La riforma sulla cittadinanza
Referendum sulla cittadinanza, cosa cambia con il sì
Non si tratta solo di un voto per riconoscere diritti a chi non li ha. La riforma proposta dal referendum fa evolvere la società accompagnando e supportando processi già in atto. È un’occasione di crescita per il nostro Paese che rischia il declino
Politica - di Gianfranco Schiavone

Per comprendere l’importanza del referendum cittadinanza sulla società italiana è essenziale esaminare i dati che ci provengono dagli studi sociologici e statistici. Il 30esimo rapporto dell’ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) sulle migrazioni relativo all’anno 2024 nel primo capitolo curato di Gian Carlo Blangiardo evidenzia in riferimento ai dati del censimento 2021 (leggermente datati, ma gli unici adatti a fornire una base adeguata per l’analisi condotta da ISMU) come, appunto nel 2021, la popolazione censita in Italia fosse di 59 milioni e 30mila residenti di cui 54 milioni cittadini italiani (91,5%) e 5 milioni e 30mila stranieri (8,5%).
ISMU conduce un’interessante analisi che permette di quantificare la popolazione residente nei seguenti sei sottogruppi: 1) i cittadini italiani dalla nascita e nati in Italia: 51 milioni e 693mila (87,6%); 2) i cittadini italiani dalla nascita e nati all’estero: 899mila (1,5%); 3) il gruppo ancora modesto, ma crescente in prospettiva, formato dai nati in Italia con cittadinanza straniera che hanno successivamente acquisito quella italiana: 323mila (0,5%); 4) il gruppo dei nati all’estero con cittadinanza straniera che sono immigrati e hanno acquisito la cittadinanza italiana: un milione e 84mila (1,8%); 5) i nati in Italia e tuttora cittadini stranieri: 853mila (1,4%); 6) gli immigrati cittadini stranieri nati all’estero: 4 milioni e 178mila (7,1%). Come si può vedere i cinque gruppi rappresentati dalle situazioni indicate dal punto 2 a punto 6 rappresentano il 12,4% del totale dei residenti censiti. Il medesimo studio ISMU mette in evidenza come tra il 2021 e il 2023 l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione a seguito di lunga permanenza da parte di cittadini non UE rappresenta in modo costante la motivazione di gran lunga prevalente rispetto alle altre (matrimonio, elezione, trasmissione ius sanguinis) con un record di 86mila nuove cittadinanze nel 2022, e una contenuta diminuzione nel 2023. Non meno significativo risulta il dato rappresentato da circa 60mila nuove cittadinanze nel 2022 per trasmissione ai minori a seguito della cittadinanza acquisita dai genitori.
Quante persone oggi straniere, acquisiranno la cittadinanza in caso di vittoria del referendum? Uno studio di IDOS di maggio 2025 sui dati ISTAT evidenzia che il numero di stranieri non UE che a inizio 2024 (dati ISTAT) soggiornano in Italia con un permesso di lungo periodo e godono di una condizione reddituale abbastanza stabile si attesta sui 2 milioni e 139mila. Da questa platea di potenziali nuovi cittadini è ragionevole decurtare una larga percentuale di coloro che sono cittadini di paesi di origine che non ammettono la doppia cittadinanza (rappresentati in Italia da alcune rilevanti comunità come quella cinese, indiana e ucraina). Parimenti va considerato il costante aumento tra gli stranieri (come tra gli italiani) della precarietà economica e lavorativa, quando non della caduta in povertà; ciò impedisce, nonostante il trascorrere degli anni, l’accesso alla cittadinanza (quella del censo è una problematica molto seria sulla quale il quesito referendario non incide e che bisognerà affrontare appena possibile con un intervento correttivo specifico). L’ipotesi mediana prospettata da IDOS, che prevede anche il rilevante numero di minori che diventerebbero cittadini italiani in ragione della trasmissione della cittadinanza da parte dei genitori, è di 1.420.000 persone (1.136.000 adulti e 248.000 minori).
I dati e le analisi sopra descritte ci dicono molto; innanzitutto che cresce in modo significativo la quota di cittadini che non lo sono per discendenza, ovvero perché nati in Italia da altri italiani, bensì che sono già diventati, o che potrebbero diventare, cittadini italiani avendo alle spalle – in modo diretto, o come conseguenza delle scelte dei genitori – un percorso migratorio. Inizia dunque anche in Italia ad avere un peso la condizione di coloro che diventano cittadini sulla base di una scelta di vita che prevede di radicarsi e appartenere a un Paese che si è deciso di scegliere come proprio. Il possesso di una cittadinanza di un dato Paese come frutto di una scelta di vita, che non contraddice e non si contrappone alla possibilità di aver avuto e di mantenere, o talvolta anche di abbandonare, una seconda cittadinanza legata alla propria origine “altrove”, è ciò che caratterizza l’identità e l’evoluzione delle società aperte e plurali che sono più capaci di evolvere e di adattarsi ai cambiamenti. Una normativa che accompagna e supporta questi processi di cambiamento fa crescere un dato Paese, mentre una normativa che ignora o addirittura contrasta tali processi rappresenta un danno enorme per quello stesso Paese. Sta interamente in questo, dunque, l’importanza della riforma dell’inadeguata legge italiana sulla cittadinanza, ovvero nella rilevanza che essa può avere nel supportare lo sviluppo sociale, culturale ed economico complessivo del Paese. Se ciò non viene compreso dalla classe politica che guida l’Esecutivo pro-tempore è perché essa, in tutte le sue varie e litigiose componenti, esprime non certo un orientamento politico fortemente conservatore, bensì un’ottusa e pericolosa chiusura ideologica.
L’attuale normativa (la L. 90/91) che disciplina la cittadinanza per naturalizzazione ha l’effetto di procrastinare a tempi irragionevoli il momento in cui il cittadino straniero riesce a diventare cittadino italiano; considerati i tempi amministrativi di esame delle domande, le difficoltà reddituali che rimandano il momento in cui si può accedere alla procedura e il fatto che i dieci anni di richiesta residenza sono solo una parte del tempo trascorso in Italia (non sempre la residenza si associa infatti, come pur dovrebbe, al periodo di regolare soggiorno) ciò che avviene è che passano di norma più di quindici e non raramente persino vent’anni prima di ottenere la cittadinanza. Ciò produce, oltre che una lacerante ingiustizia verso coloro che subiscono tale situazione, anche gravi distorsioni nel tessuto democratico; la persona straniera senza cittadinanza è infatti costretta a vivere una condizione sospesa vivendo, lavorando e creando legami sociali nel Paese che ha scelto senza tuttavia esserne considerato pienamente parte e senza contribuire, attraverso il godimento dei diritti politici, a determinare la vita del Paese. Anche se l’evoluzione storica avutasi dopo il secondo conflitto mondiale del sistema di protezione dei diritti umani fondamentali (ben espressa dalla Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo e le Libertà Fondamentali del lontano 1950) ha permesso l’accesso a tali diritti, diversamente dal passato, anche a chi non è cittadino, il possesso di una cittadinanza rimane una condizione essenziale per poter essere pienamente parte della comunità sociale e politica in cui si vive.
La vittoria del SÌ al referendum sulla cittadinanza non potrà sanare del tutto le grandi carenze della normativa italiana in materia, in particolare per ciò che riguarda la condizione dei minori figli di genitori stranieri, e non eliminerebbe dunque la necessità di una riforma complessiva, appena le condizioni politiche siano meno chiuse di quelle attuali. Tuttavia, con i limiti inevitabili dati dalla natura abrogativa dello strumento referendario, una vittoria del SI permetterebbe di conseguire dei cambiamenti strutturali. Dimezzare i tempi per la presentazione della domanda di concessione della cittadinanza produce infatti tre risultati fondamentali: il primo, più immediato, è quello messo in luce dai dati elaborati da IDOS, di sbloccare la situazione per circa un milione e mezzo di persone, tra cui quasi trecentomila minori in virtù della trasmissione della cittadinanza acquisita dai genitori.
Il secondo risultato è quello di realizzare una riforma che permette, a regime, l’accesso alla cittadinanza per naturalizzazione in tempi ragionevoli, consentendo in tal modo negli anni a venire una crescita rapida del numero dei nuovi cittadini, specie tra i minori, per trasmissione della cittadinanza dei genitori.
Il terzo risultato, figlio dei primi due, è forse il più importante ed è quello di modificare la società italiana rendendola più equa e più adatta all’evoluzione storica in atto; gli italiani, al pari di altri europei, inizierebbero infatti ad abituarsi e a considerare normale (diversamente da oggi) il fatto di vivere in una nazione nella quale sono ugualmente cittadini come loro persone con tratti somatici, colore della pelle, tradizioni culturali e religiose diverse da quelle maggioritarie. Il SÌ al referendum sulla cittadinanza non è dunque solo un voto per dare diritti a chi oggi non li ha ma è anche un voto per contrastare il declino del nostro Paese.