Il Consiglio europeo dell'inconcludenza

Dazi: l’Europa litiga e decide di non decidere, l’Unione divisa fa il gioco di Trump

Merz e Meloni bloccano lo stop agli accordi con Israele e fanno gli avvocati di Trump: il risultato è che su guerra e tariffe si vedrà in futuro...

Politica - di David Romoli

28 Giugno 2025 alle 07:00

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Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Retorica e propaganda a parte, la realtà s’impone da sé: di fronte all’attacco di Trump, il cui obiettivo conclamato è sfondare e dividere l’Unione, gli assediati, al secolo i Paesi europei, si presentano più che mai divisi. Rischiano pertanto di finire come i proverbiali polli di Renzo.

La divisione è a tutto campo. Una sessione del Consiglio europeo che avrebbe dovuto avere importanza quasi storica si è conclusa con una serie di rinvii proprio perché le divisioni tra i principali Paesi europei non permettevano altro. Anche gli Usa sembrano avviati a rinviare la scadenza dell’ultimatum sui dazi, dal 9 luglio al Labor Day. Allo stesso tempo però avanzano una proposta molto vicina al capestro, che trova ancora una volta l’Unione spaccata. Gli americani sono pronti a portare i dazi al 10%, riallineando anche quelli su acciaio e alluminio, attualmente al 50% e quello sulle auto, al 25%. In cambio però chiedono che non ci sia reciprocità, cioè che la Ue non ponga a propria volta dazi del 10%. Vogliono inoltre garanzie per la tutela delle aziende Big Tech e l’impegno a comprare gas e combustibile nucleare americano. Al pacchetto si aggiunge, sia pure implicitamente, l’acquisto di armi. Gli Usa prevedono che la produzione europea non basterà a coprire l’innalzamento della spesa militare Nato e che di conseguenza i Paesi Ue dovranno rivolgersi alle aziende Usa.

Germania e Italia sono favorevoli ad accettare in linea di principio salvo poi trattare per ammorbidire la posizione di Trump, la cui attitudine al Suq è nota. Il francese Macron insiste per la linea dura: se devono essere tariffe al 10% siano, ma in questo caso simmetriche, cioè con dazi reciproci al 10%. Non è questione ideologica: Germania e Italia sono i Paesi di gran lunga più penalizzati dai dazi attuali su acciaio e automotive. La guerra costerebbe a Merz e Meloni molto più che a Macron. Sul riarmo l’ordine è sparso. La Francia chiede che le spese folli decise dal vertice Nato dell’Aja siano coperte da eurobond, insomma dal debito comune europeo. Dall’Italia l’ex ministro e presidente di commissione Giulio Tremonti dà ragione al francese: l’unica via d’uscita sono gli eurobond. La Lega la pensa all’opposto: “Gli eurobond non li accetteremo mai”. L’Italia avrebbe dunque bisogno di una sorta di terza via, gli investimenti privati garantiti dalla Ue, che è in effetti stata inserita nel pacchetto delle opzioni possibili. Discussione importante ma al momento virtuale. Sul debito comune c’è il fermissimo no tedesco. Tutto rinviato al mese prossimo ma senza che le posizioni si siano per il momento neppure avvicinate.

A fermare le sanzioni contro Israele proposte dalla Spagna e accettate dalla maggioranza degli Stati membri sono state l’Italia e la Germania, molto vicine per la prima volta a formare una specie di fronte comune. Anche di quelle si riparlerà a luglio ma a Roma sono convinti di riuscire ancora a fermare soprattutto la denuncia dell’accordo commerciale Ue-Israele. Sull’Ucraina molte e altisonanti parole ma ben poco di fatto. Il diciottesimo pacchetto di sanzioni è fermo al palo, bloccato dal no di alcuni Paesi. È vero che sono state confermate le sanzioni precedenti, vicine a scadere ma non è quel che si aspettava Zelensky e soprattutto non è quello che prometteva l’Unione. Si vedrà in luglio.

Non è certo la prima volta che la Ue arriva divisa a un appuntamento decisivo. Eccezionale è casomai la circostanza opposta che infatti si è verificata una sola volta, con il Covid. La mediazione tra i contrastanti interessi dell’Unione più disunita della storia è sempre lunghissima e spesso non riesce. Diverse, stavolta, sono però le circostanze. Quel che Donald Trump non nasconde di volere è una trattativa con l’Europa Paese per Paese, che sarebbe il preludio al dissolvimento dell’Unione. L’incapacità dell’Unione di uscire, nonostante l’emergenza, dall’eterno circolo vizioso degli interessi nazionali contrastanti rischia di offrire a Trump la vittoria che ha mancato nella trattativa con la Cina e in quella col Canada su un piatto d’argento.

 

28 Giugno 2025

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