Il leader area liberal dem

Intervista a Enrico Morando: “Il Pd abbandoni identitarismo e populismo, sui problemi seri vince”

«L’introduzione per legge dello stipendio base è un tema serio, avvertito dalla maggioranza degli italiani. L’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha una legge a riguardo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

15 Agosto 2023 alle 12:00

Condividi l'articolo

Intervista a Enrico Morando: “Il Pd abbandoni identitarismo e populismo, sui problemi seri vince”

Dalla battaglia sul salario minimo alla tassa sugli extraprofitti delle banche. L’Unità ne discute con Enrico Morando, leader dell’area liberal del Partito Democratico, tra i fondatori dell’associazione di cultura politica Libertà Eguale, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni.

A colpi di maggioranza parlamentare, il governo ha deciso di rinviare a settembre la discussione sul salario minimo. Ma la povertà non va in vacanza.
Non credo che il problema sia la decisione di rinviare a settembre la discussione sul salario minimo. Se questo tempo venisse usato -soprattutto dal Governo- per formulare meglio le soluzioni e per coinvolgere parti sociali e competenze, sarebbe un bene per tutti: bisogna fare presto e bisogna fare bene. Certo, se il Governo -come fa il ministro Tajani- si limiterà a ripetere il suo no, con motivazioni speciose, sarà stato tempo perso. Ma credo che la Presidente del Consiglio abbia ben compreso che non le conviene limitarsi ad alzare il muro della sua maggioranza per respingere l’ipotesi stessa dell’introduzione per legge del salario minimo: il tema è serio e avvertito come tale dalla maggioranza degli italiani. L’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha una legge sul salario minimo. Le opposizioni fanno finalmente sul serio… Se Meloni si limitasse al no, andrebbe in difficoltà.

Molti hanno scritto che è la prima volta…
È la seconda. La prima è stata la proposta di legge per la ratifica del nuovo Mes presentata dal Pd. Meloni e la sua maggioranza -incapaci di votare contro, ma impediti a votare a favore dalla marea di sciocchezze dette nel passato- hanno fatto ricorso alla soluzione per loro più umiliante: scappare dal Parlamento. Ma a settembre il tema si riproporrà. Tornando al salario minimo, persino la proposta di coinvolgere il Cnel potrebbe tornare utile: ora il Governo l’ha usata per prendere tempo. Ma, guardando alle soluzioni adottate in altri Paesi europei – la Germania, in particolare-, si potrebbe ragionare così: il Parlamento fa il suo mestiere e stabilisce per legge che l’Italia adotta il salario minimo, di cui, sempre per legge, stabilisce le caratteristiche fondamentali e le modalità di applicazione. Per la precisa determinazione del quantum, ogni due-tre anni, la Germania fa ricorso ad una Commissione, con la partecipazione delle forze sociali. In Italia, questa Commissione c’è già: è il Cnel. Usarlo come sede tecnica è ragionevole.

Attorno al salario minimo le opposizioni sembrano aver trovato, almeno a livello parlamentare, una unità d’intenti. È un buon inizio?
È un ottimo inizio. Soprattutto perché l’iniziativa si è sviluppata attorno ad un tema fondamentale, come quello del lavoro povero; si è organizzata attorno ad un disegno di legge, di cui si è imposta la discussione in Parlamento; si è lavorato per imporre il tema nel discorso pubblico; si è molto valorizzato il fatto incontestabile che la scelta di avere una legge sul salario minimo è una scelta pienamente “europea”. Aldilà del fatto -certo non irrilevante, ma non decisivo- che nel caso della ratifica del Mes il Movimento Cinque Stelle non ha voluto aderire all’iniziativa del Pd e delle altre opposizioni, è lo stesso schema di iniziativa adottato per il Mes: un problema reale, che coinvolge l’interesse dell’intero Paese, in un orizzonte europeista; una proposta chiara, fatta valere in Parlamento e nel discorso pubblico. È uno schema generalizzabile e potenzialmente vincente: perché mette in difficoltà il Governo, impegnandolo a soluzioni concrete su problemi avvertiti come tali dalla maggioranza degli italiani. E perché crea le condizioni per la costruzione, nel tempo, di una credibile alternativa di governo al destra-centro. Abbiamo usato questo schema per due volte. E per due volte abbiamo avuto risultati positivi. Non è accaduto altrettanto quando abbiamo riconosciuto priorità a temi identitari, o abbiamo ceduto a tentazioni populiste: è il caso del giudizio sulla politica monetaria e dell’azione di contrasto all’inflazione.

Può spiegare meglio questo suo giudizio?
Da mesi, tutti i governanti italiani -da Meloni in giù- coprono di contumelie la Bce per l’aumento dei tassi di interesse… È lo schema classico del populismo: un problema reale (i prezzi che salgono); un colpevole da additare al popolo (giustamente) infuriato; una soluzione tanto farlocca (se l’inflazione sale, la banca centrale dovrebbe lasciare a zero il tasso di interesse?), quanto “facile”, ed il gioco è fatto. Salvo esaltare i meriti del Governo Meloni per un’inflazione che finalmente cala (forse anche per via delle scelte Bce?). Perché possono sperare di farla franca, pretendendo di raggirare tutti gli italiani, senza alcuna reazione da parte delle opposizioni? Perché, quando era tempo, esse hanno mostrato di condividere la campagna anti Bce scatenata dal Governo.

Sta dicendo che bisognava applaudire Lagarde?
Sto dicendo che bisognava raccomandare prudenza nelle decisioni di rialzo, ma riconoscendo che se l’inflazione sale la Banca centrale non può che agire di conseguenza. E sollecitando gli altri attori -Governo e Autorità comunitarie- a fornire all’azione di contrasto dell’inflazione il contributo che può venire dalla politica fiscale ed economica. Non è solo cosa dei governi. C’entrano anche le forze sociali. I dati dimostrano che siamo passati da un’inflazione da offerta ad un’inflazione da profitti. Non è “colpa” di qualcuno. È un fatto. Che ne ha provocato un altro: la riduzione dei salari reali. È dunque il momento di un po’ di sano conflitto sociale per un riequilibrio nel rapporto tra salari e profitti. La politica fiscale può aiutare questo processo, ma il sacrosanto recupero dei salari non si può fare solo a spese del contribuente.

La tassa sugli extraprofitti delle banche. Il governo ha fatto una cosa non da destra?
In Italia è avvenuto che i tassi di interesse che le banche riconoscono ai depositanti e quelli che le banche richiedono per i prestiti non si sono mossi né con la stessa tempestività, né nella stessa direzione. Se si poteva consentire che il rialzo non fosse simultaneo, il fatto che – a distanza di molti mesi- i risparmiatori abbiano continuato a ricevere sui loro depositi lo zero virgola, mentre le rate dei mutui a tasso variabile salivano enormemente, assieme ai tassi sui nuovi mutui, segnala che c’è qualcosa che non va. La cosa avrebbe dovuto interessare al Governo e all’Autorità per la tutela della concorrenza. Perché nessuna banca -nessuna- ha messo in atto un’iniziativa di aspra competizione con le altre, per dire ai risparmiatori: portate i soldi da noi, perché noi abbiamo sì alzato i tassi per i prestiti, ma abbiamo alzato anche quelli per i vostri risparmi nei conti correnti?

Interrogativo ficcante. E la risposta?
La risposta è semplice: perché non c’è sufficiente concorrenza tra banche. Non facendo nulla su questo fronte, il Governo non ha tutelato adeguatamente gli interessi dei risparmiatori e dei cittadini. Non mi sembra poi di sinistra la scelta del Governo relativa alla destinazione del gettito della tassa straordinaria sui ricavi bancari da interesse: il Governo spagnolo ha impegnato il gettito di una tassa analoga per finanziare un Fondo sociale per il sostegno alle fasce sociali meno abbienti. Il Governo italiano-dopo aver allegramente scritto in Relazione tecnica che “prudenzialmente non stima il maggior gettito connesso” – ha invece deciso che, qualora ci fossero, gli introiti andrebbero a finanziare il Fondo per la prima casa e “interventi volti alla riduzione della pressione fiscale “Poiché in questo secondo caso non si potrà certo trattare di interventi strutturali, come quelli per la riduzione del cuneo sul lavoro (le entrate sono una tantum), mi sembra di poter concludere che anche sul fronte della destinazione delle eventuali risorse ricavate ci sia ben poco “di sinistra”. La verità è che -non avendo fatto nulla per contrastare le scelte delle banche, quando si era ancora in tempo per impedire loro un lucro eccessivo sui risparmi dei depositanti, il Governo Meloni ha tentato un recupero di rapporto con l’opinione pubblica arrabbiata, attraverso un provvedimento abborracciato, che non tocca la sostanza del problema (nel settore bancario c’è poca concorrenza) e non risarcisce i danneggiati (risparmiatori e mutuatari).

In Italia esiste e morde sempre di più, una irrisolta “questione sociale”. Crescono le diseguaglianze, emergono nuove sacche di povertà. Il Pd è attrezzato a questa sfida?
C’è il problema-per ora irrisolto-di definire un progetto di governo credibile, alternativo a quello del destra-centro. Parlo di una visione sui problemi di fondo del Paese, a partire da quelli della parte più debole della popolazione. In primo luogo, c’è bisogno di crescita significativa e duratura. Per risolverlo, l’esigenza primaria è quella di unificare il mondo del lavoro, tutto, dalla sua componente più debole a quella più forte. Riferendoci alla vicenda di questi giorni, bisogna tenere assieme salario minimo e contrattazione di secondo livello per distribuire a favore dei lavoratori più produttivi quote dei profitti ottenuti da incrementi di produttività (e di valore delle aziende), cui danno un contributo determinante. Nel progetto, deve avere un posto centrale lo sviluppo della democrazia economica, cui lo Stato può fornire un sostegno importante con le sue scelte fiscali. In questo contesto, le politiche di Welfare devono poter fare maggiormente leva da un lato sul settore no-profit (si può fare eguaglianza anche senza statalizzare tutto), dall’altro sullo sviluppo ulteriore del Welfare aziendale. Le politiche attive per il lavoro -previste, ma non attuate nel Jobs Act- potranno così svolgere una fondamentale funzione di diffusione dell’eguaglianza delle opportunità. E una robusta rete di sostegno universale del reddito di chi non può lavorare, farà il resto.

La scorsa settimana è scomparso Mario Tronti, tra i pensatori politici più sensibili ai temi sociali e del lavoro.
Avevamo posizioni molto diverse, che abbiamo cercato di far prevalere in un confronto in cui ognuno -io certamente- poteva giovarsi degli argomenti dell’altro per misurare la capacità dei propri nel capire la realtà̀ sociale, dare rappresentanza agli interessi ritenuti meritevoli di tutela e favorirne l’affermazione nel conflitto sociale e politico. Nei giorni della sua scomparsa voglio ricordare l’interesse e la passione che suscitarono in me, giovanissimo, gli articoli e i saggi della fase “operaista“ della sua elaborazione.

15 Agosto 2023

Condividi l'articolo