La 78° edizione del Festival
Putin come Stalin: a Cannes il j’accuse contro le purghe
Dalla critica al mondo occidentale parafrasata da Mission Impossible si passa a toccare un’altra nota dolente, la guerra in Ucraina e la dittatur di Vladimir Putin in Russia
Spettacoli - di Chiara Nicoletti

Il terzo giorno di Cannes 78 non accenna a moderare i toni di un vero e proprio dibattito politico costruito attraverso il linguaggio cinematografico poiché nemmeno il blockbuster per eccellenza, il film destinato ad attirare il glamour, Mission Impossible – Final Reckoning, prodotto e dominato dalla sua star, Tom Cruise, si è sottratto dal puntare il dito, contro le minacce alla libertà che inquinano il nostro tempo.
L’ultimo capitolo della saga che vede Cruise interpretare l’agente segreto Ethan Hunt da ben 29 anni e 8 film si è guadagnato quasi 7 minuti di applausi, una standing ovation per il suo interprete, una masterclass con il regista Christopher Mcquarrie e un inaspettato plauso alla sua capacità di porre l’attenzione a temi caldi di attualità. La minaccia contro cui Hunt si trova a combattere in queste 2 ore e 50 è la più virtuale e subdola che si possa immaginare: l’intelligenza artificiale. Proprio quella AI che con la pretesa di facilitarci la vita si sta intrufolando in ogni piccolo gesto che facciamo e che, nel mondo di Hunt, ha “capito” di poter scavalcare i potenti della terra e usare le loro armi di distruzione di massa, quelle teoricamente costruite per difenderli, per, invece, annientarli.
E nonostante le mille “impossibili” peripezie affrontate e risolte dall’Hunt di Tom Cruise, siano cosi fantastiche da permetterci di evadere con la mente, non si corre il rischio di distogliere lo sguardo dall’agghiacciante collegamento con la nostra realtà e quei governanti che stanno giocando un po’ troppo con il fuoco, con un potere, come quello nucleare, che dovrebbe semplicemente cessare di esistere perché nel mondo di oggi, di Ethan Hunt a salvarci all’ultimo secondo, non ce ne sono. E dalla critica al mondo occidentale parafrasata da Mission Impossible si passa a toccare un’altra nota dolente, la guerra in Ucraina e la dittatur di Vladimir Putin in Russia, attraverso il film in concorso diretto dal regista ucraino Sergei Loznitsa che vedremo presto in Italia, Two prosecutors. Tornato finalmente alla regia di un lungometraggio di finzione, a quasi dieci anni dalla commedia nera Donbass, presentato a Cannes in Un Certain Regard.
Al Festival, l’anno scorso, Loznitsa aveva presentato il documentario The invasion, che, come parte delle sue “cronache ucraine” documentava la lotta del suo paese contro l’invasione russa e ritraeva, nell’arco di due anni, la vita della popolazione civile con grande lucidità. Two prosecutors è ambientato durante la Grande Purga orchestrata da Stalin per consolidare il suo potere all’interno del Partito Comunista. La storia segue Alexander Kornyev, un giovane procuratore da poco nominato che intercetta una lettera anonima scritta con il sangue su un pezzo di carta. Scopre che a scriverla è stato un prigioniero politico che gli implora di indagare sul suo caso. Come in un lento rituale burocratico che il regista inquadra nel dettaglio con le porte difficili da aprire, le scale da percorrere, le barriere che dividono e distanziano il nostro eroe dall’uomo che in prigione chiede il suo aiuto, Kornyev, interpretato dal giovane e promettentissimo attore russo Aleksandr Kuznetsov riesce a interrogarlo ed a notarne, sul corpo, i segni delle torture subite dalla polizia segreta sovietica, l’Nkdv.
Empatico, idealista, sognatore, Kornyev proverà ad andare al quartier generale del regime totalitario di Stalin, Mosca, per chiedere giustizia. Two prosecutors è la trasposizione cinematografica della novella di Georgy Demidov, un fisico che è stato prigiorniero nel Gulag per ben 14 anni ed è sopravvissuto. Il libro, che secondo le parole di Loznitsa ha “documentato la macchina di repressione stalinista nell’Unione Sovietica”, risale al 1969, ma, sequestrato dal Kgb negli anni 80 e pubblicato solo nel 2009, è arrivato all’attenzione di Loznitsa nel 2010 e solo nel 2020 si è concretato come possibilità per il grande schermo. Perché questo era il momento giusto per una trasposizione del libro? Alla rivista americana Variety, Loznitsa ha detto: “Guardando questa storia del passato, riconosciamo anche il presente. Sembra che stiamo tornando al periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale, ed è molto triste. Sembra che non si sia imparata nessuna lezione dagli eventi accaduti 80, 90 anni fa. È per questo che torno su questo argomento e mostro solo una piccola parte di quel regime totalitario che sembra stia tornando, la cui ombra incombe all’orizzonte”.