Il ritratto
Chi era Giacomo Brodolini, il socialista ministro che inventò lo Statuto dei lavoratori
Leader socialista della Cgil, dirigente del Psi e ministro del Lavoro per circa otto mesi fra 1968 e 1969: periodo brevissimo in cui fu concepito e realizzato un numero impressionante di riforme. Mai “super partes”, ma da una parte sola: quella dei lavoratori
Politica - di Paolo Borioni

A Gino Giugni accadeva spesso di essere definito “padre dello Statuto dei lavoratori”, appellativo cui reagiva con amabile ironia (“Sì sono il padre”). Ma anche più spesso ricordava che il titolo non spettava a lui, bensì a Giacomo Brodolini, partigiano, leader socialista della Cgil, dirigente del Psi e ministro del Lavoro per circa otto mesi fra 1968 e 1969. Un tempo brevissimo cui pose fine la morte molto precoce, essendo lui malato da tempo, e in cui fu concepito e realizzato un numero impressionante di riforme. Fra esse appunto lo storico Statuto, poi condotto al voto favorevole delle Camere dal successore Donat Cattin.
Giugni avrebbe collaborato anche con il ministro DC, ma rimase fermo nell’attribuire la paternità a Brodolini perché era entrato “direttamente nel merito del progetto dello Statuto”, e ne aveva “avuto l’iniziativa politica, che è quello che conta”. Senza dimenticare che si era speso direttamente con i suoi collaboratori “indicando norme precise e lo spirito dello Statuto: porre fine agli abusi mediante ‘l’energico sostegno’” a un sindacato radicato nelle aziende e fra i lavoratori. Ciò, ricorda sempre Giugni, ma anche l’ancora più storico collaboratore, il sociologo del lavoro Enzo Bartocci, fino all’ultima riunione all’Hotel Rafael, “drammatica” perché avvenuta subito prima che Brodolini si recasse in Svizzera per vivere con meno sofferenza gli ultimi giorni della propria vita. Nell’albergo romano i più stretti collaboratori ascoltano ancora la sottolineatura di alcuni fondamentali principi cui non derogare mai, alcune ultime variazioni e raccomandazioni.
Giacomo Brodolini, nato a Recanati nel 1920, rischia di essere dimenticato, ma sono anche assai celebri alcuni eventi della sua vita, alcune frasi da lui pronunciate. Come quando proclama nuovamente, e più solennemente che mai, l’impegno per lo Statuto da Avola, luogo dell’ultima strage contadina perpetrata da forze dell’ordine cresciute ancora alla scuola del codice Rocco. O come quando la notte di capodanno, con poche forze e senza voce, passa la nottata con gli operai in lotta di una fabbrica romana. Rino Giuliani, vecchio sindacalista e militante, c’era, e racconta l’imbarazzo di un altro importante dirigente socialista, che in tenuta elegante si reca verso il veglione e riceve il saluto di Brodolini, malatissimo, al freddo, in lotta coi lavoratori. Mitiche anche le frasi con cui descrive il proprio compito di ministro, ruolo che non ritiene affatto di svolgere “super partes”. Non si ritiene quindi un ministro socialista bensì un “socialista ministro”, e dichiara di interpretare il proprio ruolo “da una parte sola”, quella dei lavoratori. Che ideologia c’è dietro tutto questo? Semplicemente il socialismo democratico, che non concepisce la democrazia se non come quel luogo in cui il dislivello di potere fra chi compra e chi vende lavoro deve essere rimediato. Come del resto è nello spirito costituzionale di una “Repubblica fondata sul lavoro” e che “rimuove” le cause della disuguaglianza. Ecco appunto: rimuove.
A questo servono per un socialista democratico i poteri pubblici, da cui appunto le sue dichiarazioni che non scaturiscono da ideologismi ma da una profonda cultura della razionalità democratica. Quella per cui un’economia cresce più salda senza lo sfruttamento, come accerta, indicando da par suo la relazione positiva fra salari forti e produttività, Paolo Sylos Labini in Le Forze dello Sviluppo e del Declino, Roma-Bari, Laterza, 1984. E con lui, realizzando peraltro coerentemente il principio, anche i grandi economisti del sindacato nordico, come Gösta Rehn e il più celebre Rudolf Meidner. Il socialismo democratico di Brodolini indica, e poi imbocca, la strada della razionalità ed efficienza di un compromesso paritario dopo avere precluso la strada dello sfruttamento (quella naturale del capitalismo, e dei suoi tendenziali circoli viziosi). Ecco, a quel punto si troveranno, scontreranno, le classi sociali organizzate, si genererà dialetticamente una soluzione, ma solo date le nuove premesse democratiche, socio-economiche, giuridiche, che realizzano a loro volta quelle costituzionali. Ma affinché le parti sociali (dietro cui, come asseriva bene il leader socialdemocratico austriaco Bruno Kreisky, emergono sempre le classi) possano realizzare la dialettica da cui il potere politico può astenersi, prima era stato necessario che Brodolini fosse “socialista ministro”, “da una parte sola”. Perché per un socialista la democrazia è certo l’eguaglianza dei diritti, ma non è tale davvero senza parità di classe, e senza (sia ben chiaro) la dialettica, lo scontro e il compromesso (il quale non è mai definitiva armonia) che ne discendono.
Il successo delle tante e strategiche riforme del “Ministero Brodolini” in pochi mesi (anche quella delle pensioni, anche quella contro le gabbie salariali, anche l’accenno e il progetto della riforma sanitaria, come documento nel mio libro) è fatto di questa cultura politica: lineare nella condotta, complessa nelle analisi, competente nelle soluzioni. Che si innesta sul momento storico del protagonismo sindacale ed operaio. E che realizza una condizione raramente verificatasi nello scenario italiano: un sindacato a capo di un grande movimento, unitario come non mai, ed un “socialista ministro” al governo, con gli strumenti tecnici e culturali adatti. Ma anche con la precisa volontà politica di sintetizzare movimento della classe e potere coalizionale del PSI al governo. Dopo gli anni grigi dei governi di centro-sinistra guidati da Moro (1964-1968), infatti, Brodolini e la corrente socialista guidata da Francesco De Martino non avrebbero consentito il ritorno al governo senza precise garanzie, a cominciare appunto da “un socialista ministro” al Lavoro.
Lo Statuto è il portato di tutto questo, ben oltre il famoso e per alcuni famigerato “articolo 18”. Esso realizzò un sindacato “dentro” i luoghi di lavoro, secondo un criterio che con espressione “tecnica” è detto “promozionale”, rispetto beninteso al sindacato. E lasciando poi libera la base dei lavoratori di realizzare gli strumenti di rappresentanza e negoziato di base, che furono in gran parte i Consigli di Fabbrica (e in seguito altri), cui il sindacato-organizzazione può essere vicino, a sua volta propellente (ma non padrone) dopo che a sua volta lo Statuto lo aveva garantito e sospinto. C’è ancora da raccontare come Giacomo Brodolini divenga tutto questo, partendo da un famiglia del notabilato recanatese: il nonno avvocato vicino alle élite giolittiane delle Marche, quasi sempre poi divenute fasciste. E il padre figura non certo imponente, rampollo cui non dispiace il fascismo. Giacomo appartiene invece alla grande generazione nata intorno al 1920, quella che Il Duce avrebbe allevato come guerriera, e che vista l’indegna guerra fascista si tramutò invece in partigiana e appassionatamente antifascista.
Nel caso di Brodolini passando per il Partito d’Azione, ma la scelta su dove militare nella Resistenza poteva essere un caso, come ripeteva un altro sindacalista socialista e partigiano vicino a Brodolini: Piero Boni. Del PdA diviene segretario nelle Marche, poi però conducendone gran parte nel PSI. Brodolini mostra a questo punto il talento del leader operaio, nella FILLEA Cgil, e Morandi lo vuole anche al partito, che Morandi stesso ricostruirà in realtà sempre più capace di autonomia dopo la negativa esperienza del Fronte Popolare. Il giovane socialista marchigiano dirigerà poi la Cgil con Di Vittorio, che lo stima molto, al punto da lasciarsi convincere nel ‘56 a denunciare l’invasione sovietica dell’Ungheria. E poi sarà protagonista della costruzione del Centro-sinistra, caratterizzandone (assieme ai mesi tra il 1962 e il 1963, pieni di altre riforme epocali) la seconda grande fase realizzativa, appunto.
In sintesi: questo fu Giacomo Brodolini. Nato nelle élite scelse la masse lavoratrici. Nato nel fascismo scelse la Resistenza, la democrazia, la Repubblica. Con grandi politici e intellettuali, cioè con Francesco De Martino leader politico e storico del Diritto romano fra i maggiori di sempre, costruì con decisione la proposta politica e, con sapienza, le soluzioni. Scelse poi, con Bartocci e Giugni, le competenze, i tecnici mai tecnocrati, cioè i coniugatori di scienza e socialismo. Questo fu Brodolini: l’autentica democrazia, perché un’altra non ce n’è, come vediamo oggi. E il meglio della nostra storia.