Il professore emerito
Intervista a Beppe Vacca: “Anche nel piano per Gaza c’era scritto America first”
«Trump dà una mano a Israele, molto isolato e delegittimato, a condizione che le finalità e i limiti della guerra permanente vengano stabiliti dagli Stati Uniti»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Beppe Vacca è professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, già direttore dell’Istituto Gramsci, più volte parlamentare del Pci. In libreria il suo ultimo libro: Astratti furori e senso della storia. Politica e cultura nella sinistra italiana 1945-1968 (Viella Editore).
Professor Vacca sulla tragedia di Gaza si sono cimentati in tantissimi, ma in pochi hanno provato ad andare oltre la superficialità e la partigianeria. Come fondare una riflessione più seria e approfondita?
Forse si può partire dalla narrazione alternativa sul secondo dopoguerra proposta da Xi Jinping, quando lui insiste sul fatto che la Seconda guerra mondiale è una guerra antifascista, ma che, come tale, non è cominciata con l’invasione della Polonia da parte di Hitler. È cominciata con l’invasione della Manciuria e l’inizio della “Lunga marcia”, cioè con la formazione dell’Esercito popolare di Mao contro i sostenitori della Cina nazionalista, in primis gli Stati Uniti. Il presidente cinese dice una cosa che ci induce a riflettere…
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Vale a dire?
Beh, su come noi abbiamo un’altra narrazione e se essa regge oppure no.
E qual è questa narrazione, professor Vacca?
Che la Seconda guerra mondiale è iniziata in Europa con l’invasione della Polonia da parte delle armate del Terzo Reich, cioè di un regime apertamente razzista e quindi con l’eccidio degli ebrei in Europa. Questo è vero e non è vero. Perché bisogna capire cosa voglia significare isolare il tema dell’eccezionalità della Shoah e raccontare, come ormai avviene prevalentemente sui media, che la liberazione dell’Europa comincia con il D-day e lo sbarco in Normandia, ignorando che lo sbarco in Normandia è reso possibile dal fatto che, un anno prima, l’Unione Sovietica di Stalin aveva sconfitto, in maniera radicale, la Germania nazista. C’è prima Stalingrado. Senza Stalingrado non si capisce lo sbarco in Normandia. Questo vuol dire che la visione della Seconda guerra mondiale che noi finiamo per assumere, è ancora una volta una visione eurocentrica; una visione che poi trova la sua sistemazione con le bombe di Hiroshima e Nagasaki e con la costituzione di un bipolarismo fondato sulla corsa agli armamenti e sull’equilibrio del terrore atomico, che riguarda però l’emisfero Nord del mondo, i rapporti Est-Ovest, mentre in realtà fin dal ’45-’46, e in particolare dal ’49, cioè quando Mao Tse Tung entra con l’Esercito popolare a Pechino, il mondo non è bipolare. Il mondo è già multipolare. Porre tutta l’enfasi sull’eccezionalità della Shoah ha come conseguenza il fatto di considerare la Germania il principale responsabile della Seconda guerra mondiale. E già su questo andrebbero fatte le necessarie puntualizzazioni…
Quali?
Intanto nel narrare quello che Hitler fa, cioè prima consolida un potere straordinario, costruisce uno Stato genocida e poi procede con lo sterminio degli ebrei come aveva già annunciato nel Mein Kampf, si omette che chi ha favorito Hitler nella sua ascesa al potere, sono stati gli inglesi e gli americani. Quello è un capitolo, visto in un arco più lungo, di una russofobia come stigma prevalente del cosiddetto Occidente, con la progressiva sostituzione degli Stati Uniti all’Europa come player prevalente. Dovremmo ragionare invece in termini di responsabilità dei vincitori della Seconda guerra mondiale in rapporto all’ordine mondiale che ne è derivato. E qui torniamo all’eccezionalismo della Shoah e ciò che ne è conseguito.
A cosa si riferisce?
A come nasce lo Stato d’Israele…
E come nasce, professor Vacca?
Senza affrontare il problema del popolo palestinese. E questo ha fatto sì che poi, vivendo lo Stato d’Israele in una condizione di guerra permanente con una parte del mondo arabo-islamico, esso ha finito per assumere una postura sulla scena internazionale sempre più illegale.
Affermazione forte…
Sarà pure forte, certamente è storicamente fondata. Quante sono le risoluzioni dell’Onu di cui lo Stato d’Israele, quali che fossero i suoi leader, non ha mai tenuto conto? E chi gli ha consentito di poter ignorare la funzione delle Nazioni Unite?
Domande appropriate. La sua di risposta?
La sostanziale refrattarietà degli Stati Uniti a riconoscere la sovranazionalità. Per non farla troppo lunga, parliamo della prima guerra del Golfo. Inizialmente legittimata dalle Nazioni Unite e poi, oltre questa legittimazione, dall’unilateralismo americano che invece si basava su un’altra narrazione.
Quale narrazione?
La Guerra fredda era finita ed era finita con un vincitore e dei vinti, il quale vincitore, sostanzialmente, dettava un ordine mondiale secondo un criterio puramente unilateralista, fondato sulla preponderanza del potere militare e tecnologico degli Stati Uniti. E ancora adesso, se guardiamo a questo ultimo piano su Gaza, il principio è lo stesso.
Il “piano-Trump”. Come rientra in questo scenario da lei tratteggiato? L’accettazione della sua prima parte è comunque un colpo messo a segno dal tycoon.
Israele, come è noto, è uno Stato interamente sostenuto e dipendente dagli Stati Uniti, anche se ha raggiunto una potenza per cui non è una semplice appendice, il 51° stato della bandiera a stelle e strisce. Nell’ottica della strategia generale di Trump, con questo piano, il presidente americano da un lato dà una mano a Israele, ormai molto isolato e delegittimato a seguito del genocidio di Gaza, assumendosi al tempo stesso il compito di tenere strettamente legato Israele alla potenza americana, a condizione che le finalità e i limiti della guerra permanente che Israele non può fare a meno di fare nell’ordine dato, vengano stabiliti dagli Stati Uniti. Da un lato ti offro una mano, dall’altro cerco di ricondurti a limiti che riguardano il tipo di guerra e i suoi obiettivi che però li fisso io. La prova ne è che nei venti punti del cosiddetto “Piano Trump” non è prevista la soluzione politica della questione palestinese, cioè se, quando e dove i palestinesi potranno avere un loro Stato. Questo ne fa anche l’estrema fragilità, ma spiega anche quale sia la razionalità di questo piano e più in generale della presidenza Trump.
E quale sarebbe questa razionalità?
L’America tratta in prima persona con tutti, secondo criteri bilaterali, nell’interesse prioritario, se non assoluto, degli Stati Uniti. “America first”. Nello stesso tempo, moltiplica gli elementi di guerra economica globale o comunque ne moltiplica i teatri e gli scenari. Il criterio è che l’America, con i dazi e le sanzioni, decide unilateralmente il prelievo delle ricchezze altrui con le quali dovrebbe sostenere quel che rimane della relativa priorità del dollaro come moneta di riserva. Con una strategia impossibile…
Perché impossibile?
Perché ormai anacronistica. Perché si affida agli Stati Uniti una potenza economica-competitiva di un’altra epoca, che tralascia totalmente un fatto fondamentale…
Quale?
Negli ultimi venti anni almeno, con la Cina nel Wto e dopo la crescita esponenziale della potenza cinese e dopo la nascita di un asse strategico fortissimo tra Russia e Cina per provare a dettare un ordine mondiale diverso, fondato sull’emersione dell’Asia come centro fondamentale del mondo, la strategia di Trump non sembra realistica. Come fa a restituire questa potenza agli stati Uniti? È come provare a rimettere il dentifricio nel tubetto, soprattutto con una strategia a cui non corrisponde la realtà interna degli Stati Uniti, giunti, invece, ad una situazione di crisi di prospettiva ma anche di crisi dirigente, per cui non sono in grado di seguire a dettare una nuova agenda mondiale.
In questo scenario globale, l’Europa esiste ancora?
Il problema è che l’Europa si è concepita come quella parte dell’Occidente che si giovava dell’alleanza con il senior partner, gli Usa, dal punto di vista della sicurezza, il che l’ha indubbiamente aiutata molto nel giocare le proprie carte per poter raggiungere un enorme potenziale competitivo in termini economico-strategici, senza assumersi in prima persona il tema della difesa. Ora questo paradigma è saltato e l’Europa è nuda.
Per tornare al piano-Trump, anche alla luce di questa sua ultima considerazione.
Così come nel piano-Trump non c’è una ipotesi che riguardi la sistemazione della questione palestinese, c’è invece il permanere di un antagonismo con l’Europa rispetto alla quale quello che rivendica Trump è di trattare in prima persona i conflitti strategici. Lo stesso discorso che fa con Putin per l’Ucraina: con Zelensky ci penso io. D’altro canto, Trump non può utilizzare lo schermo europeo in funzione delle strategie globali degli Stati Uniti, per il semplice fatto che lo schermo europeo non esiste, perché il progetto di Maastricht si è fermato entro i limiti di una competizione economica e non ha mai dato luogo ad una soggettività politica, con una Germania che non ha mai oltrepassato, nella competizione economica internazionale, il limite che le veniva dal fatto di non potere e non volere assumere in prima persona un conflitto geostrategico generale con gli Stati Uniti.
Il popolo palestinese è condannato ad essere occupato in eterno o ad essere eterodiretto da attori esterni che tutto hanno a cuore meno la sua causa?
Questo è il problema. Questa è la ragione della “fortuna” di Hamas, che noi non affrontiamo. Continuiamo a dire che quelli sono terroristi, che sono dei tagliagole. Quelli sono un qualcosa che trova forza dalla disperazione del popolo palestinese. Nella situazione attuale non si capisce chi possa ridimensionare il diffondersi del rischio della Terza guerra mondiale, già in atto, e soprattutto evitare che diventi una guerra atomica, essendo stati previsti negli ultimi venti anni dispositivi termonucleari di teatro proprio per rendere “possibile” la guerra atomica, in conseguenza della mancata soluzione dei problemi fondamentali ereditati dalla fine del mondo bipolare da parte degli americani, dei russi ed anche dei cinesi. Le narrazioni che grazie alla divisione del lavoro in Occidente decisa da Bretton Woods, i media propongono, propagando una logica ormai insostenibile, che attribuisce all’Occidente, che non c’è più come unità politica e quindi sostanzialmente agli americani, di decidere come, mutatis mutandis, avvenne subito dopo la Seconda guerra mondiale, la statura morale dei nemici, come avvenne a Norimberga per la Germania, mettendo da parte le responsabilità di chi l’aveva sostenuta la Germania di Hitler, nella prospettiva che si scaricasse interamente sulla Russia. Cosa che avvenne. Ma fu la Russia a sconfiggere Hitler prima che avvenisse lo sbarco in Normandia. Certo con il sostegno economico fondamentale degli Stati Uniti ma soprattutto con i suoi 23 milioni di morti.