Le misure
“Più probabile che non”: quella trappola nelle interdittive antimafia
Le interdittive antimafia sono adottate a discrezione dei Prefetti. Possono espropriare, bloccare un’azienda sulla base del solo sospetto di infiltrazione mafiosa.
Giustizia - di Angelo Riccardi
Leggo e rileggo di una lotta alla mafia fatta di numeri freddi e irrilevanti, come a voler affermare che la lotta alla mafia foggiana non può prescindere nel colpire tutti, indistintamente, malcapitati buoni e cattivi. Consigli sciolti a catena e interdittive antimafia a raffica. Foggia come Reggio Calabria? Sarà il caso di comprendere la Reggio Calabria di oggi e se veramente è stato raggiunto un qualche risultato dell’antimafia sul territorio. Io credo che dopo tale analisi qualcuno guarderebbe con sospetto a queste iniziative dello “Stato”.
Le interdittive antimafia sono un mezzo esclusivo utilizzato in Italia per combattere la mafia e dimostrare l’impegno nella lotta alla criminalità organizzata. Questi provvedimenti amministrativi sono adottati a discrezione dei Prefetti e possono essere utilizzati per espropriare, bloccare o distruggere un’azienda sulla base del solo sospetto di infiltrazione mafiosa, basandosi su una valutazione della probabilità di infiltrazione mafiosa all’interno dell’azienda. In parole povere, basta che il Prefetto ritenga “più probabile che non” l’esistenza di infiltrazioni mafiose per adottare l’interdittiva. Carlo Giovanardi ha dedicato tempo alla trappola del “più probabile che non”, raccogliendo denunce degli operatori economici vittime.
Dopo aver ripetuto le denunce in conferenze stampa, è stato accusato di minacce al Prefetto di Modena e al gruppo interforze del Ministro degli Interni, oltre che di oltraggio a Pubblico Ufficiale. Le misure di prevenzione mostrano i loro limiti e sono palesemente discrezionali e discutibili. Qual è la visione strategica di chi prende le decisioni? Sarebbe interessante capire gli obiettivi di certe iniziative. Le “scelte” sono in realtà “politiche”, poiché sono affidate al Prefetto di turno che, senza una direzione chiara, decide chi colpire con misure interdittive che danneggiano persone, famiglie, imprese e interi territori. Secondo uno studio di Transcrime, l’85% delle aziende sequestrate alla mafia fallisce entro due anni dalla confisca come misura di prevenzione. È una situazione tragica per l’occupazione e i lavoratori, che perdono improvvisamente il posto di lavoro senza speranza di trovarne un altro. Qual è il modello economico alternativo proposto dallo Stato per evitare questo scenario disastroso? Ad oggi nessuno. Immaginate cosa sarebbe accaduto alle aziende di Silvio Berlusconi – e all’economia nazionale – se fossero state oggetto di interdittive.
Sulla parola di ex boss mafiosi e collaboratori di giustizia accreditati nei processi, che hanno ricordato e giurato sui rapporti tra Berlusconi e Cosa Nostra, sul pagamento di un “pizzo” in cambio di vantaggi economici e della pace sociale e famigliare. Meno male, ne sono felice, che le aziende di Berlusconi siano state risparmiate. Che nessun Prefetto abbia deciso di interdirle in base alla regola del “più probabile che non”. Che nessun giudice abbia adottato misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dell’imprenditore Berlusconi. Lo stesso Berlusconi che nell’arco dei suoi quattro governi, sullo stesso presupposto del “più probabile che non”, ha sciolto per mafia decine e decine di consigli comunali. Per molto meno, invece, in provincia di Foggia, un’azienda è stata di recente colpita da un’interdittiva. E non per aver pagato la mafia ma per aver denunciato una richiesta estorsiva di natura mafiosa.
È difficile capire come un provvedimento del genere sia solo stato concepito e poi attuato. Perché le conseguenze per un’azienda colpita da un’interdittiva possono essere devastanti. Viene esclusa dalle liste delle aziende “pulite”, il che significa che non può più lavorare con la Pubblica Amministrazione, partecipare a gare pubbliche, ottenere licenze o autorizzazioni amministrative; persino l’accesso al credito bancario diventa quasi impossibile. L’azienda è condannata al fallimento. Secondo le parole del famoso scrittore Leonardo Sciascia, la mafia non può essere sconfitta con la “terribilità”, ma attraverso il Diritto. Ecco, dobbiamo fare in modo che il Diritto prevalga, che la verità emerga e che la giustizia sia giusta. Solo allora potremo sconfiggere la mafia e costruire un futuro migliore per tutti