Il capogruppo PD Regione Lombardia

Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Pd troppo a sinistra? Il nostro è riformismo radicale”

«Con Schlein il Partito democratico è uscito dallo stato di angosciante apatia. Dobbiamo essere la forza che spinge per il cambiamento mettendo al centro la questione sociale. Terra, casa, lavoro: lotte giuste, ascoltiamo le parole del papa»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

29 Ottobre 2025 alle 08:00

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Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica
Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica

Pierfrancesco Majorino, già europarlamentare, è capogruppo PD Regione Lombardia, membro della Segreteria nazionale del Partito democratico con l’incarico di responsabile Politiche migratorie e Diritto alla Casa.

Il Partito democratico si è spostato troppo a sinistra. A dirlo, nella convention di Milano dei “riformisti” dem, è Giorgio Gori, già sindaco di Bergamo ed europarlamentare.
Giorgio Gori mi ha stupito. È stato un sindaco molto capace e molto amato nella sua città, Bergamo, e son convinto che proprio per questo sappia più di altri che la discussione sull’essere più o meno di sinistra, “radicali” o “moderati” oggi lasci abbondantemente il tempo che trova e sia veramente poco comprensibile. Rispetto a Giorgio faccio un ragionamento molto diverso: credo che il PD con Elly Schlein sia uscito dallo stato di angosciante apatia nella quale c’eravamo cacciati, in anni durante i quali, vorrei rammentarlo, si discuteva della nostra probabile sparizione. Stavamo per celebrare il funerale al Partito Democratico con surreale disinvoltura. Quasi tre anni dopo la situazione è molto cambiata. Ci siamo decisamente ripresi, abbiamo rilanciato la nostra iniziativa politica e peraltro il tutto grazie a una leader che ha coltivato l’unità interna ed esterna, un bene essenziale per essere credibili, e siamo tornati competitivi in svariati luoghi del Paese, inoltre rappresentiamo un punto di riferimento in Europa, nella famiglia del PSE e, soprattutto, lo dico molto preoccupato dalla deriva antidemocratica in corso, senza il PD non esiste alcuna possibilità di costruire un progetto alternativo alla destra. Dunque, il punto non credo sia quello di essere “meno di sinistra”, come sinceramente non mi convincerebbe un ragionamento eguale e contrario. Semmai dobbiamo andare avanti con ancora più decisione su due terreni.

Quali?
Essere la forza che spinge per il cambiamento e farlo continuando a mettere al centro la questione sociale. Che vuol dire salari, diritto alla salute e alla casa, battaglie contro le diseguaglianze. E ancora: schiena dritta di fronte ai tentativi di mercificare i beni comuni e misure per una transizione ecologica giusta. Occuparsi di questo, come abbiamo cominciato a fare con una certa insistenza, vuol dire “essere troppo di sinistra”? Non credo lo si possa pensare. Per me vuol dire essere chiaramente dalla parte del senso di giustizia. Semmai discutiamo di quali debbano essere i terreni su cui sfidare la destra. Sarò un po’ novecentesco ma ne vedo innanzitutto tre, assolutamente intrecciati. Primo: la crescita, in un Paese che senza PNRR sarebbe in recessione, secondo la lotta alle diseguaglianze, mentre i salari stanno al palo, non si realizzano politiche per il diritto all’abitare e viene mortificata l’azione straordinaria di Tina Anselmi che portò a istituire un Servizio Sanitario Nazionale di carattere universalistico. Terzo, la qualità dello sviluppo, che deve essere sostenibile nel tempo della crisi climatica e capace di far vivere bene persone in grado di sentirsi davvero libere, consapevoli. Su questi terreni non ci vuole più moderazione ma grande determinazione senza timidezze. Il nostro in fondo è un riformismo radicale. Perché siamo pragmatici ma desiderosi di non assecondare quello che ci offre il tempo in cui viviamo. Aggiungo una nota a margine. Giorni fa incontrando i movimenti popolari che si battono per i diritti sociali Papa Leone XIV definito giuste lotte quelle per la terra, la casa e il lavoro. Ecco, ascolterei con grande attenzione quelle parole.

“In Italia c’è un’estrema destra al governo che sta tagliando la spesa pubblica, la sanità, la scuola, sta bloccando le nostre proposte di salario minimo. Stanno producendo solo propaganda, odio e polarizzazione. La settimana scorsa Meloni a Firenze ha detto che l’opposizione è peggio di Hamas. Voglio solidarizzare con Sigfrido Ranucci, vittima di un attentato terribile: la libertà e la democrazia sono a rischio quando l’estrema destra è al governo”. Così Elly Schlein al Congresso del Pse. Apriti cielo! Lezioni di storia, accuse di estremismo. Cosa c’è di “scandaloso” in quanto detto dalla Segretaria PD?
Io credo che la nostra segretaria abbia lanciato un allarme sacrosanto. Nel mondo infatti siamo di fronte alla radicalizzazione della destra nazionalista. E l’azione di Giorgia Meloni in questo quadro è spesso sminuita, mentre la Presidente del Consiglio è assolutamente dentro a questo processo. Torno sulla frase su Hamas. Ma ci rendiamo conto? Ha spiegato che siamo peggio dei terroristi. Ci siamo capiti? Il capo del governo che dice una cosa simile. E perché lo fa? Perché non accettiamo la logica oscena del decreto sicurezza, perché ci battiamo per un salario dignitoso, perché mettiamo in luce il fatto, oggettivo, che la spesa sanitaria è inadeguata e che questo porta grandi vantaggi ai businessmen della sanità privata. In altre parole, ci dice che siamo peggio dei terroristi, senza che ciò susciti indignazione, perché ci opponiamo alle sue politiche. E intanto cosa accade? Accade che Telemeloni imperversa e un giornalista serio e indipendente come Ranucci viene, dopo quell’attentato preoccupante, attaccato da settori della destra italiana. Francamente tutto questo è semplicemente terrificante.

Per aver schierato il PD nel movimento che ha riempito le piazze di tutta Italia contro il genocidio di Gaza e per il riconoscimento dello Stato di Palestina, Schlein è stata tacciata di vetero-pacifismo, di subalternità a questo o a quello. Siamo al “tiro al Segretario”, sport molto in uso a sinistra?
La posizione del PD su Gaza è quella giusta. E le piazze ci hanno visto partecipare con grande determinazione. Gli attacchi a Schlein sono ridicoli. E dovrebbero far riflettere chi se ne fa protagonista. La verità è che siamo stati di fronte ad una gigantesca strage degli innocenti realizzata da un genocida, cioè Netanyahu. Contestare quell’azione sanguinosa è il minimo. Come oggi il minimo sarà stare al fianco dei palestinesi, in una lotta che è una lotta per la dignità e la libertà di un popolo. Invece che surreali dibattiti sul tasso di pacifismo di una forza politica, abbiamo tutti il dovere di comprendere come dalla tregua attuale, perché di altro non si può parlare, si passi ad un progetto di Pace, sicurezza, ovviamente anche di Israele, e ricostruzione. In un quadro simile più che il pacifismo del PD di Schlein, del quale siamo soli orgogliosi, ci si dovrebbe preoccupare della sparizione politica dell’Europa. Una sparizione allarmante.

Da ex parlamentare europeo, ha mai creduto ad una conversione europeista di Giorgia Meloni?
Giorgia Meloni ha in mente un chiaro progetto politico. Quello di un’Europa debole e dominata dai nazionalismi. In questo quadro, poi, ritiene di poter surfare oltre i confini giocando con Trump di sponda. Mi pare tutto molto molto coerente con la sua filosofia e il suo pensiero. Ciò è terribile su alcuni piani, perché produce per l’appunto, l’assenza di una politica di pace o di cooperazione all’esterno dell’Europa e, inoltre, come insegna la vicenda dei dazi, è una strategia particolarmente dannosa per un Paese come il nostro. Aggiungo che però non sono per nulla stupito, Giorgia Meloni, del resto, non avrebbe nemmeno voluto i fondi di Next Generation EU e la risposta corale europea di fronte al COVID. Grazie al cielo noi siamo quelli di David Sassoli, non quelli che nutrono verso stagioni nelle quali gli europeisti finivano al confino una sorta di “nostalgia inconscia”.

Quale lezione trarre dalla prima tornata di elezioni regionali?
Le elezioni regionali ci hanno detto che la partita per il futuro del Paese è assolutamente aperta e che sarà, ovviamente, una partita vera e dura. E che qualsiasi ipotesi di alternativa passa da una constatazione semplice: solo uniti si può vincere. Ovviamente ora si deve definire con chiarezza un progetto di governo forte e unitario. Il centrosinistra è assolutamente nelle condizioni di dotarsene a condizioni che prevalgano la generosità e la voglia di evidenziare quel che, per l’appunto, unisce.

Cresce ovunque l’astensionismo. È ormai un male endemico, inguaribile delle democrazie liberali o è l’offerta politica a non essere attrattiva?
Innanzitutto, credo che non dobbiamo arrenderci. Non possiamo accettare il piano inclinato nel quale siamo. Io credo che molto sia riconducibile alla distanza tra la politica e la vita vera. Tante e tanti che non votano non credono che la politica possa incidere, cambiare, essere utile. Così si indebolisce la democrazia. E qui vedo, senza scoprire per la verità niente di nuovo, il nesso tra questione sociale e questione democratica. Una politica che torna ad essere lo spazio di confronto e pure di lotta per affrontare il tema delle diseguaglianze può essere una politica che torna ad essere mobilitante ed attrattiva. Ma deve dimostrare di poter incidere con concretezza. Altrimenti la logica della partecipazione e della rappresentanza viene sostituita da autoisolamento, rancore e perfino clientelismo. Mi occupo molto di casa, di diritto all’abitare. In alcuni quartieri popolari delle nostre città la cosa è evidente. Ho negli occhi le facce di cittadini che non votano perché pensano che la cosa semplicemente non li riguardi. Ecco: la risposta non può essere solo quella dell’esortazione a non sprecare un diritto straordinario come quello a contare e a dire la propria ma deve essere pure quella di fare politiche, uso questo esempio perché lo ho molto chiaro, per garantire alloggi a costi accessibili a chi altrimenti rischia di rimanere per strada o a dover cambiare città. In altre parole, la politica deve tornare a dimostrare la propria utilità pubblica. E questa è una sfida urgente e pure appassionante.

Il PD ha avanzato una proposta di legge volta a valorizzare e sostenere il terzo settore. Qual è il segno politico di questa iniziativa?
Abbiamo fatto una cosa per me ovvia. Di fronte alla società che si autorganizza che si mette all’opera per il bene comune, che si dà da fare non girandosi dall’altra parte di fronte a chi ha bisogno di aiuto, di fronte a questa grande ricchezza, rappresentata dall’associazionismo, dalla cooperazione sociale, dal volontariato abbiamo deciso che un’istituzione come la regione Lombardia dovesse muoversi, darsi una svegliata. E per questo abbiamo presentato una proposta di Legge, a prima firma del consigliere regionale Davide Casati, che vuole offrire strumenti effettivi, concreti, affinché questo arcipelago fondamentale per lo sviluppo e il benessere delle nostre comunità, possa essere coinvolto permanentemente sul piano della progettazione delle politiche o possa essere sostenuto attraverso fondi capaci di premiare i progetti maggiormente innovativi che vedono la società capace di offrire risposte e soluzioni in più settori, ovviamente quello del sociale ma non solo – il terzo settore è infatti vitalissimo pure in campo culturale, nella pratica sportiva o nella tutela del territorio e dell’ambiente-. Tutto ciò non per far arretrare il pubblico rispetto alle proprie responsabilità ma esigendo che il pubblico innanzitutto faccia la sua parte. C’è bisogno, infatti, di una nuova stagione di collaborazione tra pubblico e privato sociale. E questo, come ha ricordato Don Vincenzo Barbante, Presidente della Fondazione Don Gnocchi, è proprio un modo per difendere il bene comune.

29 Ottobre 2025

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