Il dramma delle prigioni
Nelle celle della Campania la Costituzione è morta
1.236 tossicodipendenti su 6.790 detenuti, 400 affetti da disturbi psichici. A Poggioreale i reclusi sono oltre duemila. Gli psichiatri? Due
Editoriali - di Samuele Ciambriello
Il carcere è la risposta semplice ai bisogni complessi della società. È un grande agglomerato di problematiche e necessità; è visto come un luogo lontano da noi, da tenere a distanza, che deve contenere i pericoli e tenere sicura la comunità: “gettare la chiave”.
Ma il carcere è una “discarica sociale”, è abitato prima di tutto da persone. Ed è proprio guardando alla persona che emergono dati allarmanti: sono 1.236 i tossicodipendenti presenti negli Istituti penitenziari della Regione Campania su 6.790 detenuti. Il quadro nazionale invece presenta 56.674 detenuti, con il 30 per cento avente dipendenze da sostanze stupefacenti. Il sovraffollamento, inoltre, peggiora le condizioni igieniche già precarie all’interno dei penitenziari.
Dietro questi numeri ci sono tante storie di chi non dovrebbe entrare in carcere: violazioni minime che portano in cella, detenzioni estenuanti e leggi confuse sulla droga. I reclusi tossicodipendenti, che costituiscono una fetta importante dell’intera popolazione detenuta, hanno un problema in più rispetto agli altri e questo dovrebbe suggerire un ricorso più ampio alle misure alternative, ai lavori socialmente utili, nonché a tutte quelle strategie capaci di spezzare la dipendenza dalle sostanze stupefacenti.
Un altro dramma che si vive nel carcere è la malattia psichiatrica: in Campania sono oltre 400 i sofferenti con disturbi psichici. Solo una piccola parte di queste persone segue una terapia farmacologia, mentre l’altra ha ricevuto una doppia diagnosi, cioè la coesistenza in un singolo individuo sia del disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive sia del disturbo psichiatrico, né bastano i reparti di articolazione psichiatrica con un numero che varia dai 18 ai 20 detenuti – ma su scala provinciale – a dare risposte esaustive. Certo, queste articolazioni hanno almeno personale specializzato: psichiatri, tecnici della riabilitazione e altre figure professionali adatte, ma nel resto del carcere non ci sono queste figure, e in molti casi manca addirittura la figura dello psichiatra.
La questione emergente resta la sproporzione tra la popolazione carceraria e il personale sanitario. Ma non solo, i dettati della costituzione, ravvedimento, rieducazione, reinserimento, trattamento umano diventano fantasmi. In Campania, sia nel carcere di Sant’Angelo dei Lombardi che nel carcere di Benevento, non c’è uno psichiatra nonostante sia presente un’articolazione per la salute mentale in entrambi gli istituti. Nel carcere di Poggioreale, ci sono 2104 detenuti, l’equivalente di tutti i detenuti dell’intera regione Calabria che però sono divisi in 11 istituti. E per tutti i detenuti a Poggioreale ci sono appena 2 psichiatri. Eppure, la delibera regionale in materia di salute mentale, prevede uno psichiatra ogni 500 reclusi.
La politica tutta, nazionale e regionale, deve assumersi le proprie responsabilità ponendo l’attenzione al tema carcere per risolvere problemi che non riguardano solo chi vive la detenzione, ma la società intera. Ricordo spesso che la parola carcere è l’anagramma di cercare: cercare per ricostruire, per ritrovarsi, per seguire una strada che è tracciata anche dalla Costituzione, per trovare se stessi, rispettando i diritti delle persone. Purtroppo, per la politica che pensa al consenso piuttosto che al senso della sua missione, realizzare progetti di inclusione e di reinserimento sociale, il carcere è una risposta semplice a bisogni complessi, in primis la sicurezza.
*Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale