Il nuovo romanzo
“Che succede a Baum?”, Woody Allen tra tic nervosi e lazzi irresistibili
Uno scrittore in crisi che detesta la contemporaneità ed è divorato da un’altissima concezione di se stesso. Il cineasta di Manhattan ci regala un’odissea tragicomica stavolta tutta da immaginare
Cultura - di Filippo La Porta
Che succede a Baum (La nave di Teseo, trad. Alberto Pezzotta), il recente romanzo di Woody Allen, è la quintessenza dell’intero suo cinema, l’epitome della sua comicità, un concentrato di battute, sketch, invenzioni, wit, che ripercorre la storia dell’umorismo ebraico del ‘900 almeno dai Fratelli Marx (fino a lambire un nostro grande autore, come tra poco vedremo). Baum è uno scrittore 50enne semifallito, in declino, sorpassato dai tempi e stroncato dalla critica, considerato noioso e didascalico, ridondante e pretenzioso.
Le sue trame – tipo il contrasto tra Stalin che fa morire di fame 5 milioni di russi e il silenzio di Dio – non attirano più gli editori. Ha un rapporto col mondo fatto di rancore e invidia, vorrebbe vivere nella Manhattan degli anni 20, è un misantropo insoddisfatto, che dialoga continuamente con se stesso ad alta voce e che sogna l’amore ideale. Ama la metropoli – la invadente “cacofonia urbana non disturbava mai il suo riposo” – mentre il cielo in campagna, con le stelle cadenti, lo terrorizza. L’ultima sua moglie Connie, che lo sposò per la sua aura di romanziere – quasi fosse un Saul Bellow, uno che “sfidava nientemeno che i maestri russi e Kafka” – ma che ne è rimasta profondamente delusa, ha un figlio 25enne, Thane, che invece è diventato uno scrittore di grande successo (ha venduto subito 36.000 copie del suo romanzo), amato dal pubblico, riverito dalla critica e acriticamente adorato dalla madre (che lo considera un genio assoluto). Baum lo odia, lo chiama “cretinetti” – un “saputello viziato e snob” – , vede in lui un compendio di tutto ciò che non gli piace del mondo contemporaneo.
Che succede a Baum poi va a ritroso – in modo rapsodico – nella sua biografia, nei matrimoni precedenti, nelle disavventure erotiche, nei suoi inizi di scrittore. Però stavolta Woody Allen non ci ha dato un film bensì un romanzo. Può darsi che non abbia trovato un produttore, però così ci invita a fare un eccitante sforzo di immaginazione: stavolta siamo noi a dover dare un volto – un corpo, un modo di camminare e di gesticolare, una voce – al suo protagonista, e poi al fratello, alle sue mogli, al figliastro e alla fidanzata del figliastro. A volte Baum me lo immagino come un Allen di 30 anni fa, a volte come uno degli attori che lui ha usato negli ultimi film, a volte diventa uno dei tanti scrittori italiani di oggi che conosco: esattamente come loro lui pensa di non avere successo perché – benché “profondo” – non si adatta ai tempi, non scende a compromessi. Ecco, questa orgogliosa integrità personale e questo senso del proprio smisurato valore artistico diventa per lui un formidabile alibi con cui giudica la corruzione del presente.
La pagina di Baum è debordante e irresistibile: vi è uno scialo di boutade e situazioni umoristiche (tanto da diventare a tratti quasi stucchevole), e una miriade di citazioni. Solo un piccolo florilegio. Pensando al fratello Josh: “Si è preso i pochi geni buoni… a me sono toccati solo i calcoli biliari di papà e la deprimente visione del mondo di mamma”. Sempre al fratello: “Sta’ attento con tutte quelle risonanze magnetiche, alla fine ti capiterà un falso positivo e dovranno aprirti per controllare”. Se scopre due macchioline nere sulla schiena “il suo unico pensiero era come avrebbe reagito alla chemio”. “Ho cinquantun anni, eppure imparo qualcosa ogni giorno. Il problema è che ciò che ho imparato il giorno prima era sbagliato”. “Ti ho detto che Connie si prende un cane? Un Dobermann. Lo stesso cane che aveva Himmler”. Infine, puro Allen: “Scott sembrava preoccupato. Mi piace questa parola. Indica qualcosa di brutto, ma che non è ancora fatale. Però è sulla buona strada per diventarlo”.
Poi nel libro troverete tutte le idiosincrasie di Allen verso mode e idoli sociali della nostra epoca, come la cultura woke e il terrorismo ideologico: “Nella cultura attuale un’accusa vale quanto una condanna”. Così come un omaggio commosso a New York e in particolare al “meraviglioso West Village”, pieno di piccole librerie e isolati alberati. La parte in cui Baum si vede con Sam, la fidanzata del figliastro, e un poco si innamorano, sono di una straziante delicatezza. A un certo punto Baum scopre casualmente – attraverso il dialogo con un nerd – che il bestseller di Thane è in realtà una clamorosa scopiazzatura di un libro uscito anni prima e poi caduto nel dimenticatoio. È il momento della sua rivincita….Ma non diciamo di più.
Accennavo a una curiosa analogia: per qualche aspetto sembra che Woody Allen abbia letto La coscienza di Zeno. Non dico che è un plagio, come quello del romanzo del figliastro. Ma vorrei esibire almeno due indizi. Quando incontra Nina e se ne innamora, poi conosce la sorella gemella Ann, e se ne innamora! Ed è Svevo! Inoltre: il finale è una fantasia di Baum, relativa a un suo prossimo, e improbabile romanzo, in cui si immagina una specie di apocalisse, dove l’esistenza è finita, non c’è più niente, nessun universo e nessuna stella, nessuna luce… “il nulla assoluto”. Anche qui: con qualche modifica, e in una versione radicalizzata, ci ricorda il finale della Coscienza di Zeno, con la profezia su una esplosione nucleare che riporterà la Terra a una condizione di nebulosità primordiale. E certo fa riflettere questa utopia rovesciata, beffarda: l’unico luogo dove finalmente Baum si libera della sua invidia e frustrazione, delle sue smanie di successo, delle sue pene d’amore, delle sue nevrosi e ossessioni, è precisamente il nulla.
Alla fine la grande tradizione ebraica – qui incarnata in nel suo vecchio “compagno di idee” Weinstock, il quale parlava sempre “in piena modalità talmudica” – trova sempre una via d’uscita. Certo, “questa è la vita. Ammazzi il tempo finché non ti ammazza lui”, pensa Baum. La tradizione ebraica contempla la vanità del tutto dai tempi dell’Ecclesiaste tuttavia non ha il senso del tragico della cultura greca. Weinstock gli dirà “viviamo in un’epoca difficile, ma non temere: il corpo umano tende a guarire da solo… e la razionalità farà ritorno”.