La denuncia del presidente
Cosa c’è nella manovra del governo: l’acqua fresca di Meloni e Giorgetti e la strigliata di Mattarella
La manovra è povera, 18,7 miliardi. La decisione di rientrare già l’anno prossimo nel parametro del 3%, uscendo così subito dalla procedura d’infrazione, non autorizza alcuna ambizione
Politica - di David Romoli
Sergio Mattarella chiama. Il governo non risponde. Nella consegna delle Stelle al merito del lavoro il capo dello Stato è stato durissimo con una denuncia a tutto campo. Si è concentrato però soprattutto sul nodo dei salari, “questione che non può essere elusa”. È la “struttura delle categorie salariali” che dispone “nei piani alti dell’occupazione lavoro prestigioso, appagante e ben remunerato” e nei piani bassi “forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre i limiti dello sfruttamento”. Le retribuzioni sono tanto squilibrate da mettere molte famiglie “a rischio di essere sospinte e talvolta di essere effettivamente sospinte oltre la soglia di povertà” mentre “super manager godono di retribuzioni centinaia o persino migliaia di volte superiori a quelle dei dipendenti”. Il presidente parla dei manager superpagati ma in materia di squilibrio le banche, con gli extraprofitti accumulati negli ultimi anni, non sono seconde a nessuno.
Proprio mentre Mattarella lanciava il suo j’accuse il governo licenziava la manovra. Non erano immaginabili interventi drastici o tali da risolvere anche solo in parte il nodo scorsoio indicato dal presidente. La manovra è povera, 18,7 miliardi. La decisione di rientrare già l’anno prossimo nel parametro del 3%, uscendo così subito dalla procedura d’infrazione, non autorizza alcuna ambizione. L’impennata delle spese militari, che dovrebbe per Giorgetti essere finanziata dai tagli ai ministeri e per il resto dai prestiti, chiude gli ultimi spiragli. Però un segnale politico poteva essere dato e in effetti lo è stato. Solo che non va nella direzione indicata dal capo dello Stato.
Il braccio di ferro, si sa, è stato soprattutto intorno alla tassa sugli extraprofitti delle banche. Tajani ha dato voce alla ferma decisione del presidente di Abi Patuelli e certamente anche di Mediolanum, cioè della famiglia Berlusconi, di evitare una misura imposta e a maggior ragione se strutturale. Tajani la ha spuntata a metà. Un aumento reale del 2% sull’Irap c’è e si può capire perché Giorgetti affermi che “banche e assicurazioni non saranno contente anche se ritengo che gli interventi siano assorbibili”. In compenso l’intervento sugli extraprofitti è facoltativo. Saranno le banche stesse a decidere se “liberare le riserve poste a capitale con un’aliquota più vantaggiosa o no”. L’aliquota scenderebbe dal 40 al 27% ma lo stesso ministro ammette che “il rischio che queste risorse non arrivino c’è sempre”. Per il resto, si tratta di prestiti che lo Stato dovrà restituire.
Banche e assicurazioni non sono uscite indenni come l’anno scorso ma hanno limitato il danno e Giorgia Meloni riconosce “il principio” impugnato da Tajani con la richiesta di evitare la tassa. Il forzista brinda. La Lega, principale paladina della tassa, non è troppo scontenta. Abi tace e probabilmente farà finta di averla presa male ma in realtà alle banche è andata ancora una volta di lusso. In cambio di un cedimento quasi totale, il Carroccio porta a casa la rottamazione delle cartelle: senza includere le omesse denuncie, con rate bimestrali tutte uguali, anche la prima, spalmate su nove anni. Per chi oscilla sul confine della povertà o lo ha oltrepassato la misura è di impatto inesistente. Il cuore della manovra è la riduzione dello scaglione Irpef dal 35 al 33% per i redditi da 28mila a 200mila euro. È un intervento, dal costo di 9 miliardi in 3 anni, a misura di ceto medio, che ha i suoi guai e rappresenta la spina dorsale dell’elettorato di centrodestra. Ma anche in questo caso sul nodo dei salari più bassi e più sperequati d’Europa il governo ha chiuso entrambi gli occhi.
Lo stanziamento per i salari e il “lavoro povero” è di 1,9 miliardi che dovrebbero servire a detassare i premi di produttività e a spingere verso i rinnovi contrattuali per i redditi sotto i 28mila euro. Dire una goccia nel mare sarebbe dire troppo. L’aumento sulle pensioni minime è appena meno beffardo di quello del 2024: dai 6 euro di allora ai 20 di oggi. Sul fronte nevralgico della Sanità dovrebbe arrivare qualche assunzione di infermieri e medici ma non certo nella misura prevista alla vigilia. Si parlava di 30mila nuove assunzioni, sono scese a 6300 infermieri più un migliaio di medici. I sostegni alla famiglia per quanto modesti non possono mancare: sono una bandiera politica.
Brutta sorpresa per i fumatori: le sigarette aumenteranno ancora. Ma il ministro dell’Economia, senza entrare nei particolari, promette che saranno contenuti. La manovra “seria ed equilibrata che risponde alle esigenze di famiglie e imprese” di cui parla Giorgia è tutta qui e per ovviare al disastro denunciato da Sergio Mattarella non serve a niente. Neppure sul piano delle indicazioni e dei segnali politici.