gradi di giudizio. Nel 2017 ci hanno persino buttato fuori di casa. L’hanno fatto passare come “prevenzione del reato”. Scusami, ma se io non ho fatto niente, perché mi togli la casa, cosa stai prevenendo? Allora dicono: no, è la casa che è intrinsecamente pericolosa: tu sei stato pericoloso trent’anni fa e hai trasferito la tua pericolosità alla casa.
Si stenta a credere, eppure, queste sono le motivazioni con cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno difeso e salvato la confisca di prevenzione. Così, le cose inanimate assumono vita propria e diventano pericolose. Però, le aziende “intrinsecamente pericolose” rimangono sul mercato con gli amministratori giudiziari.
In quel caso perdono la loro pericolosità intrinseca? Questo sono le misure di prevenzione! Assolti definitivamente e, al tempo stesso, confiscati. È stato il primo filone della nostra vicenda giudiziaria, quello dei nostri padri. C’è un secondo filone, quello dei figli.
Noi non ci definiamo “imprenditori”, siamo solo operai che, a un certo punto, hanno deciso di ricominciare a lavorare e poi metter su un’impresa che nel corso degli anni è cresciuta. Ma non è piaciuto a una parte della Procura di Palermo che ha fatto sequestrare anche questa. Iniziano un processo penale per intestazione fittizia e un processo di prevenzione sulla base della medesima accusa.
Anche in questo caso, veniamo buttati fuori dall’azienda che, in poco tempo, fallisce e 150 persone perdono il posto di lavoro. L’accusa è che “i padri hanno trasferito i loro beni ai figli”. Ma come? Se avevano avuto tutti i beni confiscati, che cosa avrebbero potuto trasferire? Allora il Pubblico Ministero precisa: il vero oggetto dell’attribuzione fittizia è l’esperienza lavorativa, il knowhow che i padri hanno trasmesso ai figli.
Con questa accusa, è stato chiesto il carcere per i miei fratelli, per i miei cugini – che erano i soci e gli amministratori dell’azienda – e per i padri. Non mi ricordo quanti anni di carcere avevano chiesto! Mio padre e i miei zii hanno rivissuto tutta la trafila: il carcere, gli arresti domiciliari e anche la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Con quale motivazione gli hanno dato la sorveglianza speciale? “Non avete dimostrato il vostro recesso dall’associazione mafiosa”, ci è stato detto. Ma, scusa: io sono stato assolto perché non ho mai fatto parte dell’associazione mafiosa, come faccio a dimostrare di esserne uscito se non ci sono mai entrato? Accade poi l’imprevisto. Al Tribunale di Palermo scoppia lo “scandalo Saguto”, cambiano i giudici e, dopo nove anni, l’azienda viene dissequestrata.
Si rendono conto che è pulita ma ci viene restituita una società con oltre dieci milioni di debiti. Avremmo dovuto liquidare ciò che era rimasto per pagare i debiti fatti dall’amministratore giudiziario.
Peccato, però, che non riuscivamo ad avere un conto corrente per vendere, incassare e pagare i fornitori. Nel giro di pochi mesi, l’azienda è fallita e siamo passati dalla sezione misure di prevenzione alla sezione fallimentare, dall’amministratore giudiziario al curatore fallimentare.
Questo è il dramma che ha vissuto la mia famiglia, quella di Massimo Niceta e di altri imprenditori. Quello che mi spinge ad andare avanti è il sogno di vedere mio padre e mia madre ritornare nella propria casa. E l’auspicio che quel che abbiamo subito noi non sia subito da altre persone. Che tutto sia capitato sia perché noi ci impegnassimo a cambiare il sistema e contribuire a liberare l’Italia dall’oppressore giudiziario.
* Sintesi dell’intervento al X Congresso di Nessuno tocchi Caino