La nomina
Paolo Guido, alla guida della procura di Bologna l’antieroe dell’antimafia
A Palermo non ha avallato il processo “Trattativa”, ma ha ottenuto la cattura di Messina Denaro. Rigore metodologico lontano dai clamori mediatici. Paolo Guido incarna un modello diverso e necessario
Giustizia - di Stefano Giordano

L’anti-eroe dell’antimafia: Paolo Guido alla guida della Procura di Bologna Nel panorama dell’antimafia italiana, dove spesso i riflettori illuminano figure carismatiche e dai toni accesi, la nomina di Paolo Guido a procuratore capo di Bologna segna un cambio di passo significativo che merita una riflessione profonda sulla sostanza del contrasto alla criminalità organizzata.
Guido rappresenta un modello di magistrato che ha fatto della sobrietà e del rigore metodologico la propria cifra distintiva. Durante i suoi anni come aggiunto alla Procura di Palermo, ha costruito un’azione investigativa ponderata, lontana dai clamori mediatici, ma non per questo meno efficace. Anzi. La sua scelta di non avallare il processo sulla presunta “Trattativa Stato-mafia” – vicenda giudiziaria che ha polarizzato l’opinione pubblica e la stessa magistratura – evidenzia una capacità di discernimento che privilegia la solidità probatoria all’effetto annuncio. Per altro, è proprio la metodologia paziente e meticolosa di Guido che ha portato al risultato più eclatante dell’antimafia degli ultimi decenni: la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro. Un successo straordinario, frutto di anni di lavoro silenzioso e capillare, che ha posto fine a trent’anni di latitanza del boss mafioso. Un’operazione condotta senza proclami preventivi o conferenze stampa anticipatorie, ma con la determinazione di chi persegue obiettivi concreti piuttosto che visibilità personale.
In un’epoca in cui alcuni magistrati antimafia hanno trasformato il proprio ruolo in una sorta di missione pubblica, con tournée editoriali, apparizioni televisive e cittadinanze onorarie accumulate come medaglie, la figura di Guido si staglia come controcanto necessario. Nicola Gratteri e Nino Di Matteo, per citare i casi più emblematici, hanno certamente contribuito alla lotta contro la criminalità organizzata, ma hanno anche alimentato un modello di “antimafia urlata” che rischia di confondere la necessaria sensibilizzazione pubblica con una personalizzazione eccessiva dell’azione giudiziaria. Il nuovo procuratore di Bologna incarna invece un approccio diverso: quello di chi preferisce la concretezza dei risultati al clamore delle dichiarazioni, la pazienza investigativa all’indignazione esibita, la costruzione meticolosa dei casi giudiziari alla notorietà personale.
In un Paese che troppo spesso cerca eroi e salvatori, la nomina di Guido ci ricorda che l’efficacia nella lotta alla mafia non si misura in titoli di giornale o in applausi, ma nella solidità del lavoro quotidiano. Un lavoro che richiede competenza, dedizione e quel senso dello Stato che si esprime meglio nel silenzio operoso che nella ribalta mediatica. La Procura di Bologna acquisisce così un magistrato la cui autorevolezza deriva dai fatti, non dalla fama. Un “anti-eroe” che rappresenta paradossalmente il volto più autentico di una giustizia che combatte la criminalità organizzata con gli strumenti del diritto piuttosto che con quelli della comunicazione.
È forse questo il modello di cui l’Italia ha bisogno: un’antimafia che parla con la voce pacata ma ferma delle sentenze, non con il fragore degli slogan. Un’antimafia che costruisce nel tempo, senza la fretta di raccogliere consensi immediati. Paolo Guido ci ricorda, con la sua carriera e il suo metodo, che i veri successi nella lotta alla mafia non si misurano in applausometri, ma nella paziente ricostruzione di verità giudiziarie che resistano al tempo e alle inevitabili pressioni esterne. E questo, in tempi di giustizia-spettacolo, non è poco. Auguri e buon lavoro, dottor Guido.