Alla Festa del cinema di Roma

Festa del Cinema di Roma, ecco Eddington il nuovo film di Ari Aster

Commedia e cinema dell’orrore si fondono insieme in una pellicola che, come chiosa il regista di “Midsommar” e “Hereditary”, “ride per non piangere del circo americano cui è ridotta la società a stelle e strisce di oggi”

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

17 Ottobre 2025 alle 17:00

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AP Photo/Chris Pizzello
AP Photo/Chris Pizzello

Dal Festival di Cannes all’anteprima nazionale italiana prima dell’uscita in sala, oggi 17 ottobre con I Wonder Pictures, Eddington, il nuovo film di Ari Aster, arriva alla Festa del Cinema di Roma nella sezione non competitiva Best of Fest. Se Hereditary e Midsommar esploravano, attraverso l’horror, il dolore e l’elaborazione del lutto e in Beau ha paura la paura si confrontava con il demone dell’ansia, Eddington è a tutti gli effetti un horror sociale, un film che porta Aster ad analizzare l’America del suo tempo, senza giudizio ma con schiacciante lucidità.

Siamo nel maggio 2020, in una piccola cittadina del New Mexico e sullo sfondo della pandemia (a cui nessuno vuole veramente credere) si consuma lo scontro tra lo sceriffo locale, interpretato da Joaquin Phoenix e il sindaco, cui dà volto e guizzi Pedro Pascal. La cittadina si trasformerà presto in una polveriera pronta a esplodere in un’escalation di tensione, dove la comunità si frantuma in fazioni contrapposte e diffidenza e paura prendono il sopravvento. Tra colpi di scena, “poca” distopia e tanta realtà, Aster mette in scena le contraddizioni del suo Paese, in cui il sogno americano non solo è scomparso ma si è addirittura rovesciato.

Chiarisce Aster fin dalle sue note di regia: “Più di ogni altra cosa, il film è guidato dall’assurdità di tutto ciò che è emerso da quell’estate e dai cinque anni che sono seguiti. Eddington si presenta come una commedia dark, perché, dopotutto, se non si riesce a ridere del circo americano di oggi, si finisce sicuramente per piangere. Non fraintendetemi: non penso che nulla di ciò che sta accadendo in questo momento sia divertente, ma è tutto assurdo. Volevo realizzare un film che rispecchiasse il paese in cui viviamo, senza necessariamente demonizzare o esaltare nessuno. Spero che sia democratico, nel senso che dà lo stesso peso a tutti gli strumenti di questa cacofonia”. Il regista si è creato un seguito di fan grazie ai suoi film più horror, dissacranti come Midsommar che, all’uscita, creò non solo un acceso interesse per la festa svedese di mezza estate ma anche per l’abbigliamento e la moda dettata dal film: l’abito di fiori indossato da Florence Pugh fu addirittura battuto all’asta per 65 mila dollari. Si può immaginare dunque l’aspettativa che un film di Aster genera ultimamente sul suo target. Cosa ci si aspetta da lui? Che prosegua il filone horror o che continui a sperimentare come nel caso di Eddington?

In un incontro stampa a Roma con pochi fortunati, Ari Aster risponde a questo interrogativo per poi spaziare sulle intenzioni del suo ultimo film: “Non so assolutamente cosa vogliano i miei fan o cosa cerchino da me, anche perché se mi muovessi in questo modo, se facessi così, sarebbe estremamente paralizzante. Io non inizio una storia o non inizio a fare un film partendo da un genere, pensando a quale genere voglio affrontare: in realtà parto da un soggetto, da un personaggio o magari da un’immagine che mi interessa e che voglio seguire, e poi decido qual è il percorso migliore o il contenitore migliore per portare alla luce quello che desidero realizzare. In Beau ha paura quello che cercavo era un particolare tono, e il mondo che ho costruito è questo mondo da incubo, da fumetto. Ed è vero che è collegato a un tema di natura esistenziale, ma poi, in fin dei conti, quello che volevo fare era riuscire a ridere, far ridere me stesso. Con Eddington invece volevo parlare dell’America, della condizione della politica americana, della cultura americana; volevo che il film fosse sulla politica, e non un film politico, se capite cosa intendo dire. Perché la sensazione che avevo è che, se avessi fatto un film di parte, prendendo posizioni, argomentando cosa è giusto o cosa è sbagliato, fermo restando che ho delle chiare posizioni e so bene quali sono le mie idee politiche, un film di questo tipo sarebbe stato troppo ristretto, troppo limitato, e non avrebbe affrontato l’elemento fondamentale che invece mi interessa: il fatto che non riusciamo in nessun modo a incontrarci, a venirci incontro. Ci sono persone nella mia vita che hanno una visione politica completamente diversa dalla mia, e loro sanno che io non sono una cattiva persona, io so che loro non sono cattive persone. Però, e questo spezza il cuore, non si riesce a incontrarsi, a trovare un punto di incontro. E credo quindi che raccontare queste cose in questa maniera, con questo film, mi sia sembrato il modo migliore per affrontare la questione”.

Il 25 settembre al cinema con Warner Bros è arrivato il nuovo film dell’acclamato e amatissimo Paul Thomas Anderson, Una battaglia dopo l’altra. Racconta del rivoluzionario in declino Bob (DiCaprio), ormai in uno stato di paranoia confusa, che sta sopravvivendo ai margini della società insieme alla sua vivace e indipendente figlia Willa. Quando, dopo sedici anni, il suo acerrimo nemico (Penn) riappare e Willa scompare, l’ex militante radicale si lancia in una disperata ricerca. Dall’America è arrivata la voce che Una Battaglia dopo l’altra ed Eddington si assomiglino nelle intenzioni, nel ritratto di una società americana in declino e in contraddizione.

Da fan di Paul Thomas Anderson, Ari Aster commenta l’assonanza: “L’ho visto e mi è piaciuto moltissimo, sono un suo fan. Credo che i due film siano molto diversi, e che il suo film sia particolarmente attuale, veramente del tempo presente, il che sorprende, considerato che ci ha lavorato per vent’anni. Probabilmente, se questo film fosse uscito due anni fa, non sarebbe stato così pertinente e rilevante per il momento storico che stiamo vivendo. Quindi, da un punto di vista della tempistica, sicuramente è stato magico il momento in cui è uscito. Posso dire che il suo film è più speranzoso, ha qualche speranza in più, come se andasse alla ricerca di una ricetta, di una soluzione per quello che è il momento, mentre Eddington è più il film della diagnosi: punta il dito su quello che è il problema. Ma, come ho già detto mi sembra veramente impossibile riuscire a immaginare ed elaborare quella che potrebbe essere una via di uscita. L’obiettivo di Eddington è quello di lasciarvi su un terreno un po’ più ballerino, un po’ meno solido”.

17 Ottobre 2025

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