In primavera il voto popolare
Riforma della Giustizia, è corsa al referendum. L’appello di Nordio: “ Non politicizzare il voto”
Quarta e ultima lettura ieri al Senato. 112 sì, 59 no e 9 astenuti. Le opposizioni: “Vergogna” Separazione delle carriere, doppio Csm, sorteggio e Alta Corte i punti del ddl costituzionale.
Giustizia - di Angela Stella
Con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni ieri il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma costituzionale della separazione delle carriere. Tra fine marzo e aprile toccherà ai cittadini pronunciarsi. “Compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini. Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani” ha commentato dai social la premier Giorgia Meloni. Una vittoria dedicata a Berlusconi, quella di oggi? “No, è una vittoria dedicata alla democrazia”, ha risposto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. “No ai pieni poteri” è la scritta su cartelloni esibita dai parlamentari di opposizione al termine del voto, mentre gridavano “vergogna, vergogna” verso i banchi della maggioranza.
La giornata era iniziata a Palazzo Madama alle 10:30 con le dichiarazioni di voto. Aveva cominciato il leader di Iv Matteo Renzi: “Nel confermare il nostro voto di astensione, ribadiamo che noi siamo favorevoli da sempre alla separazione delle carriere, una cosa giusta e un principio sacrosanto. Oggi ci asteniamo considerando che la montagna ha partorito il topolino, una riformicchia”. Poi Mariastella Gelmini (Noi Moderati): “il Parlamento mette il sigillo definitivo a una riforma storica. Non è la rivincita della politica contro la magistratura”.
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Per il partito main sponsor della riforma, ossia Forza Italia, ha parlato Pierantonio Zanettin: “Questo è un giorno storico e lo vogliamo dedicare a Silvio Berlusconi, che per primo 30 anni fa volle la separazione delle carriere nel programma del centrodestra. Sono decenni che la magistratura si sente l’ombelico del mondo e si arroga il diritto di dire l’ultima parola su ogni ipotesi di riforma, e non solo sulla giustizia. Dispiace che nella tenzone sia scesa in prima persona l’Anm, con i suoi massimi vertici”. La maggioranza grida poi contro i banchi del M5S quando a prendere la parola è stato Roberto Scarpinato: “In Italia esiste una larga maggioranza di italiani di destra, di centro e di sinistra che non se la bevono la panzana che Berlusconi, Dell’Ultri, Cosentino, Matacena, Previti, e Galan erano tutti fiori di giglio e sono stati condannati dalla magistratura politicizzata”. Sconcerto anche sui volti di alcuni senatori del Pd.
Più sobrio l’intervento del dem Andrea Giorgis: “Con il voto sulla separazione delle carriere dei magistrati è stata certificata tutta l’arroganza politica e la protervia di una maggioranza illiberale che, in spregio al fondamentale carattere pattizio della Costituzione, ritiene di poterne riscrivere unilateralmente parti anche molto significative”. Per la Lega è stato Manfredi Potenti a sottolineare come “diciamo sì a una riforma che rappresenta una rivoluzione necessaria per far riacquisire agli italiani la fiducia nel sistema giustizia”. A chiudere la discussione il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan: “In questi giorni di dibattito abbiamo assistito alle critiche infondate dell’opposizione, la quale ha parlato di pericolo per la nostra democrazia quando la separazione delle carriere esiste in nazioni democratiche quali gli Usa, il Regno Unito, l’Olanda, il Portogallo l’Australia, la Francia, la Svizzera e molte altre”. Non sono andati, invece, entrambi alla maggioranza i due voti di Azione: il leader Carlo Calenda ha votato a favore, Marco Lombardo invece si è astenuto.
Alle 12:15 il Sì definitivo: applausi dal centro destra e cori di “vergogna” dal centro sinistra che espone i cartelloni. Subito dopo il Guardasigilli ha incontrato i giornalisti: “Ringrazio il Parlamento. La maggioranza è stata ottima. Sono trent’anni che scrivo sulla separazione delle carriere. Mi auguro ora che sul referendum ci siano termini pacati, che non sia politicizzato”. E infine: “è bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche ma per l’amor del cielo non si aggreghi a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura”. Nel frattempo le forze di maggioranza, tranne la Lega, hanno organizzato dei flash mob fuori dal Senato. Ma separati e nessuno ha voluto spiegare il perché di questa decisione, quando due sere fa si era quasi raggiunto un accordo per stare tutti insieme. Alla fine questa scelta ha depotenziato i festeggiamenti.
Non sono ovviamente mancati i commenti delle altre forze schierate in campo in questa battaglia, Anm e Unione Camere Penali. Per il sindacato delle toghe “questa riforma altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge” mentre per i penalisti guidati da Francesco Petrelli “non è un atto contro qualcuno, ma un passo avanti verso uno Stato di diritto più equilibrato, nel quale ciascun potere eserciti la propria funzione nel rispetto delle garanzie e delle libertà individuali e costituzionali”.
Ma quali sono le principali novità della riforma?
Riguardano appunto l’assetto dell’ordinamento giudiziario attraverso la modifica di sette articoli della Costituzione. Innanzitutto la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Finora era consentito il passaggio da un ruolo all’altro, possibilità che viene ora abolita. I giudici e i pubblici ministeri seguiranno due percorsi di carriera completamente autonomi, ciascuno regolato da un proprio Consiglio superiore. Entrambi saranno presieduti dal Presidente della Repubblica e ne faranno parte di diritto, rispettivamente, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti saranno estratti a sorte, sia quelli togati che quelli laici. Più che la separazione è il sorteggio il vero cuore della riforma. L’obiettivo dichiarato è ridurre il peso delle correnti e rendere il sistema di governo autonomo della magistratura più indipendente dai meccanismi elettivi che in passato avevano suscitato polemiche. Infine viene istituita una Alta Corte di giustizia disciplinare, competente per sanzionare le violazioni commesse dai magistrati.