la legge di bilancio
Manovra dalla coperta corta, a destra è rissa anche tra i ‘moderati’ Tajani e Lupi: ma Meloni ribadisce la linea dell’austerità
Litigano perfino i cugini di Forza Italia e Noi moderati, Lupi azzanna. Tajani: “Ha condiviso ogni provvedimento”. “Pinocchio”, la replica. Ma indietro non si torna, la parola d’ordine di Meloni è: austerità
Politica - di David Romoli
Tutti contro tutti e tutti contro Giorgetti, ministro dal braccio corto. Raramente una manovra era stata così povera e forse mai il testo approvato dal cdm si era trasformato così rapidamente in un campo di battaglia con mille fronti aperti. Inutile sottolineare che tra i due aspetti, la miseria della legge di bilancio e la rissa nella maggioranza, c’è un preciso rapporto di causa ed effetto. La coperta è tanto corta da rendere impossibile dare soddisfazione ai diversi elettorati di riferimento.
Litigano tutti, persino i “cugini” Tajani e Lupi, leader della quarta e più piccola forza di maggioranza, Noi Moderati. Il vicepremier ieri era davvero scatenato. “Ho cercato di fare in modo che banche e assicurazioni non venissero considerate mucche da mungere o nemici della società a cui estorcere soldi”. Un’intemerata giustificata probabilmente dall’irritazione degli azionisti di riferimento del partito azzurro, i Berlusconi proprietari di Mediolanum, per quel 2% di aumento Irap che Tajani, pur avendo ottenuto un ridimensionamento più che drastico dell’intervento sulle banche, non è riuscito a evitare. Tajani, per la verità, non dice apertamente di voler tornare, nel corso dell’iter parlamentare, sull’intesa faticosamente raggiunta in maggioranza. Lo aveva in compenso fatto capire 24 ore prima, quando aveva lanciato una sfida aperta: “Non sono i Grand Commis delle Finanze a decidere: è la politica”. Il portavoce di Fi Nevi comunque si affanna a stemperare assicurando che sul prelievo ai danni delle banche “è stata raggiunta una buona mediazione”. Mediolanum permettendo.
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I due leader filiazione diretta della Fi berlusconiana non sono d’accordo sull’aumento della tassa per gli affitti brevi, i B&B. Tajani, come Salvini la vuole cancellata con un tratto di penna perché tutto resti com’è oggi: cedolare secca al 21% invece che al 26% come da nuova norma, almeno per quel 90% di locatari che affittano su Airbnb e piattaforme simili. Lupi abbasserebbe al 15%. Complice il nervosismo arrivato alle stelle i due finiscono per azzannarsi. Lupi assicura che Tajani, diversamente da quanto afferma, fosse perfettamente al corrente dei contenuti della legge ormai bollinata: “Nessuno nel centrodestra considera le banche mucche da mungere. Ricordo a Tajani che nel vertice di maggioranza lui ha condiviso ogni provvedimento”. Che bugiardo, replica il ministro degli Esteri ricorrendo a sin troppo nota citazione letteraria: “Lupi è un po’ Pinocchio, anche se io lo perdono, perché ha detto che sapevo tutto quando io non sapevo nulla”. Collodi per Collodi, anche Lupi ha la sua citazione: “Accanto al burattino c’è anche il Grillo Parlante”. Fuor di metafora, il leader di Noi moderati ribadisce che Tajani ha concordato sin nelle virgole l’intervento sulle banche.
Lega e Fi, con Lupi nella parte del pasdaran, saranno pure impegnati fianco a fianco nella santa causa degli affitti brevi. In compenso se le danno di santa ragione su tutto il resto. Sulle banche, ovviamente, e non è certo una novità. E ora sui tagli alla metro di Roma e Napoli. “L’importante è che non ci sia nessun taglio alla metro C di Roma. Bisogna tornare indietro sul definanziamento di 50 mln”, attacca il vicepremier rivolto direttamente al collega Salvini, ministro dei Trasporti e in questo caso controparte. “Non c’è nessun taglio”, replica piccato il Carroccio ma il Comune di Roma, dati alla mano, la pensa all’esatto opposto. In effetti, tenendo conto dei tempi biblici con cui procedono sempre e da sempre i lavori per la metro a Roma, appare molto probabile che ad aver ragione, propaganda a parte, siano il sindaco di Roma Gualtieri e l’assessore Patanè.
Lo stesso Salvini però ha l’indice puntato sul compagno di partito che guida l’Economia italiana. Si rivolge direttamente a Giorgetti quando esplode. “Un piano casa serio ha bisogno di finanziamenti seri”. Quelli stanziati, in tutta evidenza, li considera tutt’altro che seri e batte i pugni sulla scrivania del ministro. Come fanno del resto un po’ tutti i ministri, in questo caso senza guardare all’appartenenza di partito, per rumorosa protesta contro una delle voci contestate all’unanimità: i tagli ai ministeri. La manovra è stata varata. I saldi non possono più cambiare.
Dunque tornare indietro su questa o quella misura significa doverla rimpiazzare con un’altra che garantisca introiti pari. Se desse soddisfazione a tutti gli insoddisfatti, Giorgetti dovrebbe più o meno riscrivere da capo la legge di bilancio. Non sarà così. La maggioranza troverà, quando più quando meno obtorto collo, la quadra perché l’austerità di Giorgetti è pienamente sostenuta e anzi invocata dalla stessa premier. Le promesse elettorali sono una cosa, la necessità di essere promossi a pieni voti dalla Ue, dalle istituzioni finanziarie e dalle agenzie di rating un’altra e per Giorgia Meloni molto più importante. Poi, se qualcosa si potrà e dovrà dare, lo si farà l’anno prossimo, con le elezioni politiche dietro l’angolo. Farlo ora, per i calcoli piuttosto cinici del governo, sarebbe uno spreco.