Le grandi mobilitazioni
Storia dei grandi scioperi italiani che hanno plasmato e cambiato il Paese
Il no alla legge truffa che segnò la caduta di De Gasperi. La manifestazione del ‘60 che costrinse Tambroni a lasciare. La rivolta che nel ‘94 portò il Cav a far marcia indietro sulle pensioni. Ecco perché Salvini teme tanto le piazze...
Editoriali - di David Romoli
Di scioperi generali, nell’Italia repubblicana, ce ne sono stati molti e, stando alle frasi sconcertanti con le quali molti politici di maggioranza hanno giustificato la precettazione di Salvini, molti sarebbero considerati oggi dalla destra al governo, e forse non solo da quella, del tutto inaccettabili.
Invece, in una Repubblica democratica di fatto e non solo di nome, lo sciopero generale è uno strumento eminente di partecipazione dei lavoratori per incidere sulle scelte politiche ed economiche di fondo, quelle strategiche e che condizionano la vita di tutti per lunghe fasi. Gli esempi sarebbero troppi per elencarli tutti, ma vale la pena di citare almeno alcuni dei più rilevanti.
Il 20 gennaio 1953 la Cgil proclamò lo sciopero generale contro la “legge truffa”, la riforma elettorale che assegnava al cartello che avesse superato il 50% dei voti un premio di maggioranza che lo avrebbe automaticamente portato sino al 65%. Di cartelli in grado di farcela ce n’era uno solo, quello centrista che ruotava intorno alla Dc. La legge, fortemente voluta da Alcide De Gasperi, mirava a ridurre drasticamente il peso parlamentare dei due partiti di sinistra, il Pci e il Psi.
In piena guerra fredda, il momento era incandescente e molto rischioso. Di scioperi generali indetti dalla Cgil, in quel gennaio ce n’erano già stati altri due: uno, il 13 gennaio insieme alla Uil a sostegno di una vertenza dei ferrovieri, l’altro, il 17 gennaio contro la prima visita del presidente degli Usa Eisenhower a Roma. La manifestazione, quel giorno, era finita con quattro morti, uccisi dalla polizia nel corso delle manifestazioni in tutta Italia e ore di scontri a Roma.
Togliatti, prudente, voleva evitare che la durissima battaglia contro la legge truffa portasse a disordini tali da giustificare la messa fuori legge del Pci, obiettivo a cui tenevano invece molto gli Usa. Ingaggiò quindi una durissima battaglia parlamentare, di quelle come si facevano all’epoca, con botte da orbi in aula, assalti alla presidenza, pezzi di seggio adoperati come clave.
Ma la piazza doveva farsi sentire. Lo sciopero del 20, alla vigilia dell’approvazione della legge alla Camera, portò a nuovi scontri, violenti ma senza vittime, nel corso dei quali fu ferito il parlamentare comunista Pietro Ingrao. La Cgil indisse un nuovo sciopero generale il 28 gennaio e poi un terzo il 30 marzo, il giorno prima dell’approvazione finale, col voto di fiducia, della legge.
Le botte a palazzo Madama sarebbero state il giorno dopo inaudite, con tanto di presidente dell’assemblea ferito alla testa, ma Togliatti tenne a freno la piazza. Quegli scioperi generali ebbero il loro effetto: nelle elezioni politiche del 7 e 8 giugno il cartello guidato della Dc mancò la soglia del 50% per soli 54mila voti, si fermò al 49,8% e la sconfitta mise fine alla carriera politica di De Gasperi. È lecito supporre che, senza quella mobilitazione di massa che si articolò soprattutto negli scioperi generali, l’esito sarebbe stato diverso.
Lo sciopero generale fu il momento culminante delle manifestazioni che, nel luglio 1960, portarono alle dimissioni del governo Tambroni, il primo nella storia repubblicana che doveva la maggioranza al voto dei parlamentari neofascisti del Msi. La scintilla che innescò l’incendio fu la convocazione a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, del congresso del Msi. La protesta di piazza del 30 giugno a Genova, infiammata da un discorso violentissimo di Sandro Pertini, diventò quasi un’insurrezione.
Nei giorni seguenti manifestazioni e scontri si scatenarono ovunque nel Paese e il 7 luglio culminarono nell’uccisione di 5 manifestanti a Reggio Emilia. Il giorno dopo la Cgil dichiarò lo sciopero generale che paralizzò l’Italia e finì con altri morti a Palermo e Catania. La sera stessa il presidente della Camera Merzagora, democristiano, propose una tregua, con la fine delle manifestazioni e l’impegno a mantenere le forze dell’ordine consegnate nelle caserme.
Il 13 luglio la Direzione Dc dichiarò “esaurito” il compito del governo Tambroni che dovette dimettersi il 19 luglio aprendo le porte alla stagione del centro sinistra e dell’accordo Dc-Psi. Oggi quello sciopero generale verrebbe bollato come “politico”. Sino al 1968 gli scioperi generali furono sempre indetti dalla Cgil. Il primo sciopero generale unitario di Cgil, Cisl e Uil arrivò il 14 novembre 1968, per chiedere una riforma delle pensioni.
Le tre confederazioni avrebbero poi marciato insieme, dichiarando una quindicina di scioperi generali per tutto il decennio ‘70 e poi anche negli ‘80 e ‘90. Solo in una occasione, il 2 ottobre 1970, la Cisl e la Uil si sfilarono all’ultimo momento dalla sciopero generale contro il “decretone” economico del governo Colombo. Due anni dopo, il 27 febbraio 1974, un altro sciopero generale di 4 ore avrebbe portato alle dimissioni del ministro del Tesoro Ugo La Malfa.
A differenza che negli anni ‘50 e ‘60, gli scioperi generali dei decenni successivi miravano sempre a condizionare precise scelte economiche a tutto campo: casa, affitti, scala mobile per adeguare i salari all’inflazione, aumenti salariali, ma anche indirizzo generale della politica economica.
Gli scioperi politici furono proclamati solo dopo stragi fasciste come quella di Brescia del 29 maggio 1974 e contro le Br, il 16 marzo 1978, dichiarato per l’intera giornata subito dopo la notizia della strage di via Fani e del sequestro Moro. Anche quello sciopero ebbe un ruolo politico decisivo, anche se anomalo.
Decretò la sconfitta delle Br che con il sequestro Moro intendevano rivolgersi proprio alla base del Pci e dei sindacati e che, per loro stessa testimonianza, rimasero basiti guardando in tv le immagini di piazze piene di bandiere rosse contro di loro. Gli scioperi generali degli anni 80, a partire da quello a sostegno della vertenza Fiat del 10 ottobre 1980 e che non riuscì a impedire una storica sconfitta operaia, non registrarono i successi degli anni precedenti.
La temperie sociale era cambiata. Non che gli scioperi non riuscissero, ma non riuscivano a smuovere la politica com’era accaduto in passato.
Le cose cambiarono nel 1994. Berlusconi, dopo aver vinto le prime elezioni della Seconda repubblica in marzo, era al governo da pochi mesi ed era già stato fiaccato dalla sconfitta sul decreto giustizia, ritirato dopo l’insurrezione della magistratura in agosto.
Tentò di tornare all’offensiva con una drastica riforma delle pensioni contro la quale i tre sindacati si mobiliarono sino a dichiarare uno sciopero generale di 4 ore il 14 ottobre e annunciarne un altro, per l’intera giornata, il 2 dicembre. Non ce ne fu bisogno: la sera stessa dello sciopero del 14 ottobre la riforma venne stralciata dalla manovra finanziaria.
Probabilmente la più immensa manifestazione di piazza nella storia del Movimento Operaio nella Repubblica fu quella del 23 marzo 2002 a Roma contro la riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Quello che impediva i licenziamenti. Fu l’unica occasione in cui forse un milione di persone invase davvero Roma e non solo le colonne dei giornali. Non fu uno sciopero però ma una manifestazione convocata solo dalla Cgil. Lo sciopero generale arrivò il 16 aprile. La riforma fu fermata ma fu anche il canto del cigno.
Ci furono altri due scioperi generali unitari contro la politica economica del governo Berlusconi nel 2003 e 2004, poi l’unità sindacale si ruppe sino al 2011, con uno sciopero generale di tutti e tre i principali sindacati contro la Riforma Fornero ma di sole 3 ore e a fine turno. Da allora di scioperi generali indetti da Cgil, Cisl e Uil ce ne è stato solo un altro, dall’11 al 15 novembre 2013, articolato territorialmente in diverse giornate.
In quell’occasione, il garante per gli scioperi non avanzò le stesse riserve che hanno portato ieri alla precettazione. Peraltro era di sole 4 ore. La Commissione di garanzia si è in compenso fatta sentire in occasione dello sciopero del 16 dicembre 2021, indetto solo da Cgil e Uil contro la legge di bilancio Draghi: ordinò l’esenzione di una nutrita serie di “servizi pubblici essenziali”.
La strada che ha portato al diktat di Salvini parte da lontano e non è probabile che si fermi qui. In fondo senza scioperi generali il potere sta comunque e sempre molto meglio.