La scomparsa dell'ex presidente
Chi era Pepe Mujica: la pecora nera del contropotere, il presidente che amò più le persone che le idee
Inseparabile dalla sua tazza di mate, feci la sua conoscenza a Milano, nel 2018. Quel giorno resta nella mia memoria. Ci disse che “a renderci liberi è la felicità, e non l’ossessione di comprare sempre qualcosa”
Esteri - di Andrea Donegà

Il vento proveniente dall’America Latina, più volte, ha scaldato i cuori. La Teologia della Liberazione ci consegnò la dimensione politica della carità che inquieta e spinge a sradicare le cause della povertà. La pedagogia degli oppressi di Paulo Freire insegnò che la presa di coscienza della propria condizione è la premessa per costruire riscatto. Papa Francesco ha animato la passione per la giustizia sociale e ambientale, per la mitezza e la solidarietà. Josè Alberto Mujica Cordano, al secolo Pepe Mujica, ha contribuito a tracciare, sulle stesse direttrici, orizzonti di speranza. Lo ha fatto con la forza di chi dice quel che fa e, soprattutto, fa quel che dice e con la coerenza di chi ama la Politica fatta di energia sociale, cultura, partecipazione, cura dell’ambiente.
Mujica, primo tupamaro a entrare in Parlamento e a sedere nello Studio ovale della Casa Bianca quando Obama lo coinvolse nello storico riavvicinamento a Cuba, è stato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Ebbi l’onore di conoscerlo in occasione della presentazione di Una pecora nera al potere (Lumi 2016), la sua biografia curata da Andrés Danza ed Ernesto Tulbovitz. Al teatro P.I.M.E. di Milano, organizzammo un dibattito tra lui e l’allora Segretario Generale della Fim Marco Bentivogli, con introduzione del Presidente Aned Dario Venegoni e conduzione di Francesco Cancellato, attuale Direttore di Fanpage.it. Faceva caldo quel 31 agosto 2018 e una folla di oltre cinquecento persone cercò ristoro nella freschezza delle parole, potenti e mai banali, di quell’uomo dall’elevata statura morale dal grande carisma, inseparabile dalla sua calabaza di mate. C’era il Trump uno. Stati Uniti e Cina avevano già iniziato il disaccoppiamento economico con ripercussioni sulle catene globali delle produzioni al grido MakeAmericaGreatAgain.
La Brexit era scoccata due anni prima. In quello scenario, Mujica lanciò un appello all’Europa: «Non rimanere sola! Nel momento in cui l’America abbandona il campo del libero mercato e la Cina avanza, l’Europa deve giocare un ruolo nel mondo, non può chiudersi in sé stessa». Era molto legato al nostro continente anche per le origini della nonna: «Il primo censimento del mio Paese contò più gente che parlava italiano rispetto allo spagnolo, nella zona del Rio de la Plata». La multiculturalità è un orizzonte ineludibile, oltre che occasione di crescita collettiva. Ma è ancora una corsa a ostacoli: «L’uomo è un animale con poca memoria, si dimentica della propria storia e del fatto che tutti discendiamo dall’Africa, in quanto homo sapiens. E si dimentica che in Italia e in Europa ci sono state guerre, che l’Europa è stata povera e che per questo gli europei sono migrati più di altri. L’ha fatto anche mia nonna che veniva da una famiglia di contadini vicino a Genova. Era tutto sangue dei poveri, perché sono i poveri che fanno molti figli. Abbiamo dimenticato pure questo: eravamo poveri e facevamo figli. Abbiamo dimenticato, mentre lo balliamo, che la tristezza del tango era il dolore di chi era emigrato. Allora non c’era internet e migrare voleva dire andarsene per sempre, rompere legami famigliari, amicizie, lasciarsi tutto alle spalle. L’Europa oggi è vecchia e in pace, non è più povera e fa pochi figli». Temi importanti: la pace da salvaguardare, l’inverno demografico da affrontare per salvare welfare e futuro.
Mujica destinava la quasi totalità dell’indennità da Presidente alla realizzazione di abitazioni per i poveri. È la forza di chi ha vissuto tra le persone, condividendone paure, bisogni, sogni e destini. Forse per questo, è stato uno dei pochi a parlare di sentimenti in politica: celebre il suo discorso a Rio de Janeiro dove ricordò che «lo sviluppo deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. La felicità è il tesoro più importante che abbiamo». Quella sera, a Milano, aggiunse: «A renderci liberi è la nostra felicità, non continuare ad autoconvincerci di aver sempre più necessità e di dover comprare qualcosa per soddisfarle. Questo è essere prigionieri del nostro stato di necessità. Perché, quando compriamo, non compriamo coi soldi ma col tempo che usiamo per guadagnarli. Io sono libero quando sto con i figli, vado a pescare, scelgo. Più lo faccio, più sono libero e felice». Parole che ci ricordano che la felicità nasce quando non si è attaccati ai beni e si disincentiva la cultura del possesso esasperato. L’uomo felice è colui che è capace di liberarsi dei vincoli per poter godere del bello, virtù di chi non si lascia possedere da nessun bene materiale. È il valore pedagogico della povertà che, insegnandoci quanto la dipendenza dai beni faccia appassire l’uomo, può offrirci un modo migliore di vivere le comunità.
Una rinfrescata anche al concetto di lavoro che deve darsi una nuova visione umanistica per tornare a risuonare come un’azione intersoggettiva, generatrice di senso condiviso, di individuazione personale e collettiva. Le grandi dimissioni testimoniano la tendenza a rivalutare i benefici relativi al mutamento qualitativo, e appunto di senso, della relazione tra lavoro e tempo libero. Un grande ripensamento che sembra voler ristabilire priorità tra i valori che fondano il nostro stare insieme nella società e nel lavoro, perché le persone cercano ciò che dà maggiori soddisfazione e benessere. Temi che incrociano il digitale. Mujica, allergico agli strumenti tecnologici per questioni di età, era convinto che la tecnologia fosse una buona opportunità se usata a favore delle persone, svelando l’urgenza di un cuore umano dentro la transizione digitale e auspicando la nascita di professioni più creative e meno alienanti. Infine, la questione ambientale: «La mia generazione è vissuta con lo spettro di un olocausto nucleare, quelle che verranno saranno terrorizzate dallo spettro dell’olocausto ecologico. Al contrario dell’avidità umana, le risorse del pianeta sono limitate».
La velocità dell’epoca che viviamo sembra intrappolarci nel tempo dell’istante. Concentrati a vivere il qui e ora, tutto ciò che è futuro sembra non esistere e soffoca la capacità di progettare e immaginare l’inedito di cui, invece, abbiamo bisogno per rompere gli schemi in un modello di sviluppo che mostra chiari segnali di fallimento. Solo così potremo dare una chance al futuro riempendolo di creatività. I giovani hanno un enorme credito con gli adulti che devono sostenerli nell’immaginare il domani che dovranno abitare da protagonisti e la scuola è il luogo dove rendere radicale questa speranza. Comunque la si pensi, Mujica resta uno straordinario interprete dei nostri tempi che ricorderemo per sobrietà, coraggio e coerenza. Non si è mai consegnato all’ideologia e ha amato le persone più delle idee. Se intendiamo la libertà come la capacità di esercitare il dubbio e di mettere in discussione tutto, allora Pepe è stato un uomo libero che non ha mai smesso di rincorrere le utopie.