Dal 3 al 6 luglio l'evento
Popsophia, nell’epoca della Retromania anche il futuro è un revival
La cultura contemporanea ha smesso di innovare e la nostalgia ha infettato tutto: il cinema, la tv, la moda, il design. Non sono veri ricordi, ma paradisi artificiali che limitano la nostra autonomia di giudizio
Cultura - di Lucrezia Ercoli

“La nostalgia non è più quella di un tempo” (Simone Signoret)
La nostra è l’epoca della Retromania, come l’ha definita Simon Reynolds in un saggio memorabile del 2011 (ripubblicato in Italia da Minimum Fax). Tutte le novità artistiche, scriveva Reynolds, ri-mandano ad altro, tra revival, ristampe, remake, ricostruzioni. I migliori artisti ripensano o riproducono arte precedente, i nuovi miti sono una rivisitazione dei miti passati. Sono gli anni del “riciclaggio rampante: generi d’antan rivitalizzati e rinnovati, materiale sonoro d’annata riprocessato e ricombinato”.
La nostalgia ha infettato tutto: dal remake cinematografico al techetechetè televisivo, dal vintage modaiolo al design retrò. Non c’è nuova produzione culturale che non sia un reboot, non c’è nuovo fenomeno che non sia una citazione del già detto o un omaggio al già visto. L’immaginario pop è immerso in un mare di nostalgia: un eterno presente in cui il passato è sempre di moda. Viviamo in una iperstasi. Da un lato una quantità incredibile di cambiamenti che modificano la vita sociale, dall’altro una standardizzazione culturale che sembra piegata su una nostalgia incapace di dar vita a qualsivoglia novità. E siccome l’immaginario collettivo è formato dall’industria culturale che, a sua volta, si plasma sull’immaginario collettivo che essa stessa contribuisce a creare, non si esce dal circolo vizioso della nostalgia. L’immaginario nostalgico recente condiziona l’industria culturale che ci restituisce una nostalgia potenziata che plasma l’immaginario successivo. Lo dice bene Grafton Tanner nel suo Nostalgoritmo. Politica della nostalgia (Edizioni Tlon) in cui dimostra come gli algoritmi, addestrati sui nostri comportamenti abituali e sui nostri gusti pregressi, tendano a “raccomandarci cose da noi riconoscibili”. Nessuna novità, solo “derivati delle cose che ci piacciono, cose vecchie e familiari”. Siamo consumatori compulsivi di nostalgia.
Il “nostalgismo” contemporaneo, lungi dal liberare i nostri più intimi e autentici ricordi, costruisce paradisi artificiali che limitano la nostra autonomia di giudizio sul passato e sul presente. La cultura di massa e i dispositivi elettronici hanno reso seriale la produzione di nostalgie prêt-à-porter, di paradisi perduti a portata di clic, istantanei e consumabili. Il nuovo millennio ci ha confinato in un sempiterno revival. I dispositivi elettronici, lungi dal condurci nel futuro digitale, sono perfette macchine del tempo, congegni nostalgici costantemente orientati al passato perduto, sempre pronti a farci rimpiangere la scomparsa dell’età dell’oro in cui regnavano felicità e spensieratezza. Con un filtro color seppia o una reference anni ’80, guardiamo il futuro con gli occhi rivolti all’indietro. Se il XX secolo era iniziato con un’epidemia di futuro, il XXI si è aperto con un’epidemia di passato. Il Novecento “sfidava le stelle” con i futuristi e correva spedito verso le “magnifiche sorti e progressive”, il nuovo Millennio gira il volto all’indietro, con gli occhi lucidi di nostalgia.
Il sociologo Zygmunt Bauman, nel suo libro-testamento pubblicato postumo, ha usato il termine ‘retrotopia’ per descrivere il contemporaneo proliferare di utopie nostalgiche che vorrebbero recuperare il passato – reale o immaginario non importa – per proteggersi dalle incertezze di un futuro sempre più imprevedibile.
La nostalgia, da sempre, è il sentimento dominante della crisi. Quando il presente è opaco e il futuro incerto, quando i cambiamenti sono troppo repentini e disorientanti, ci si tuffa nella geometria invariabile della nostalgia che ricostruisce un passato idilliaco, seleziona i ricordi positivi, sfronda i dettagli dolorosi, rinsalda le radici sicure. Un rassicurante ritorno indietro è l’unico modo per esorcizzare il terrore del mutamento. Ma, oggi, i nostri ricordi sono mediati da dispositivi tecnologici che rendono l’antico dolore (algos) per il ritorno (nostos) un sentimento riproducibile e replicabile, i media sono estensioni della nostra memoria che archiviano i nostri ricordi alimentando la dipendenza nostalgica da un passato sempre più recente.
I social ci invitano a condividere ricordi, a ripostare vecchie foto, in un virtuale amarcord collettivo. La nostalgia non è più un affare privato, si mostra quotidianamente a un pubblico sempre più ampio nel diario personale rappresentato dal nostro profilo digitale. E l’idea stessa di memoria – che originariamente era connessa all’oblio e alla rimozione – è completamente mutata: il passato è a nostra totale e immediata disposizione. Tutto il passato, anche quello mai vissuto, anche quello mai esistito, anche quello mai sognato: la nostalgia si estende ben oltre la nostra esperienza. Possiamo sfuggire alla sensazione di vivere in un film che abbiamo già visto? Possiamo essere protagonisti di questo destino ciclico ritrovando la capacità di produrre novità all’interno della ripetizione o siamo costretti a essere comparse di un sempiterno remake?