Le rivelazioni in Antimafia

L’altra verità di Mario Mori indigesta a Scarpinato: “È depistaggio istituzionale”

“È un depistaggio istituzionale”, si infervora l’ex avvocato del Popolo. Che teme per il dossier mafia-appalti e l’ex procuratore compagno di partito

Giustizia - di Paolo Comi

15 Maggio 2025 alle 18:00

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Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Giuseppe Conte, l’ex avvocato del “popolo”, ha deciso di tornare per un momento alla professione forense prendendo la difesa di Roberto Scarpinato dal “depistaggio istituzionale” di cui quest’ultimo sarebbe vittima a Palazzo San Macuto. “La Commissione antimafia, a partire dal presidente Colosimo, non vuole svolgere la sua funzione pubblica”, ha esordito ieri Conte in una improvvisata conferenza stampa presso la sede romana del M5s. “Possiamo parlare – ha aggiunto – di depistaggio istituzionale, si sta indagando su una sola strage di mafia e invece sono molte di più”. “Si sta addirittura imboccando verso una relazione finale focalizzata su una sola pista che stravolge la verità dei fatti”, ha proseguito Conte, lanciando così un “allarme istituzionale” ai presidenti di Camera e Senato ed invitando il capo dello Stato a “prestare attenzione”.

A far scattare l’arringa di Conte è stata l’audizione il giorno prima del generale Mario Mori, ex comandante dei carabinieri del Ros, e del suo più stretto collaboratore, il colonnello Giuseppe De Donno.Nella nostra attività di indagine in Sicilia abbiamo subito delle brucianti sconfitte: più volte ci sono state chiuse le porte in faccia, costringendoci a ricominciare daccapo o a desistere”, ha esordito Mori, chiamato in audizione in Antimafia nell’ambito del filone di inchiesta sulla strage di via D’Amelio in cui a luglio del 1992 perse la vita Paolo Borsellino. “L’indagine “mafia e appalti” – ha sottolineato Mori -, sostenuta con convinzione da Falcone prima e Borsellino poi, ridefiniva l’approccio degli investigatori alle indagini, indicando politici e imprenditori non come vittime dell’organizzazione mafiosa ma come concorrenti nell’illecito condizionamento: il fenomeno riguardava l’intera isola con importanti connessioni a livello nazionale e questo secondo noi apriva prospettive delicate ma ineludibili”.

Dopo aver lamentato gli ostacoli subiti nel corso dell’indagine e l’atteggiamento quanto meno “attendista” della magistratura locale, il generale ha ricordato come “respinti in Sicilia, io e De Donno applicammo i nostri metodi in Campania e in Calabria ottenendo significativi risultati: gli stessi risultati che avremmo potuto ottenere contro Cosa nostra se solo ci fosse stata una vera collaborazione da parte della magistratura”. Mori ha fatto anche i nomi dei magistrati dell’epoca, da Giuseppe Pignatone a Guido Lo Forte, quest’ultimo cointestatario insieme a Borsellino dell’indagine “mafia e appalti”. Da sempre, va ricordato, i due ufficiali dell’Arma sono convinti che questa inchiesta sia stata il principale movente dell’attentato di via d’Amelio. Per Mori, in particolare, averne ostacolato lo sviluppo investigativo ha impedito di far luce su altre circostanze importanti. Nel silenzio generale dell’epoca, il dossier venne poi sottoposto ad un’operazione di “smembramento” tra gli uffici giudiziari di Palermo, Catania e Caltanissetta. L’obiettivo sarebbe stato quello di evitare l’estensione dell’attività investigativa per la quale lo stesso Giovanni Falcone pensava a una interconnessione con l’indagine milanese di Mani pulite e che vedeva sotto i riflettori il gruppo di Raul Gardini.

I due ufficiali, assolti in tre procedimenti tra cui quello sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” lo scorso anno avevano raccontato questa vicenda nel libro L’altra verità. “Inesattezze, falsità e mistificazioni”, hanno replicato i grillini che da mesi si battono invece per evitare che Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e fra i protagonisti dell’epoca possa essere in qualche modo tirato in ballo. Scarpinato, da parte sua, non perde infatti occasione per affermare di essere l’unico in Parlamento a conoscere il filo nero che collega 25 anni di strategia della tensione, da piazza Fontana del 1969 alle stragi del 1992-94. L’ex magistrato, a tal riguardo, aveva aperto a Palermo una indagine, denominata “Sistemi criminali”, che avrebbe visto Cosa nostra, massoneria deviata, pezzi di Stato ed eversione nera uniti per destabilizzare il Paese. Indagini finite in un nulla di fatto.

I grillini si prestano a fare da portavoce di una magistratura sconfitta in sede giudiziaria”, ha commentato Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato. Sullo sfondo resta però sempre la recente inchiesta di Caltanissetta sul depistaggio relativo all’inchiesta sulla morte di Borsellino. Fra gli indagati figura, oltre a Pignatone, anche Gioacchino Natoli, ex componente del Pool di Palermo sulle stragi. Natoli era stato intercettato mentre parlava con Scarpinato alla vigilia della sua deposizione in antimafia lo scorso anno. Forse allora Conte una parola sul “conflitto d’interessi” di Scarpinato ieri avrebbe potuto dirla, evitando quella è sembrata a tutti la classica difesa d’ufficio del collega di partito.

15 Maggio 2025

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