Parla il procuratore De Lucia
Messina Denaro, la rivelazione sulla latitanza del boss: “Fermato dai carabinieri 7 anni fa, non fu riconosciuto”
Cronaca - di Redazione
La cattura del boss mafioso di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, avvenuta il 16 gennaio del 2023 dopo quasi trent’anni di latitanza, poteva avvenire sette anni prima del blitz effettuato dai carabinieri del Ros nei pressi della clinica privata ‘La Maddalena’, dove il capomafia si sottoponeva a chemioterapia sotto il falso nome di Andrea Bonafede.
A rivelarlo oggi è stato il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia, rispondendo alla domanda di uno studente durante un incontro pubblico tenuto oggi a Casal di Principe (Caserta), nella villa confiscata dove ha sede Casa Don Peppe Diana, luogo dedicato al sacerdote ucciso dalla camorra casalese il 19 marzo 1994.
Il mancato arresto di Messina Denaro
Matteo Messina Denaro “ha vissuto a lungo nel territorio del Trapanese, il suo territorio, sicuro di non essere scoperto. Indagando dopo il suo arresto abbiamo scoperto che era stato addirittura fermato a un posto di blocco, sette anni fa, in provincia di Trapani. Ma non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento. Tutto sembrava in regola”, ha rivelato agli studenti il procuratore di Palermo, il magistrato che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del capomafia morto il 25 settembre scorso a causa di un tumore del colon da cui era affetto.
“Messina Denaro confidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni – ha raccontato il procuratore di Palermo – ma c’era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori. Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso trent’anni in latitanza. Oggi, l’impegno della procura di Palermo è quello di individuare chi ha favorito Messina Denaro“. “La malattia non aveva cambiato le abitudini del latitante“, ha anche spiegato rispondendo alle domande degli studenti.
La rinascita della “cupola” mafiosa
Nel suo intervento de Lucia ha alzato il livello di guardia anche sui timori e le possibilità per le cosche mafiose siciliane di riorganizzarsi dopo i colpi messi a segno da forze dell’ordine e magistratura negli ultimi anni contro le varie famiglie.
“Cosa nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera, ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice e soprattutto ad arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti”, ha spiegato infatti il capo della procura di Palermo.