L'ex magistrato torna sulla presunta colpevolezza

Sofri e l’omicidio Calabresi, Travaglio e Violante evocano “certezze” ma la sentenza resta ancora oggi tutt’altro che solida

A suo tempo Violante aveva sostenuto che le sue convinzioni poggiavano su una “fonte non ostensibile”, cioè che non si poteva convocare come testimone al processo. Ma alla domanda di quale fosse quella fonte aveva risposto di non saperlo.

Giustizia - di Guido Viale

11 Luglio 2025 alle 09:00

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Foto collage Imagoeconomica
Foto collage Imagoeconomica

Con una lettera alla rubrica tenuta su Repubblica da Francesco Merlo, Adriano Sofri ha chiesto a Luciano Violante, appena reclutato per spiegare la Costituzione in una trasmissione televisiva affidata a Pierluigi Diaco, se ora, per motivi di età (“si fa tardi”...), giunto al crepuscolo della sua carriera giudiziaria-politica-imprenditoriale, come molti di noi sono giunti al crepuscolo della loro più modesta esistenza, non sia arrivato per lui il tempo di spiegare l’origine delle sue certezze circa la colpevolezza di Sofri nell’omicidio del commissario Calabresi. A suo tempo Violante aveva sostenuto che le sue convinzioni poggiavano su una “fonte non ostensibile”, cioè che non si poteva convocare come testimone al processo. Ma alla domanda di quale fosse quella fonte aveva risposto di non saperlo.

Ora Sofri chiede a Violante di dire, se non quale fosse la fonte, per lo meno, da chi lo fosse venuto a sapere. Ma Violante non dice nemmeno questo. Intervistato per Repubblica da Annalisa Cuzzocrea: “La persona che me ne ha parlato – risponde – mi vincola alla riservatezza”. Non è difficile però risalire, almeno per qualche tratto, a quella fonte, perché di prova non ostensibile aveva già parlato anche Marco Travaglio sul Borghese, rivista di chiara impronta fascista, diretta allora da Mario Tedeschi, indiziato, ma non processato perché deceduto, come uno degli organizzatori della strage alla stazione di Bologna. Secondo la versione fornita da Travaglio, subito dopo il suo arresto, Ovidio Bompressi, accusato di essere, su incarico di Sofri, il killer del commissario, avrebbe confessato (sarebbe “crollato”), ma avrebbe poi ritrattato dopo un incontro in carcere con Marco Boato. Naturalmente, senza che di queste giravolte fosse rimasta la minima traccia nei verbali.

In due confronti pubblici che ho avuto successivamente con Travaglio, gli avevo chiesto anche io di rivelare quale fosse la fonte di questa insinuazione così pesantemente asserita, ma Travaglio si era trincerato anche lui dietro la “riservatezza”. Comodo! In questo modo, due personaggi con un indubbio peso – uno in qualità di ex presidente della Camera ed ex magistrato, l’altro in quella di giornalista – nell’orientare l’opinione pubblica, ma anche il clima in cui si è svolto un processo lungo più di dieci anni, condizionando per forza di cose magistrati e giudici popolari, hanno per così dire gettato il sasso e nascosto la mano. Quella insinuazione non è, peraltro, che il contenuto di una lettera anonima di un “sincero comunista”, recapitata a Franca Rame nel periodo in cui Dario Fo stava lavorando (insieme a me e ad altri) alla stesura della pièce Marino libero! Marino è innocente!, per cercare di bloccare quel progetto. Quindi, per quanto se ne può sapere, all’origine di quelle certezze non c’è che un anonimo ”sincero comunista”. Ma sia Travaglio, che lo ribadisce almeno una volta al mese nei suoi editoriali, che Violante (“la sentenza si basa sui fatti, non su opinioni”), si dicono certi della colpevolezza di Sofri. E quanto sia fondata questa certezza lo dimostra quanto su quel processo ho cercato di riassumere, utilizzando note e scritti di Sofri molto più precisi e documentati dei miei nel mio libro Niente da dimenticare (Interno4 edizioni, 2023).

I “fatti” evocati da Violante non sono che le dichiarazioni cambiate più volte di Marino, il “pentito”, la cui versione dell’attentato è stata contraddetta da tutti i testimoni oculari. I quali, al volante dell’auto che Marino dice – dopo settimane di colloqui segreti con i carabinieri – di aver guidato, avevano invece visto una donna bionda, mentre Marino all’epoca aveva un cespuglio nero sulla testa e due baffi immensi. Sulla base delle dichiarazioni dei testimoni e della ricostruzione della polizia all’epoca, a sparare sarebbe stata invece una persona scesa da un’auto in coda, che poi vi sarebbe risalita per proseguire nello stesso senso di marcia. Per annullare quelle testimonianze, la pubblica accusa aveva fatto cambiare completamente a Marino la scena dell’omicidio: lo sparatore (Bompressi) avrebbe a lungo atteso il commissario accanto al suo portone, per poi seguirlo quando ne era uscito, sparargli in testa e poi salire sull’auto con cui Marino lo avrebbe raggiunto in retromarcia in mezzo al traffico, dopo aver a lungo sostato al volante due numeri civici avanti. Sulla base di questa versione priva di alcun riscontro (i “fatti” di Violante) è stata salvata la presenza di Marino al volante e la colpevolezza di Sofri.

Ebbene, Travaglio, che giura sulla sua colpevolezza, anni dopo si è completamente dimenticato di come sia stata raggiunta quella certezza e riprende senza nemmeno accorgersene la versione autentica – peraltro tranquillamente ripresa anche nel docufilm su Mauro Rostagno fatto da Saviano – che è incompatibile sia con la presenza di Marino che con la colpevolezza di Sofri. E scrive: “il commissario viene raggiunto alle spalle da un killer sceso da una 125 blu” (il Fatto 19.05.2022).
Marino ha sempre escluso di aver indossato una parrucca, mentre un giudice di Brescia, per avvalorare il suo racconto e respingere l’istanza di revisione, aveva scritto che i testimoni potevano aver confuso i baffi neri di Marino con i capelli biondi di una donna.

11 Luglio 2025

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