Approvato 55 anni fa

Lo Statuto dei lavoratori è un tesoro socialista: difendiamolo col voto

Lo Statuto dei lavoratori fu una grande conquista dei socialisti e del riformismo. Solo chi non lo sa può pensare che sia una cosa moderna violarlo

Politica - di Bobo Craxi

20 Maggio 2025 alle 15:30

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Esattamente 55 anni fa, il 20 maggio del 1970, veniva approvato lo Statuto dei lavoratori. Si dice che i referendum che puntano all’abrogazione di normative che riguardano il mondo del lavoro siano l’occasione per una rivincita o per un ripensamento sulle politiche economiche prodotte dal Partito democratico nella sua esperienza di governo recente. Sul piano strettamente politico il referendum aveva come vagone principale l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata e quindi si sarebbe configurato come una sorta di pronunciamento popolare sull’azione dell’attuale governo.

Ma quel quesito è stato cassato. Però resta ancora valido il referendum perché il governo si è arroccato con un appello alla diserzione delle urne, non solo come espediente tattico per vincerlo, ma come forma di insofferenza verso l’espressione di voto democratico; cosa che rappresenta più di un intralcio alla sua azione, nella fase propedeutica alla “democratura” che stiamo vivendo e che intende consolidarsi in Italia come già sta accadendo altrove. É opportuno allora concentrarsi almeno sul merito delle ragioni per le quali c’è una volontà retroattiva di incidere su un provvedimento, – stiamo parlando dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – che ha nel tempo subito adeguamenti e superamenti e la cui abrogazione resta tuttavia una delle pagine meno nobili della parabola governativa della sinistra che ha governato il nostro paese nella Seconda repubblica.

Intendiamoci, tutto cambia, tutto è rivedibile, ogni conquista puó e deve essere messa in discussione dinanzi ai cambiamenti della società italiana. Si disse infatti allora, al momento di varare il Jobs act, che le modifiche allo Statuto approvate avrebbero visto in prima fila gli stessi amanuensi dello Statuto (Gino Giugni) .
Tuttavia è giusto raccontare un po’ di storia. Lo Statuto fu il frutto di una lunga e faticosa marcia parlamentare nella quale dovettero essere superati più di un ostacolo e che sancì e significativamente qualificó l’azione dei Socialisti per la prima volta al governo. L’ingresso dei socialisti al governo determinó una frattura nel mondo del lavoro e nella sinistra. L’azione determinata del Psi rappresentò plasticamente il significato politico della ragione del riformismo opposto al ripiegamento tardo-massimalista del Pci. E infatti il Pci in Parlamento si astenne nel voto sullo Statuto, e nel Psiup (alleato del Pci) addirittura ci furono punte di rifiuto simboleggiate dal voto contrario di Vittorio Foa.

Ora, quando le parti sociali, unitariamente, dispiegano la loro forza e sostengono che le norme introdotte dall’abrogazione dell’art.18 indeboliscono e non rafforzano le difese dei lavoratori vanno prese sul serio. Quando nel 1985, con una manovra di politica economica, vennero congelati tre punti di contingenza dalla busta paga, la battaglia nel sindacato e fra le forze della sinistra fu talmente aspra ed eccessiva che obbligó le stesse forze in campo, che si erano combattute, a ritrovare con slancio una ricomposizione unitaria; perché mai come la divisione del mondo del lavoro rappresenta un vulnus democratico. Ma allora si trattava di una discussione nella quale si affrontavano due linee di politica economica differenti; difficile col senno di poi, non valutare che quella manovra portò dei benefici effettivi all’economia del Paese contribuendo ad un abbattimento drastico dell’inflazione.

Ma mai e in nessuna circostanza furono messe in discussione conquiste consolidate per il mondo del lavoro, per la sinistra e per la democrazia italiana. Tali invece vanno considerate le prerogative dello Statuto dei lavoratori che rappresenta oggi come allora uno degli strumenti più avanzati per garantire, in una democrazia economica ormai sovrastata dalla forza veemente del capitalismo senza regole, un baluardo fondato su principi e valori che se abbandonati metterebbero il mondo del lavoro alla mercé dell’arbitrio della prevalenza esclusiva delle ragioni economiche. Possiamo sul piano politico considerare tardiva l’azione della Cgil, eccessivamente incardinata in una discussione interna corporis nella sinistra italiana, che è diventata cosa assai diversa rispetto alla forza rappresentativa che esprimevano i partiti di massa dell’epoca, ovvero il Partito comunista ed il Partito socialista.

Ma se devono essere ricostruite le basi per una sinistra moderna esse non possono recidere in modo netto il legame con la propria storia; e solo chi non la conosceva o chi riteneva che fosse pezzo di antiquariato poteva non rendersi conto del danno che si realizza violando lo Statuto dei lavoratori. I limiti dell’azione riformatrice del sindacato moderno certo non potranno essere corretti attraverso una sconfitta del sindacato. Il sindacato resta imprescindibile soggetto per l’integrazione dei sistemi politici e sociali senza i quali tutto é in discussione a partire dalla Democrazia. Cogliere quest’essenza per esprimere una scelta referendaria non è un capriccio della nostalgia, ma avere ben chiaro quali sono le insidie che si nascondono dietro le svolte di questi mesi e non sarà certo sufficiente un’enciclica papale, un’invettiva intellettuale o i riti di nomenclature stanche a scuotere un popolo stremato da questi continui strappi operati alle fondamenta portanti della difficile, paziente conquista della democrazia italiana.

 

20 Maggio 2025

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